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(Italiano) Una, nessuna, centomila nazioni: quante Italie per le donne?

26 May 2008
Published in Attualità, Fiori
by Michel Serafinelli e Pamela Campa

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6 Responses to “(Italiano) Una, nessuna, centomila nazioni: quante Italie per le donne?”

  1. William Sbrega says:

    Credo sia questo il cardine dell’articolo:

    “La conclusione importante è che l’esistenza di un sostrato culturale adeguato è condizione necessaria perché ogni misura di tipo economico-istituzionale”

    il problema è che un sostrato culturale, per citare una famosa legge della termodinamica, non si crea nè si distrugge. Quindi le cose rimarranno così ancora a lungo, a mio parere.

    Comunque complimenti alla coppia di economisti

  2. B.P.D.M. says:

    grande pammmi ;-)
    l’articolo è meraviglioso!
    quello della parità di trattamento e delle pari opportunità tra uomo e donna sul lavoro cositutisce uno dei problemi (ancora aperti) del diritto del lavoro..ed è incontestabile che alla soluzione si debba arrivare per approssimazioni successive dal momento che essi richiedono innanzitutto un profondo cambiamento nella cultura prima ancora che nella politica legislativa di un certo sistema sociale..
    ma non si può negare che non pochi passi sono stai compiuti in questa direzione (soprattutto grazie al diritto comunitario..)..basti pensare che fino agli anni 60-70 erano presenti clausole contrattuali che prevedevano la risoluzione del rapporto lavorativo in conseguenza del matrimonio o il licenziamento in caso di gravidanza..

    ha ragione però William..prima di giungere ad una ‘parità sostanziale’ dovrà passare ancora del tempo…

  3. Pamela says:

    william ha più che ragione. come del resto hai ragione tu a ricordare i passi avanti fatti grazie a previsioni legislative che suppliscono alle carenze della nostra cultura di genere. il problema è che la legge ha gioco più facile nell’intervenire a livello “macro” (pensa alle quote rosa in politica) o nel cercare di modulare i comportamenti all’interno delle imprese (legge contro il licenziamento, appunto). invece diventa difficile entrare tramite il diritto tra le mura domestiche, cambiare gli equilibri che esistono all’interno di una coppia, dove c’è una sorta di “bargaining” tra marito e moglie per la divisione dei compiti in casa e per la cura dei figli. è lì a mio avviso che si annida la sfida più grossa. perchè non è possibile varare una legge che prescriva “uomo e donna devono ugualmente contribuire al lavoro domestico”, oppure che assicuri che “i bambini non soffrono se la madre lavora”. bisogna creare gli incentivi giusti per creare i comportamenti desiderati, non imporli. e la portata di un’operazione del genere è immane.
    un grande problema per esempio è la tendenza delle madri italiane (e ancor di più di quelle meridionali) ad essere mediamente più apprensive nei confronti dei figli rispetto alle altre donne in europa. il rapporto dell’istat “essere madri in italia” porta alla luce la condizione di molte donne italiane che dichiarano di sentirsi in colpa perchè lavorano e dedicano poco tempo ai figli. Un bel paper di Fernandez-Fogli (2007) mostra come le donne “rivedano” queste loro credenze nel momento in cui possono confrontarsi con altri modelli positivi di madri che lavorano e vivono dei rapporti sereni con i figli. esiste la possibilità di contagio, insomma. è difficilissimo “aggiornare” la cultura avete ragione, si tratta di trasformazioni che operano su tempi lunghissimi, ma non siamo senza speranza. e proprio perchè i tempi saranno lunghi prima si prende in considerazione questa dimensione del problema meglio sarà per tutti!

  4. RICCARDO says:

    Complimenti davvero.
    La questione, in ogni caso, è molto complessa, ma ciò non giustifica l’immobilismo. Effettivamente si parla di tempi lunghi, vere ere geologiche per la politica, capace di navigare a vista, in un mare di nebbie ed incertezze, con orizzonti temporali dell’ordine di poche settimane. Tanto che, anche supposta la volontà di intervenire a sostegno della parità (elemento non scontato, conoscendo le resistenze familiste/tradizionaliste di gran parte dell’arco parlamentare italiano), si dovrà vedere quale potrà essere l’effettiva capacità di un governo di intervenire a riguardo. Intendiamoci, il sostrato culturale non si crea né si distrugge, ma è tutto fuorché immutabile. Tempo fa si è capito che ogni tradizione non è altro che un’invenzione, che anche il rito più antico, nel cercare di rimanere uguale a se stesso, si modifica inevitabilmente. Seppur lentamente, le cose cambiano e sono destinate a cambiare. Bisogna vedere quanto tempo si perderà, prima di capire in che direzione si sta andando.

  5. William Sbrega says:

    Voi però sottovalutate un aspetto importante della questione. I “progressi” degli ultimi 30-40 anni non vengono esclusivamente da leggi sociali, ma soprattutto da cambiamenti economici. Voi sottovalutate la componente “uno stipendio non basta più”, cioè.. la donna lavora per necessità o per piacere personale?
    Io sinceramente, se potessi e se avessi un figlio, gli starei dietro come una mamma del sud italia.

    Credo che in un mondo utopico nessuno lavorerebbe: Adamo ed Eva se ne stavano tutto il giorno a mangiare sotto gli alberi..

  6. PAMELA E MICHEL says:

    william sbrega,

    A) troviamo interessante lo spunto nella prima parte del tuo
    intervento, perchè tocca una questione fondamentale nel “viaggio tra economia e società”, quello di “cosa determina cosa”.

    nell’articolo successivo a questo sul gender-gap accenniamo al problema della “casualità”, che può andare nei due sensi 1. Cultura —->
    Outcomes Economici, ma poi anche 2. Outcomes Economici (“Cambiamenti” nel
    tuo intervento) —-> Cultura.

    Torrente di Fuoco (..) direbbe “l’uomo è ciò che mangia, è un tubo
    digerente”. L’ipotesi alternativa quindi è che non sia la cultura
    a portare le donne a lavorare di più, ma piuttosto siano i cambiamenti economici a causare un aggiornamento dei beliefs.

    gli economisti chiamano questo problema “endogeneità”, e quelli seri adottano degli appositi strumenti statistici per accertarsi che
    quella che stanno catturando sia una variazione “esogena” della cultura.

    non sarà mai in ogni caso risolvere il dilemma marx vs weber

    inoltre tu sembri parlare direttemante di scelte delle donne, e non hai in mente beliefs e preferenze (che sono misurate dai sondaggi) ma direttamente le scelte (che nella tua idea sono causate da altro, non dalla “cultura”)

    allora la tua critica è forse più vicina all’idea che mancano variabili di controllo

    insomma osservo tante cicogne e tanti bambini, o se le son portati nel fagotto, oppure manca qualcosina nel modello eh eh

    in realtà queste sono solo intuizioni, la questione non è così semplice, e poi ci sono diverse possibili soluzioni in letteratura

    ma sarebbe lunga

    in ogni caso hai colto nel segno

    B) invece sull’affermazione “se potessi e se avessi un figlio, gli starei dietro come le mamme del sud italia” invece, ci
    sentiamo di commentare ulteriormente in un senso diverso dal tuo

    in brevis

    1)in generale noi giovani dovremmo auspicare ad una società in cui ognuno impieghi il proprio tempo “al margine”,
    dando alla società quello che sa fare meglio (se una donna ha studiato ingegneria la società vorrebbe che facesse quel mestiere). oggi in Italia le donne sono una risorsa spesso sprecata, visto che sempre più ragazze raggiungono livelli di istruzione elevati.

    cio’ non significa che debbano lavorare sempre, nè “esternalizzare i sentimenti”.

    semplicemente potrebbero trovare conveniente usufruire di un determinato set di servizi
    (childcare, per citarne uno) e utilizzare appunto il tempo e le energie liberate per fare quello in cui si sono specializzate.

    2)ci crediamo che tu staresti dietro a un figlio come una mamma del
    sud italia. ma per quanto tempo? lo faresti sempre? sarebbe ottimale per
    la società?

    3)dando uno sguardo ai dati c’è comunque un problemino.
    supponiamo che vogliamo prenderci davvero più cura dei figli.
    perchè a siracusa su 100 lavoratori solo 27 sono donne? se la “vicinanza” ai bambini ci sta tanto a cuore
    allora ci aspetteremmo 50 donne e 50 uomini al lavoro, e 50 donne e 50 uomini a casa a fare i genitori.

    4)supponiamo che vuoi stare a casa con tuo figlio, e poi un bel giorno quando lui è grande e va a scuola, ha i suoi amici, i suoi interessi, tu ti stanchi e decidi di voler lavorare. in una società sviluppata dovresti avere il DIRITTO di farlo, senza che nessuno, che sia la tua compagna di vita o un imprenditore, ti discriminino sulla base del tuo sesso. in una società sviluppata ci deve essere uguaglianza di opportunità, perchè ognuno abbia la libertà di scegliere la vita che più gli piace. “development as freedom” è la grande idea con cui amartya sen ha rivoluzionato il concetto di sviluppo. è una società ideale, irrealizzabile, ma a cui la realtà dovrebbe sempre tendere. e allora diamo alle donne
    che vogliano lavorare la possibilità di farlo, poi sceglieranno loro, e non i mariti o i datori di lavoro, se stare a casa con i figli oppure no!