Doveva davvero essere la prima volta, per te, in Africa, eh?
Il tuo articolo manifesta sorpresa e genuinità pure. Splendidi sentimenti, nobili e meravigliosi, che rendono l’essere umano meno terracqueo ed un po’ più etereo, capace di districare la sua esistenza rivolgendola non solo al proprio io.
Emerge, però, anche l’altra faccia della medaglia. Il pregiudizio, cristallino quanto ferreo, che si cela dietro le tue parole: questi sono dei derelitti, dei bisognosi che, paradossalmente, non si rendono neanche conto della miseria nella quale affondano.
Ed ecco che nasce una ricetta dai risvolti potenzialmente pericolosi: combinare un buona intenzione ad un pregiudizio – piuttosto che alla scarsa conoscenza delle cose – è ciò che spinge l’Occidente (tanto per rimanere al nostro ambito ‘civilizzato’) a commettere i plateali errori della sua storia, quelle crociate – tanto antiche quanto moderne – che ci allontanano in modo irredimibile da quei mondi cui vorremmo avvicinarci – o che crediamo bisognosi del nostro intervento.
Zanzibar, isola storicamente legata ai favolosi vizi commerciali arabi e indiani, colonizzata da questi prima ancora che l’Europa si affacciasse al di là delle Colonne d’Ercole, fa parte di quella cosiddetta Africa dell’Est che, insieme a Kenya e Tanzania (di cui fa parte), rappresenta un modello di sviluppo e crescita per la stragrande maggioranza degli Stati Africani.
A differenza del Kenya e della Tanzania, Zanzibar è oggi per lo più uno scoglio turistico, sabbioso e finto, come tu stessa hai riconosciuto. Eppure, al di là dei villaggi turistici, delle discutibili vagonate di turisti italiani che, gioiosi, vi si rimpinzano con spaghetti all’aragosta alle 13.00 per poi protestare perché, insomma, alle 18.20 è buio pesto, Zanzibar dovrebbe riuscire a rivelare di più che non un quadro di miseria e disperazione.
Perché né la prima né la seconda hanno mai fatto parte della storia di questo angolo d’Africa, sfacciatamente baciato dal benessere e dalla grazia (di Allah, di Dio e di tutti gli altri).
Dici che ti straziava il cuore non poter dare una maglietta ad ogni bambino. Saresti stata preda dello stesso strazio se non avessi potuto dare un GameBoy ad ogni ragazzino di un orfanotrofio nostrano, e magari dover dire invece ‘ragazzi, divideteveli e divertitevi tutti’? So che l’immagine ti potrà apparire sprezzante. Eppure, forse non ti sei accorta che quei bambini avevano bisogno della tua maglietta tanto quanto i ragazzini di un nostro orfanotrofio possono averlo di un GameBoy. Ovvero, nessun bisogno. Solo sfogo modaiolo, vizio d’importazione occidentale, totalmente slegato ad una cultura che li vede più che sufficientemente coperti in tanga. Indossare la maglietta dello mzungu-alieno (cioè come noi siamo genuinamente percepiti dalla maggior parte di loro) finisce col rappresentare uno status non dissimile dal nostro girare con una Porsche.
Di nuovo, sembrano essere più il pregiudizio e l’intima convinzione che la tua vita sia migliore della loro a ispirarti un sincero senso di pena per le loro case di fango. Involontariamente travolgi una tradizione ed un modo di vivere che ha secoli di vita, sia pur influenzato in vario modo dal contatto con la nostra cultura.
Sulla costa dell’Oceano Indiano nessuno muore di fame. Come hai avuto modo di notare, le pance sono piene, i sorrisi beati, persi nella perenne contemplazione del pezzetto di paradiso nel quale, non a caso, tu agogni di poter spendere qualche giorno di relax da cartolina, come premio dopo mesi di fatiche trascorsi in un posto che, mutatis mutandis, non può che offrirti immensamente meno di ciò che Zanzibar offre ai suoi abitanti.
In soldoni – ed in conclusione, ché mi è venuto fuori un intervento enciclopedico – ciò che serve loro è una buona assistenza medica, qualcuno che gli inculchi un minimo di educazione sessuale e qualche camion di preservativi. Sull’esportazione delle nostre mode, per adesso, possiamo soprassedere.
Caro Matteo, il tuo interessante commento mi ha fatto riflettere…e forse sì, i miei sono dei pregiudizi all’occidentale. Eppure quello che mi fa pensare che io, in fondo, sto meglio di loro,è proprio il fatto che ho un’assistenza medica (italiana e schifosa, ma pur sempre esistente), una decente educazione sessuale e soprattutto un’aspettativa di vita che supera i 50 anni. Penso di stare meglio di loro perchè posso permettermi di andare a vedere la loro realtà mentre poichè la corrente arriva solo per la moschea, loro Roma non la vedono nemmeno in tv. E forse non sono interessati a vederla, sarà anche vero, ma possiamo dirlo noi?
Forse nella mente del bambino zanzibarino la maglietta equivale davvero a una PS3 (il Gameboy era dei tempi nostri…)di un orfanello milanese, ma la sopraccitata PS3 è desiderata quando si danno per scontato la scuola, l’ospedale, il cibo, l’acqua e tutto quello che ne deriva. Sarà anche una tradizione che noi non conosciamo e che non ci appartiene, ma il diritto di un bambino ad essere tale e quindi a non doversi adoperare per mangiare e bere credo che superi ogni differenza etnica, culturale e spaziale.
Mi permetto infine di aggiungere che rimane incomprensibile la costruzione di cotante moschee così ben attrezzate di fronte a case che si sciolgono con la pioggia. Concludendo, non vedo l’ora di tornare a bruciarmi la riga dei capelli sotto il sole cocente dell’Africa…
Doveva davvero essere la prima volta, per te, in Africa, eh?
Il tuo articolo manifesta sorpresa e genuinità pure. Splendidi sentimenti, nobili e meravigliosi, che rendono l’essere umano meno terracqueo ed un po’ più etereo, capace di districare la sua esistenza rivolgendola non solo al proprio io.
Emerge, però, anche l’altra faccia della medaglia. Il pregiudizio, cristallino quanto ferreo, che si cela dietro le tue parole: questi sono dei derelitti, dei bisognosi che, paradossalmente, non si rendono neanche conto della miseria nella quale affondano.
Ed ecco che nasce una ricetta dai risvolti potenzialmente pericolosi: combinare un buona intenzione ad un pregiudizio – piuttosto che alla scarsa conoscenza delle cose – è ciò che spinge l’Occidente (tanto per rimanere al nostro ambito ‘civilizzato’) a commettere i plateali errori della sua storia, quelle crociate – tanto antiche quanto moderne – che ci allontanano in modo irredimibile da quei mondi cui vorremmo avvicinarci – o che crediamo bisognosi del nostro intervento.
Zanzibar, isola storicamente legata ai favolosi vizi commerciali arabi e indiani, colonizzata da questi prima ancora che l’Europa si affacciasse al di là delle Colonne d’Ercole, fa parte di quella cosiddetta Africa dell’Est che, insieme a Kenya e Tanzania (di cui fa parte), rappresenta un modello di sviluppo e crescita per la stragrande maggioranza degli Stati Africani.
A differenza del Kenya e della Tanzania, Zanzibar è oggi per lo più uno scoglio turistico, sabbioso e finto, come tu stessa hai riconosciuto. Eppure, al di là dei villaggi turistici, delle discutibili vagonate di turisti italiani che, gioiosi, vi si rimpinzano con spaghetti all’aragosta alle 13.00 per poi protestare perché, insomma, alle 18.20 è buio pesto, Zanzibar dovrebbe riuscire a rivelare di più che non un quadro di miseria e disperazione.
Perché né la prima né la seconda hanno mai fatto parte della storia di questo angolo d’Africa, sfacciatamente baciato dal benessere e dalla grazia (di Allah, di Dio e di tutti gli altri).
Dici che ti straziava il cuore non poter dare una maglietta ad ogni bambino. Saresti stata preda dello stesso strazio se non avessi potuto dare un GameBoy ad ogni ragazzino di un orfanotrofio nostrano, e magari dover dire invece ‘ragazzi, divideteveli e divertitevi tutti’? So che l’immagine ti potrà apparire sprezzante. Eppure, forse non ti sei accorta che quei bambini avevano bisogno della tua maglietta tanto quanto i ragazzini di un nostro orfanotrofio possono averlo di un GameBoy. Ovvero, nessun bisogno. Solo sfogo modaiolo, vizio d’importazione occidentale, totalmente slegato ad una cultura che li vede più che sufficientemente coperti in tanga. Indossare la maglietta dello mzungu-alieno (cioè come noi siamo genuinamente percepiti dalla maggior parte di loro) finisce col rappresentare uno status non dissimile dal nostro girare con una Porsche.
Di nuovo, sembrano essere più il pregiudizio e l’intima convinzione che la tua vita sia migliore della loro a ispirarti un sincero senso di pena per le loro case di fango. Involontariamente travolgi una tradizione ed un modo di vivere che ha secoli di vita, sia pur influenzato in vario modo dal contatto con la nostra cultura.
Sulla costa dell’Oceano Indiano nessuno muore di fame. Come hai avuto modo di notare, le pance sono piene, i sorrisi beati, persi nella perenne contemplazione del pezzetto di paradiso nel quale, non a caso, tu agogni di poter spendere qualche giorno di relax da cartolina, come premio dopo mesi di fatiche trascorsi in un posto che, mutatis mutandis, non può che offrirti immensamente meno di ciò che Zanzibar offre ai suoi abitanti.
In soldoni – ed in conclusione, ché mi è venuto fuori un intervento enciclopedico – ciò che serve loro è una buona assistenza medica, qualcuno che gli inculchi un minimo di educazione sessuale e qualche camion di preservativi. Sull’esportazione delle nostre mode, per adesso, possiamo soprassedere.
Caro Matteo, il tuo interessante commento mi ha fatto riflettere…e forse sì, i miei sono dei pregiudizi all’occidentale. Eppure quello che mi fa pensare che io, in fondo, sto meglio di loro,è proprio il fatto che ho un’assistenza medica (italiana e schifosa, ma pur sempre esistente), una decente educazione sessuale e soprattutto un’aspettativa di vita che supera i 50 anni. Penso di stare meglio di loro perchè posso permettermi di andare a vedere la loro realtà mentre poichè la corrente arriva solo per la moschea, loro Roma non la vedono nemmeno in tv. E forse non sono interessati a vederla, sarà anche vero, ma possiamo dirlo noi?
Forse nella mente del bambino zanzibarino la maglietta equivale davvero a una PS3 (il Gameboy era dei tempi nostri…)di un orfanello milanese, ma la sopraccitata PS3 è desiderata quando si danno per scontato la scuola, l’ospedale, il cibo, l’acqua e tutto quello che ne deriva. Sarà anche una tradizione che noi non conosciamo e che non ci appartiene, ma il diritto di un bambino ad essere tale e quindi a non doversi adoperare per mangiare e bere credo che superi ogni differenza etnica, culturale e spaziale.
Mi permetto infine di aggiungere che rimane incomprensibile la costruzione di cotante moschee così ben attrezzate di fronte a case che si sciolgono con la pioggia. Concludendo, non vedo l’ora di tornare a bruciarmi la riga dei capelli sotto il sole cocente dell’Africa…