Cara Maria, chiedo scusa preventivamente per queste mie prime parole… ma il contenuto di questo tuo articolo mi pare molto in “stile Francesco Alberoni”: molte generalizzazioni e cliché.
Sono d’accordo pienamente con le tue prime riflessioni, ossia che al giorno d’oggi il matrimonio é quasi una moda e non viene preso sul serio.
Senza dubbio una coppia non dovrebbe divorziare ai primi sentori di qualche problema, ma dovrebbe “combattere” e affrontare le difficoltà, cercare soluzioni, e via dicendo. Semplicemente… la vita é la vita, e spesso l’infelicità della coppia é tale che la separazione o il divorzio sono l’unica soluzione. Ben venga il divorzio, e con esso l’eventuale successiva famiglia allargata! Che felicità potrà mai avere un bambino nel vivere in una famiglia in cui i genitori non si sopportano più? Te lo assicuro per esperienza diretta (come figlio) e indiretta, meglio il divorzio veloce, che trascorrere anni con genitori che restano assieme solamente per la felicità (apparente) dei figli.
Altro pensiero che mi passa per la testa, anche se politicamente scorretto: e alla salute mentale dei genitori, chi ci pensa? Ovviamente i figli sono sono la cosa più importante mai potremmo mai avere e creare al mondo: ma trascorrere 50 anni con la stessa persona “perché la vera famiglia é fatta cosí” mi sembra un inno al masochismo, e alla distruzione di qualsiasi barlume di felicità per i figli.
“Un unico tetto sulla sua naturale famiglia…che rimarrà un sogno”… o un incubo? Qui in Svezia ho solamente una manciata di amici (meno di una decina) che hanno trascorso la loro infanzia con la famiglia naturale, come tu la definisci. Sento sempre parlare di “la fidanzata di mio padre”, la mia “sorellastra” (che in svedese non suona – foneticamente- male come in italiano), la “moglie di mia mamma” (sí, moltissime famiglie allargate omosessuali, di genitori che a un certo punto della loro vita accettano il loro vero orientamento sessuale), il mio “secondo papà”.
La mia conclusione é che la felicità dei figli non deriva da quanti padri, madri o fratellastri uno ha, ma dalla serenità e sicurezza che qualsiasi costituzione famigliare può comunicare. Anche se questa serenità, a volte, può arrivare solo dopo un cammino difficile, fatto di separazioni, due camere da letto in due case diverse, nuovi componenti famigliari da accettare. Ma cos’é meglio? Restare in una famiglia i cui genitori non si sopportano e fingono di stare bene, o combattere e affrontare quei momenti difficili per poi raggiungere uno sprazzo di felicità?
Non si può generalizzare su ciò che fa bene ai figli: ogni situazione é unica, e le soluzioni a volte piú originali e lontane dai luoghi comuni di ciò che una famiglia deve essere possono portare alla vera tranquillità.
Caro Andrea,
non ti preoccupare non c’è bisogno di scuse quando si esprime il proprio pensiero. Siamo tutti liberi di farlo e il Tamarindo è nato per questo.
Ognuno ha avuto le sue esperienze personali.
Quello che volevo esprimere non è assolutamente un’esortazione ad un matrimonio infelice, ma solo la necessità di riflettere, prima, sul valore che ha un matrimonio, di capire cosa veramente si vuole fare nella vita.
E’un’analisi su quello che subiscono i figli mentre gli anni passano e la causa è in corso. La decisione del giudice in questi casi andrebbe presa il più velocemente possibile perchè il trascorrere di due anni per un bambino è molto diverso dal trascorrere di due anni per un adulto, infatti i tempi della vita di un bambino sono molto più ravvicinati. Adulti puerili , quelli che si danno battaglia allungando i tempi di una separazione già di per sè dolorosa.
Cari amici del Tamarindo,
mi trovo indubbiamente più d’accordo con Andrea che con l’autrice dell’articolo: sono convinta che per la felicità di tutti, figli in primis, le priorità assolute debbano essere amore, serenità e rispetto. Non sono forse questi i presupposti – e in un certo qual senso gli obiettivi – di un’unione, di una convivenza, di un progetto di vita insieme, di un matrimonio?
I bambini non sono essere inconsapevoli, “sballottabili” da un genitore all’altro senza coscienza di quello che sta accadendo, abbandonati ad una serenità apparente, su questo non c’è dubbio. Le corde della loro sensibilità sono sottili e vulnerabili ai cambi di tono, forse più di quanto si creda; proprio per questo, sono convinta che una dissimulazione della felicità dei genitori nel nome dei figli non sarebbe affatto costruttiva, anche se portata avanti in virtù dei migliori intenti.
Credo che vivere come figli di un matrimonio finito, trascinato per necessità o moralismo, per il bene dei bambini o per l’apparenza, non sia il miglior modo per crescere credendo nell’amore duraturo, o addirittura eterno, quanto meno stabile, sincero, nell’amore vero.
Forse il figlio di due persone che, consapevolmente e con rispetto per se stessi e per l’altro, decidano di ammettere che la loro unione non funziona sarà un adulto che crede nell’amore. Perchè magari i suoi genitori si saranno rifatti una vita e avranno trovato la serenità, magari duratura, per sempre.
Su una cosa non posso non essere d’accordo con Maria: la maturità dei genitori nell’affrontare le separazioni è fondamentale, affinchè i figli non soffrano e non diventino le pedine di un gioco di orgogli feriti e rivendicazioni infantili. Non c’è dubbio, i divorzi sono complessi e ogni caso rappresenta una storia particolare quanto difficile.
Tutti vorrebbero avere dei genitori felici che si ameranno per sempre. Ma quando ciò non accade naturalmente, quando dopo anni di tentativi e riflessioni è palese che non sia così, perchè fingere al costo dell’infelicità di tutti?
Come sempre, d’accordo con Andrea. I bambini sono sereni in un ambiente sereno, non obbligatoriamente in una famiglia tradizionale. E’ naturale che tutti sognino di nascere e crescere nella Famiglia Mulino Bianco, che il nonno li porti la sera nel casale in campagna a vedere gli aironi…però non succede così spesso. Non è per forza un dramma vivere in una famiglia spezzettata e rincollata con pezzetti di altre famiglie, non è così semplice, ma nemmeno così problematico. Se i genitori sono disgraziati e sballottano i figli a destra e a manca, lo fanno anche abitando sotto lo stesso tetto.
Per quelli della nostra generazione forse è stato peggio, io sono stata l’unica figlia di separati dall’asilo all’università, addirittura l’unica figlia unica per elementari e medie, ma effettivamente era strano solo per le vecchie maestre del paesello. Un giorno la mia compagnetta di banco Alice disse: “Mamma, perchè non ti separi anche tu da papà? Così posso andare ai giardini quando mi pare, come Anna”. Il mondo, agli occhi dei bambini, è molto meno complesso di come vogliamo vederlo noi.
Le vostre riflessioni mi sembrano un po’ quelle che si fanno “a valle” di un problema come quello della famiglia allargata, che definirei piuttosto “smagliata”.
Ma c’è anche un versante “a monte”: perché è così difficile riflettere prima di sposarsi su una cosa così seria come il matrimonio? Il matrimonio uno non se lo sposa a priori, non è obbligatorio come le vaccinazioni, meglio un/una single felice che un divorzio, se proprio uno non se la sente di impegnarsi o ha troppi dubbi in primis su se stesso/a.
Perché oltre all’amore, per sposarsi, bisogna scegliere seriamente di impegnarsi quotidianamente (e non soltanto il giorno del sì), essere coscienti di non essere il principe azzurro o la principessa delle fiabe ed essere consapevoli che “nobody is perfect!”, avere voglia di migliorarsi insieme, giocarsi una scommessa quotidiana faticosa ma anche bellissima, tirare fuori il coraggio e non scappare alla prima difficoltà…
Io sono sposata da 16 anni con lo stesso uomo e sono mamma di tre figli. I primi due mesi del matrimonio sono stati sicuramente i peggiori: vivere con la persona che ami OGNI GIORNO può essere uno shock. Ma si supera se si fa appello ai valori (che parola antica e fuori moda!) e alle scelte che abbiamo maturato PRIMA del matrimonio. Il problema, a mio avviso, e ancora più a rischio in questo senso sono i figli dei separati, è maturare PRIMA del matrimonio questi valori che ci fanno persone ancor prima di coniugi: quanti genitori danno ai figli gli strumenti per fare delle scelte libere ed impegnative invece di appianare loro ogni benché minima difficoltà persino prima che aprano bocca? Quanti genitori si preoccupano di chi frequentano i figli, invece di fare finta che vada tutto bene? Quanti genitori dicono no motivati alle richieste spesso assurde che fanno i figli invece di promuovere una cultura dell’usa e getta in tutto, anche nei sentimenti? Quanti genitori trattano i figli con lealtà (altra parola antica) e da loro la pretendono invece di predicare bene e poi essere i primi a cercare di fare lo sgambetto materiale e morale al prossimo, dal superare il vicino di macchina al semaforo tagliandogli la strada al fare il furbo in ogni circostanza? Credetemi, da ex-figlia e ora da genitore, mi sono resa conto che l’esempio vale più di mille parole: se, quando siamo figli, riusciamo a scremare dal comportamento dei nostri genitori quanto di meglio ci offrono in termini di valori e se, quando diventiamo genitori, abbiamo il coraggio di vivere quotidianamente i valori che ci rendono PERSONE vere, allora, forse chi verrà dopo di noi potrà assaporare la bellezza di un sì che dura perché avrà visto con i suoi occhi che può funzionare a dispetto di quello che pretende da noi la società (è preferibile infatti fomentare l’implosione della famiglia per avere l’alibi di continuare a non fare politiche per la famiglia). Chi verrà dopo di noi sarà stato così EDUCATO all’impegno e potrà vivere il matrimonio e la vita come un bellissimo impegnativo grande gioco, dove si è veramente felici se ci si spende per far felici anche gli altri!
Cara Maria, chiedo scusa preventivamente per queste mie prime parole… ma il contenuto di questo tuo articolo mi pare molto in “stile Francesco Alberoni”: molte generalizzazioni e cliché.
Sono d’accordo pienamente con le tue prime riflessioni, ossia che al giorno d’oggi il matrimonio é quasi una moda e non viene preso sul serio.
Senza dubbio una coppia non dovrebbe divorziare ai primi sentori di qualche problema, ma dovrebbe “combattere” e affrontare le difficoltà, cercare soluzioni, e via dicendo. Semplicemente… la vita é la vita, e spesso l’infelicità della coppia é tale che la separazione o il divorzio sono l’unica soluzione. Ben venga il divorzio, e con esso l’eventuale successiva famiglia allargata! Che felicità potrà mai avere un bambino nel vivere in una famiglia in cui i genitori non si sopportano più? Te lo assicuro per esperienza diretta (come figlio) e indiretta, meglio il divorzio veloce, che trascorrere anni con genitori che restano assieme solamente per la felicità (apparente) dei figli.
Altro pensiero che mi passa per la testa, anche se politicamente scorretto: e alla salute mentale dei genitori, chi ci pensa? Ovviamente i figli sono sono la cosa più importante mai potremmo mai avere e creare al mondo: ma trascorrere 50 anni con la stessa persona “perché la vera famiglia é fatta cosí” mi sembra un inno al masochismo, e alla distruzione di qualsiasi barlume di felicità per i figli.
“Un unico tetto sulla sua naturale famiglia…che rimarrà un sogno”… o un incubo? Qui in Svezia ho solamente una manciata di amici (meno di una decina) che hanno trascorso la loro infanzia con la famiglia naturale, come tu la definisci. Sento sempre parlare di “la fidanzata di mio padre”, la mia “sorellastra” (che in svedese non suona – foneticamente- male come in italiano), la “moglie di mia mamma” (sí, moltissime famiglie allargate omosessuali, di genitori che a un certo punto della loro vita accettano il loro vero orientamento sessuale), il mio “secondo papà”.
La mia conclusione é che la felicità dei figli non deriva da quanti padri, madri o fratellastri uno ha, ma dalla serenità e sicurezza che qualsiasi costituzione famigliare può comunicare. Anche se questa serenità, a volte, può arrivare solo dopo un cammino difficile, fatto di separazioni, due camere da letto in due case diverse, nuovi componenti famigliari da accettare. Ma cos’é meglio? Restare in una famiglia i cui genitori non si sopportano e fingono di stare bene, o combattere e affrontare quei momenti difficili per poi raggiungere uno sprazzo di felicità?
Non si può generalizzare su ciò che fa bene ai figli: ogni situazione é unica, e le soluzioni a volte piú originali e lontane dai luoghi comuni di ciò che una famiglia deve essere possono portare alla vera tranquillità.
Caro Andrea,
non ti preoccupare non c’è bisogno di scuse quando si esprime il proprio pensiero. Siamo tutti liberi di farlo e il Tamarindo è nato per questo.
Ognuno ha avuto le sue esperienze personali.
Quello che volevo esprimere non è assolutamente un’esortazione ad un matrimonio infelice, ma solo la necessità di riflettere, prima, sul valore che ha un matrimonio, di capire cosa veramente si vuole fare nella vita.
E’un’analisi su quello che subiscono i figli mentre gli anni passano e la causa è in corso. La decisione del giudice in questi casi andrebbe presa il più velocemente possibile perchè il trascorrere di due anni per un bambino è molto diverso dal trascorrere di due anni per un adulto, infatti i tempi della vita di un bambino sono molto più ravvicinati. Adulti puerili , quelli che si danno battaglia allungando i tempi di una separazione già di per sè dolorosa.
Cari amici del Tamarindo,
mi trovo indubbiamente più d’accordo con Andrea che con l’autrice dell’articolo: sono convinta che per la felicità di tutti, figli in primis, le priorità assolute debbano essere amore, serenità e rispetto. Non sono forse questi i presupposti – e in un certo qual senso gli obiettivi – di un’unione, di una convivenza, di un progetto di vita insieme, di un matrimonio?
I bambini non sono essere inconsapevoli, “sballottabili” da un genitore all’altro senza coscienza di quello che sta accadendo, abbandonati ad una serenità apparente, su questo non c’è dubbio. Le corde della loro sensibilità sono sottili e vulnerabili ai cambi di tono, forse più di quanto si creda; proprio per questo, sono convinta che una dissimulazione della felicità dei genitori nel nome dei figli non sarebbe affatto costruttiva, anche se portata avanti in virtù dei migliori intenti.
Credo che vivere come figli di un matrimonio finito, trascinato per necessità o moralismo, per il bene dei bambini o per l’apparenza, non sia il miglior modo per crescere credendo nell’amore duraturo, o addirittura eterno, quanto meno stabile, sincero, nell’amore vero.
Forse il figlio di due persone che, consapevolmente e con rispetto per se stessi e per l’altro, decidano di ammettere che la loro unione non funziona sarà un adulto che crede nell’amore. Perchè magari i suoi genitori si saranno rifatti una vita e avranno trovato la serenità, magari duratura, per sempre.
Su una cosa non posso non essere d’accordo con Maria: la maturità dei genitori nell’affrontare le separazioni è fondamentale, affinchè i figli non soffrano e non diventino le pedine di un gioco di orgogli feriti e rivendicazioni infantili. Non c’è dubbio, i divorzi sono complessi e ogni caso rappresenta una storia particolare quanto difficile.
Tutti vorrebbero avere dei genitori felici che si ameranno per sempre. Ma quando ciò non accade naturalmente, quando dopo anni di tentativi e riflessioni è palese che non sia così, perchè fingere al costo dell’infelicità di tutti?
Come sempre, d’accordo con Andrea. I bambini sono sereni in un ambiente sereno, non obbligatoriamente in una famiglia tradizionale. E’ naturale che tutti sognino di nascere e crescere nella Famiglia Mulino Bianco, che il nonno li porti la sera nel casale in campagna a vedere gli aironi…però non succede così spesso. Non è per forza un dramma vivere in una famiglia spezzettata e rincollata con pezzetti di altre famiglie, non è così semplice, ma nemmeno così problematico. Se i genitori sono disgraziati e sballottano i figli a destra e a manca, lo fanno anche abitando sotto lo stesso tetto.
Per quelli della nostra generazione forse è stato peggio, io sono stata l’unica figlia di separati dall’asilo all’università, addirittura l’unica figlia unica per elementari e medie, ma effettivamente era strano solo per le vecchie maestre del paesello. Un giorno la mia compagnetta di banco Alice disse: “Mamma, perchè non ti separi anche tu da papà? Così posso andare ai giardini quando mi pare, come Anna”. Il mondo, agli occhi dei bambini, è molto meno complesso di come vogliamo vederlo noi.
Cara Anna, ti ringrazio per essere d’accordo con me. Ma non sono l’altro Andrea con cui sei spesso d’accordo eheh. D’ora in poi userò anche il cognome
Andrea: un nome, una garanzia.
Carissimi,
Le vostre riflessioni mi sembrano un po’ quelle che si fanno “a valle” di un problema come quello della famiglia allargata, che definirei piuttosto “smagliata”.
Ma c’è anche un versante “a monte”: perché è così difficile riflettere prima di sposarsi su una cosa così seria come il matrimonio? Il matrimonio uno non se lo sposa a priori, non è obbligatorio come le vaccinazioni, meglio un/una single felice che un divorzio, se proprio uno non se la sente di impegnarsi o ha troppi dubbi in primis su se stesso/a.
Perché oltre all’amore, per sposarsi, bisogna scegliere seriamente di impegnarsi quotidianamente (e non soltanto il giorno del sì), essere coscienti di non essere il principe azzurro o la principessa delle fiabe ed essere consapevoli che “nobody is perfect!”, avere voglia di migliorarsi insieme, giocarsi una scommessa quotidiana faticosa ma anche bellissima, tirare fuori il coraggio e non scappare alla prima difficoltà…
Io sono sposata da 16 anni con lo stesso uomo e sono mamma di tre figli. I primi due mesi del matrimonio sono stati sicuramente i peggiori: vivere con la persona che ami OGNI GIORNO può essere uno shock. Ma si supera se si fa appello ai valori (che parola antica e fuori moda!) e alle scelte che abbiamo maturato PRIMA del matrimonio. Il problema, a mio avviso, e ancora più a rischio in questo senso sono i figli dei separati, è maturare PRIMA del matrimonio questi valori che ci fanno persone ancor prima di coniugi: quanti genitori danno ai figli gli strumenti per fare delle scelte libere ed impegnative invece di appianare loro ogni benché minima difficoltà persino prima che aprano bocca? Quanti genitori si preoccupano di chi frequentano i figli, invece di fare finta che vada tutto bene? Quanti genitori dicono no motivati alle richieste spesso assurde che fanno i figli invece di promuovere una cultura dell’usa e getta in tutto, anche nei sentimenti? Quanti genitori trattano i figli con lealtà (altra parola antica) e da loro la pretendono invece di predicare bene e poi essere i primi a cercare di fare lo sgambetto materiale e morale al prossimo, dal superare il vicino di macchina al semaforo tagliandogli la strada al fare il furbo in ogni circostanza? Credetemi, da ex-figlia e ora da genitore, mi sono resa conto che l’esempio vale più di mille parole: se, quando siamo figli, riusciamo a scremare dal comportamento dei nostri genitori quanto di meglio ci offrono in termini di valori e se, quando diventiamo genitori, abbiamo il coraggio di vivere quotidianamente i valori che ci rendono PERSONE vere, allora, forse chi verrà dopo di noi potrà assaporare la bellezza di un sì che dura perché avrà visto con i suoi occhi che può funzionare a dispetto di quello che pretende da noi la società (è preferibile infatti fomentare l’implosione della famiglia per avere l’alibi di continuare a non fare politiche per la famiglia). Chi verrà dopo di noi sarà stato così EDUCATO all’impegno e potrà vivere il matrimonio e la vita come un bellissimo impegnativo grande gioco, dove si è veramente felici se ci si spende per far felici anche gli altri!