Cara Margherita,
sono una studentessa italiana anche io e condivido pienamente la tua opinione riguardante la preparazione che ci fornisce l’università italiana. Non scorderò mai una mia compagna di Erasmus in crisi di panico perchè doveva esporre una tesina di 3 pagine davanti a una classe di 8 persone con tanto di foglio in mano. Era francese, al 3 anno di traduzione e alla sua prima parola in pubblico. Mi ritengo fortunata per aver frequentato una facoltà tutta particolare che pur torchiandomi con 8 ore di lezione al giorno e compiti da consegnare settimanalmente, mi ha permesso di non perdere di vista né verba né scripta. Detto questo, rimango dell’opinione che nulla può l’università se non fornire una base di tecnicismi che poi ognuno si arricchisce personalmente e a proprio gusto. Buon proseguimento e in bocca al lupo per la tua carriera!
Penso che il “metodo italiano” delle università non sia lo stesso in tutta la penisola. non so qual è stata la tua università italiana ma le differenze tra un polo e l’altro ci sono. io ho studiato a siena e a pisa e l’approccio è diverso anche nella stessa regione. sia dal punto di vista del rapporto insegnante-studente, che nelle università più piccole – o con una tradizione spiccatamente colloquiale – è certamente diverso dai grandi poli con decine di migliaia di iscritti, sia nel metodo di verifica. a pisa ad esempio si usa molto – a volte anche troppo – come metodo d’esame il preparare una tesina di 15-20 pagine o esporre un progetto magari con una presentazione powerpoint. a siena gli esami erano più “classici” anche se spesso si mischiavano i metodi. a volte erano previste prove in itinere e poi orale finale. altre volte la presentazione di seminari. capisco che in un’ottica lavorativa si possa preferire una visione più pratica, ma io al contrario difendo la prospettiva italiana, lasciando all’eccellenza dei nostri professori (che ancora rimangono, anche se dall’alto si sta cercando di smantellare l’università pubblica) la capacità di aggiornare i metodi. anche perchè come metodo di verifica delle conoscenze penso che il colloquio sia ancora la forma migliore. e poi ho paura delle università sottoposte al mondo lavorativo: rischiamo di convincerci d’essere bulloni di una macchina. ciao
Cara Margherita,
sono una studentessa italiana anche io e condivido pienamente la tua opinione riguardante la preparazione che ci fornisce l’università italiana. Non scorderò mai una mia compagna di Erasmus in crisi di panico perchè doveva esporre una tesina di 3 pagine davanti a una classe di 8 persone con tanto di foglio in mano. Era francese, al 3 anno di traduzione e alla sua prima parola in pubblico. Mi ritengo fortunata per aver frequentato una facoltà tutta particolare che pur torchiandomi con 8 ore di lezione al giorno e compiti da consegnare settimanalmente, mi ha permesso di non perdere di vista né verba né scripta. Detto questo, rimango dell’opinione che nulla può l’università se non fornire una base di tecnicismi che poi ognuno si arricchisce personalmente e a proprio gusto. Buon proseguimento e in bocca al lupo per la tua carriera!
Penso che il “metodo italiano” delle università non sia lo stesso in tutta la penisola. non so qual è stata la tua università italiana ma le differenze tra un polo e l’altro ci sono. io ho studiato a siena e a pisa e l’approccio è diverso anche nella stessa regione. sia dal punto di vista del rapporto insegnante-studente, che nelle università più piccole – o con una tradizione spiccatamente colloquiale – è certamente diverso dai grandi poli con decine di migliaia di iscritti, sia nel metodo di verifica. a pisa ad esempio si usa molto – a volte anche troppo – come metodo d’esame il preparare una tesina di 15-20 pagine o esporre un progetto magari con una presentazione powerpoint. a siena gli esami erano più “classici” anche se spesso si mischiavano i metodi. a volte erano previste prove in itinere e poi orale finale. altre volte la presentazione di seminari. capisco che in un’ottica lavorativa si possa preferire una visione più pratica, ma io al contrario difendo la prospettiva italiana, lasciando all’eccellenza dei nostri professori (che ancora rimangono, anche se dall’alto si sta cercando di smantellare l’università pubblica) la capacità di aggiornare i metodi. anche perchè come metodo di verifica delle conoscenze penso che il colloquio sia ancora la forma migliore. e poi ho paura delle università sottoposte al mondo lavorativo: rischiamo di convincerci d’essere bulloni di una macchina. ciao