chapeau. pieno di significati politici..
oltre che di immagini.
vorrei postarne anche io una di immagine, una positiva
ripensavo a un qualche documentario sui giorni del colera. arrivarono
gli americani con quelle strane « pistole » per la vaccinazione di massa.
quella scena bellissima di tutti i cittadini in fila..
questi banchetti allestiti tra un vicolo e l’altro.
delle righe lunghissime, puoi immaginarti quanti fossero in coda..
ma erano righe straordinariamente ordinate.
e colpisce perchè lì si era davvero tra la fine del Paradosso e l’inizio dell’Incubo.
il clima era quanto dei più difficili si possano immaginare.
ma le righe erano davvero pefette.
non era perchè era arrivato qualcuno dall’esterno
gli americani erano sì ad aiutare ma erano pochi e naturalmente non era loro compito preoccuparsi di tutto
era che tutta la città si ritrovava in quel momento unita nel rispetto e nella pazienza
Come non esprimere apprezzamento sincero per un simile pezzo.
Come ha detto Michel, chapeau.
Le idee espresse nei nostri due articoli si confermano complementari per la massima parte, eppure anche in quella dove divergono offrono uno spunto di dibattito che credo valga la pena almeno accennare.
Riprendendo l’ordine del tuo articolo:
1- sulle élites assenti. Passami la cinica espressione ma… in questi giorni andare in parlamento è da considerarsi quasi peggio che andare in televisione. Chi si espone, in una qualsiasi forma di partecipazione politica (anche solo nel senso di ars civica più semplice) finisce per bruciarsi in un rogo di stereotipi, piuttosto che venire costretto a fare lo Yes-man prima di riuscire a fare 1/100 di ciò che si era proposto. Sia pur considerando che la colta intelligenza delle élites è in genere più adatta alla critica (costruttiva, magari) che non al governo reale (qualche rimando storico, come dire, ‘terrorizzante’?), è ormai diffusissimo il senso di disfatta nei confronti di questa situazione. E si sa, dalle nostre parti come altrove, nessuno è tanto prono a salire sul carro della sconfitta…
2- Unico punto di distinzione importante fra noi. Dici ‘…Il rischio per lo Stato è quello di esser percepito non troppo diversamente dalla camorra stessa…’. E allora? Concedimi la cinica brutalità ma, in extremis, lo Stato può anche agire come la camorra. E’ la camorra che non può (o non dovrebbe potere) agire mai come Stato. Altrimenti è anarchia. Nell’infinito vaso dei disastri umani, dobbiamo davvero scegliere cosa sia meglio tra una tirannide e l’anarchia? Pistola alla testa, forse una preferenza riuscirei a manifestarla.
3- Sui rifiuti. E’ vero, parte di quelli tossici vengono dal nord. Ma la provenienza è determinata da normali rapporti intergovernativi tra regioni e regolari contratti con società che sono poi, in effetti, controllate da camorra et similia. Però dico: non è il Piemonte che getta i liquami velenosi della FIAT nel Vesuvio…
4- ultimo punto di riflessione divergente: (voglio credere che) la camorra non sia considerabile, neanche in ipotesi, la migliore delle istutuzioni possibili, da nessuno. Credo si possa dire che un’organizzazione criminale non può ‘istituzionalizzarsi’ anzitutto per un problema ‘ontologico’: a camorra e compari non stanno a cuore gli interessi della collettività in genere ma soltanto quelli della sua gente(e, in subordine, dei suoi sottoposti). D’altra parte, basando il proprio potere d’attrazione su violenza, illecito e forte gerarchia, ed essendosi radicata in modo irreversibile nel territorio, come può lo Stato offrire un’alternativa credibile senza ricorrere alla forza (e cioè senza sostituirsi temporaneamente alla camorra stessa?). E rieccoci al punto 2.
Questi gli spunti di riflessione che il tuo articolo ha ‘insinuato’. E di cui ti ringrazio.
Complimenti ancora.
Credo che la tua posizione e quella di Matteo siano conciliabili. Il dicator e’ una soluzione di breve periodo, i tuoi richiami all’accountability, al ruolo delle elites, all’azione della magistratura, rientrano in un’ottica di lungo periodo. Cio’ non significa che il dictator debba entrare in azione ora e tutto quello che tu suggerisci possa essere rimandato al futuro. Proprio questo sarebbe l’errore piu’grave, come mi pare il tuo articolo enfatizzi.
La mia preoccupazione riguardo al dictator e’ che coloro che oggi lo impongono, ovvero le istituzioni nazionali e locali, siano tra i responsabili, almeno in negativo, della tragedia campana. Dove erano queste istituzioni quando bastava controllare i contenuti dei camion che trasportavano il male dal Nord al Sud? Dove erano queste istituzioni quando le concessioni per le discariche erano attribuite a persone limpidamente vicine ai clan cammoristi? Dove erano queste istituzioni quando era indispensabile capire dove finissero una parte dei rifiuti prodotti in Lombardia la cui destinazione e’ sempre stata oscura? (vedi Gomorra). Dove erano quando non si capiva di cosa esattamente si occupassero i tanti “broker” dei rifiuti che proliferavano in Campania?
Il vero problema a mio avviso e’ che il dictator, in quanto imposto da istituzioni finora colpevolmente assenti e omertose, inizia la sua attivita’ gia’ con un forte deficit di credibilita’.
E allora, faccia il doppio, triplo, quadruplo sforzo per conquistare tutta la credibilita’ che non ha, non limitandosi ad imporre le discariche ai cittadini in rivolta, ma contribuendo a correggere tutte le distorsioni che Riccardo ha individuato.
Un’ultima nota: dire che i rifiuti tossici che provengono dal Nord rientrano nei normali accordi tra regioni non e’ propriamente corretto. Le regioni non si sono accordate perche’ gli imprenditori mettessero i rifiuti prodotti dalla rispettive imprese nelle mani della camorra. Gli imprenditori non sapevano? Ma la Fiat non si e’ chiesta perche’ in Campania si offriva la possibilita’ di smaltire i rifiuti a prezzi fino all’80% inferiori rispetto a quelli praticati dai regolari centri di smaltimento?
Grazie ragazzi per gli interessanti spunti di riflessione che avete offerto!
Sono contento, non solo per i complimenti, di cui vi ringrazio, ma anche, e soprattutto, per gli spunti di dibattito che avete offerto, con lucidità e prontezza…
Partirei dal punto secondo, del commento di Matteo, perché in fondo è alla base delle diverse sfumature. Non dico divergenze, perché il mio articolo era nato come commento proprio alla questione del « dictator » dell’articolo precedente, punto di partenza inevitabile. In fondo, come ha sottolineato Pamela, le nostre posizioni sono conciliabili, agendo su diversi archi temporali, ma accomunate dal medesimo sentimento di urgenza ed emergenza. Anzi, direi che sono complementari, due fasi fondamentali nella gestione della crisi e nella ricerca delle soluzioni. Certo, il mio approccio risulta essere più nuancé e meno decisionista, più garantista se si vuole, ma non so quanto tutto questo sia dovuto a differenze sulla concezione del problema o a diversi archi temporali su cui si immagina l’intervento. Certo, neanche io credo all’istituzionalizzazione della camorra, anche solo per il fatto che non credo affatto che essa abbia alcuna intenzione di farsi regolarizzare, ma non credo che la forza sia la soluzione, proprio nel momento in cui non agisce sulle cause, ma si limita a nasconderne i sintomi.
Proprio il problema della Stato è fondamentale in un discorso sulla responsabilità, e andrebbe approfondito. Per cogliere lo spunto di Pamela, è vero che stiamo assistendo ad un fallimento dello Stato, ora in deficit di credibilità e sicuramente colpevole. Ma anche su questo ho piccole riserve. Ogni volta che si tirano in ballo le responsabilità della Stato si rischia di cadere in una trappola, dovuta proprio all’indefinitezza della concezione di Stato. Si parla di fallimento dello Stato inteso come amministrazione centrale/politica nazionale? Si parla di fallimento di apparati locali dello Stato? O ancora si parla di fallimento di uno Stato intero, inclusi i cittadini?
La prima concezione, quella che va molto di moda nei dibattiti sul meridione, è a ben vedere abbastanza vaga. Lo Stato non c’è, non fa abbastanza per Napoli,per il Sud,per il degrado,per lo sviluppo. Troppo spesso queste critiche peccano di semplicismo (o populismo), pensando che il potere di intervento di Roma debba e possa essere infinito, capace, se solo volesse, di risolvere le situazioni. Non credo sia così, non credo che lo Stato abbia capacità di intervento così capillare, né che sia in grado da solo di risolvere da solo le cose (ed ecco che ritorna la mia critica ad un intervento esterno, o percepito come tale). Non entro sul dibattito della volontà (bisognerebbe analizzare le politiche pubbliche una per una, valutarle per il fini che perseguono ed i gradi di efficacia con cui sono state ideate ed applicate, periodo per periodo, non essendo la semplice constatazione di un fallimento generalizzato un indicatore valido a misurare le volontà), ma su quello delle possibilità ci sarebbe molto da dire. Proprio Nel caso napoletano è difficile vedere responsabilità puntuali delle amministrazioni centrali, che non fanno molto, ma che rispetto a quanto fanno in altre regioni caratterizzate da pratiche più virtuose, fanno già molto. A livello finanziario l’intervento centralizzato non credo che sia inferiore a sud rispetto a nord, ma i risultati sono opposti. Forse, per spiegare performance così diverse, si deve passare ad una visione più ampia di Stato, almeno fino a comprendere una dimensione locale, quelle amministrazioni chiamate ad implementare ad applicare le varie politiche nel concreto. In questa concezione, lo Stato che deve fare il triplo diventa non solo Roma che deve fare il triplo,ma anche e soprattutto le amministrazioni locali, la regione, i comuni, la politica locale e le elites locali che devono fare il triplo: Napoli deve fare il triplo. Il passaggio successivo è quello di Stato comunità, che elegge, nomina e legittima in maniera varia la propria dirigenza. La comunità che sposando la piccola illegalità di ogni giorno vota e legittima l’esistenza della camorra. La legalità che votando la clientela, vota e legittima il malgoverno. La comunità che è responsabile per i propri dirigenti (vale anche a livello nazionale, intendiamoci).
Allora, chi deve fare tre volte di più?
Le distorsioni non si possono eliminare dall’alto e basta. Il processo per essere efficace deve essere doppio, dall’alto al basso e viceversa (e, per me, deve soprattutto partire dal basso). Sarebbe solo uno (l’ennesimo) spreco di risorse. In pratica, la palla è in mano ai napoletani, se non cominciano loro lo Stato non solo difficilmente agirà, ma neanche potrà farlo.
Ritorno all’immagine di michel (potere incredibile del simbolo, complimenti), in cui c’è chiuso tutto l’intervento esterno ed efficace (USA come Stato/dictator), effetto positivo (vaccino e guarigione colera), capillarità dell’azione (in ogni vicoletto, molti banchetti). Ma il segreto del successo non sta solo in questo, sta nel comportamento di napoletani: tutti in fila ordinata dietro ai banchetti. Non erano file imposte, erano file naturali, autoformatesi nella convinzione che con un piccolo sacrificio ne avrebbero beneficiato tutti, nella convinzione che fosse la cosa giusta da fare.
Se si vuole fare il salto di qualità, si cominci a stare dietro ai banchetti, ordinati, senza fregare il posto o cercare scorciatoie e furbizie. Ma non per spirito Cristiano, solo perché si deve capire che solo così le cose possono funzionare. Se noi per primi non la facciamo , è inutile poi lamentarsi dei risultati, o che nessuno faccia abbastanza per salvarci. Ma è un discorso che non vale per il solo Sud, ma per tutto il Paese, e più in generale per una altra grande questione che, mai nominata, sta alla base del discorso, ovvero la vera questione irrisolta in Italia, la cittadinanza. Ma meglio fermarsi per ora, che ho già annoiato abbastanza, ed ho gia fatto abbastanza confusione.
Ognuno ha i governanti che si merita. Basta rendersene conto.
riccardo,
chapeau. pieno di significati politici..
oltre che di immagini.
vorrei postarne anche io una di immagine, una positiva
ripensavo a un qualche documentario sui giorni del colera. arrivarono
gli americani con quelle strane « pistole » per la vaccinazione di massa.
quella scena bellissima di tutti i cittadini in fila..
questi banchetti allestiti tra un vicolo e l’altro.
delle righe lunghissime, puoi immaginarti quanti fossero in coda..
ma erano righe straordinariamente ordinate.
e colpisce perchè lì si era davvero tra la fine del Paradosso e l’inizio dell’Incubo.
il clima era quanto dei più difficili si possano immaginare.
ma le righe erano davvero pefette.
non era perchè era arrivato qualcuno dall’esterno
gli americani erano sì ad aiutare ma erano pochi e naturalmente non era loro compito preoccuparsi di tutto
era che tutta la città si ritrovava in quel momento unita nel rispetto e nella pazienza
un momento molto bello secondo me
Come non esprimere apprezzamento sincero per un simile pezzo.
Come ha detto Michel, chapeau.
Le idee espresse nei nostri due articoli si confermano complementari per la massima parte, eppure anche in quella dove divergono offrono uno spunto di dibattito che credo valga la pena almeno accennare.
Riprendendo l’ordine del tuo articolo:
1- sulle élites assenti. Passami la cinica espressione ma… in questi giorni andare in parlamento è da considerarsi quasi peggio che andare in televisione. Chi si espone, in una qualsiasi forma di partecipazione politica (anche solo nel senso di ars civica più semplice) finisce per bruciarsi in un rogo di stereotipi, piuttosto che venire costretto a fare lo Yes-man prima di riuscire a fare 1/100 di ciò che si era proposto. Sia pur considerando che la colta intelligenza delle élites è in genere più adatta alla critica (costruttiva, magari) che non al governo reale (qualche rimando storico, come dire, ‘terrorizzante’?), è ormai diffusissimo il senso di disfatta nei confronti di questa situazione. E si sa, dalle nostre parti come altrove, nessuno è tanto prono a salire sul carro della sconfitta…
2- Unico punto di distinzione importante fra noi. Dici ‘…Il rischio per lo Stato è quello di esser percepito non troppo diversamente dalla camorra stessa…’. E allora? Concedimi la cinica brutalità ma, in extremis, lo Stato può anche agire come la camorra. E’ la camorra che non può (o non dovrebbe potere) agire mai come Stato. Altrimenti è anarchia. Nell’infinito vaso dei disastri umani, dobbiamo davvero scegliere cosa sia meglio tra una tirannide e l’anarchia? Pistola alla testa, forse una preferenza riuscirei a manifestarla.
3- Sui rifiuti. E’ vero, parte di quelli tossici vengono dal nord. Ma la provenienza è determinata da normali rapporti intergovernativi tra regioni e regolari contratti con società che sono poi, in effetti, controllate da camorra et similia. Però dico: non è il Piemonte che getta i liquami velenosi della FIAT nel Vesuvio…
4- ultimo punto di riflessione divergente: (voglio credere che) la camorra non sia considerabile, neanche in ipotesi, la migliore delle istutuzioni possibili, da nessuno. Credo si possa dire che un’organizzazione criminale non può ‘istituzionalizzarsi’ anzitutto per un problema ‘ontologico’: a camorra e compari non stanno a cuore gli interessi della collettività in genere ma soltanto quelli della sua gente(e, in subordine, dei suoi sottoposti). D’altra parte, basando il proprio potere d’attrazione su violenza, illecito e forte gerarchia, ed essendosi radicata in modo irreversibile nel territorio, come può lo Stato offrire un’alternativa credibile senza ricorrere alla forza (e cioè senza sostituirsi temporaneamente alla camorra stessa?). E rieccoci al punto 2.
Questi gli spunti di riflessione che il tuo articolo ha ‘insinuato’. E di cui ti ringrazio.
Complimenti ancora.
Riccardo,
Mi unisco al coro di complimenti!
Credo che la tua posizione e quella di Matteo siano conciliabili. Il dicator e’ una soluzione di breve periodo, i tuoi richiami all’accountability, al ruolo delle elites, all’azione della magistratura, rientrano in un’ottica di lungo periodo. Cio’ non significa che il dictator debba entrare in azione ora e tutto quello che tu suggerisci possa essere rimandato al futuro. Proprio questo sarebbe l’errore piu’grave, come mi pare il tuo articolo enfatizzi.
La mia preoccupazione riguardo al dictator e’ che coloro che oggi lo impongono, ovvero le istituzioni nazionali e locali, siano tra i responsabili, almeno in negativo, della tragedia campana. Dove erano queste istituzioni quando bastava controllare i contenuti dei camion che trasportavano il male dal Nord al Sud? Dove erano queste istituzioni quando le concessioni per le discariche erano attribuite a persone limpidamente vicine ai clan cammoristi? Dove erano queste istituzioni quando era indispensabile capire dove finissero una parte dei rifiuti prodotti in Lombardia la cui destinazione e’ sempre stata oscura? (vedi Gomorra). Dove erano quando non si capiva di cosa esattamente si occupassero i tanti “broker” dei rifiuti che proliferavano in Campania?
Il vero problema a mio avviso e’ che il dictator, in quanto imposto da istituzioni finora colpevolmente assenti e omertose, inizia la sua attivita’ gia’ con un forte deficit di credibilita’.
E allora, faccia il doppio, triplo, quadruplo sforzo per conquistare tutta la credibilita’ che non ha, non limitandosi ad imporre le discariche ai cittadini in rivolta, ma contribuendo a correggere tutte le distorsioni che Riccardo ha individuato.
Un’ultima nota: dire che i rifiuti tossici che provengono dal Nord rientrano nei normali accordi tra regioni non e’ propriamente corretto. Le regioni non si sono accordate perche’ gli imprenditori mettessero i rifiuti prodotti dalla rispettive imprese nelle mani della camorra. Gli imprenditori non sapevano? Ma la Fiat non si e’ chiesta perche’ in Campania si offriva la possibilita’ di smaltire i rifiuti a prezzi fino all’80% inferiori rispetto a quelli praticati dai regolari centri di smaltimento?
Grazie ragazzi per gli interessanti spunti di riflessione che avete offerto!
Sono contento, non solo per i complimenti, di cui vi ringrazio, ma anche, e soprattutto, per gli spunti di dibattito che avete offerto, con lucidità e prontezza…
Partirei dal punto secondo, del commento di Matteo, perché in fondo è alla base delle diverse sfumature. Non dico divergenze, perché il mio articolo era nato come commento proprio alla questione del « dictator » dell’articolo precedente, punto di partenza inevitabile. In fondo, come ha sottolineato Pamela, le nostre posizioni sono conciliabili, agendo su diversi archi temporali, ma accomunate dal medesimo sentimento di urgenza ed emergenza. Anzi, direi che sono complementari, due fasi fondamentali nella gestione della crisi e nella ricerca delle soluzioni. Certo, il mio approccio risulta essere più nuancé e meno decisionista, più garantista se si vuole, ma non so quanto tutto questo sia dovuto a differenze sulla concezione del problema o a diversi archi temporali su cui si immagina l’intervento. Certo, neanche io credo all’istituzionalizzazione della camorra, anche solo per il fatto che non credo affatto che essa abbia alcuna intenzione di farsi regolarizzare, ma non credo che la forza sia la soluzione, proprio nel momento in cui non agisce sulle cause, ma si limita a nasconderne i sintomi.
Proprio il problema della Stato è fondamentale in un discorso sulla responsabilità, e andrebbe approfondito. Per cogliere lo spunto di Pamela, è vero che stiamo assistendo ad un fallimento dello Stato, ora in deficit di credibilità e sicuramente colpevole. Ma anche su questo ho piccole riserve. Ogni volta che si tirano in ballo le responsabilità della Stato si rischia di cadere in una trappola, dovuta proprio all’indefinitezza della concezione di Stato. Si parla di fallimento dello Stato inteso come amministrazione centrale/politica nazionale? Si parla di fallimento di apparati locali dello Stato? O ancora si parla di fallimento di uno Stato intero, inclusi i cittadini?
La prima concezione, quella che va molto di moda nei dibattiti sul meridione, è a ben vedere abbastanza vaga. Lo Stato non c’è, non fa abbastanza per Napoli,per il Sud,per il degrado,per lo sviluppo. Troppo spesso queste critiche peccano di semplicismo (o populismo), pensando che il potere di intervento di Roma debba e possa essere infinito, capace, se solo volesse, di risolvere le situazioni. Non credo sia così, non credo che lo Stato abbia capacità di intervento così capillare, né che sia in grado da solo di risolvere da solo le cose (ed ecco che ritorna la mia critica ad un intervento esterno, o percepito come tale). Non entro sul dibattito della volontà (bisognerebbe analizzare le politiche pubbliche una per una, valutarle per il fini che perseguono ed i gradi di efficacia con cui sono state ideate ed applicate, periodo per periodo, non essendo la semplice constatazione di un fallimento generalizzato un indicatore valido a misurare le volontà), ma su quello delle possibilità ci sarebbe molto da dire. Proprio Nel caso napoletano è difficile vedere responsabilità puntuali delle amministrazioni centrali, che non fanno molto, ma che rispetto a quanto fanno in altre regioni caratterizzate da pratiche più virtuose, fanno già molto. A livello finanziario l’intervento centralizzato non credo che sia inferiore a sud rispetto a nord, ma i risultati sono opposti. Forse, per spiegare performance così diverse, si deve passare ad una visione più ampia di Stato, almeno fino a comprendere una dimensione locale, quelle amministrazioni chiamate ad implementare ad applicare le varie politiche nel concreto. In questa concezione, lo Stato che deve fare il triplo diventa non solo Roma che deve fare il triplo,ma anche e soprattutto le amministrazioni locali, la regione, i comuni, la politica locale e le elites locali che devono fare il triplo: Napoli deve fare il triplo. Il passaggio successivo è quello di Stato comunità, che elegge, nomina e legittima in maniera varia la propria dirigenza. La comunità che sposando la piccola illegalità di ogni giorno vota e legittima l’esistenza della camorra. La legalità che votando la clientela, vota e legittima il malgoverno. La comunità che è responsabile per i propri dirigenti (vale anche a livello nazionale, intendiamoci).
Allora, chi deve fare tre volte di più?
Le distorsioni non si possono eliminare dall’alto e basta. Il processo per essere efficace deve essere doppio, dall’alto al basso e viceversa (e, per me, deve soprattutto partire dal basso). Sarebbe solo uno (l’ennesimo) spreco di risorse. In pratica, la palla è in mano ai napoletani, se non cominciano loro lo Stato non solo difficilmente agirà, ma neanche potrà farlo.
Ritorno all’immagine di michel (potere incredibile del simbolo, complimenti), in cui c’è chiuso tutto l’intervento esterno ed efficace (USA come Stato/dictator), effetto positivo (vaccino e guarigione colera), capillarità dell’azione (in ogni vicoletto, molti banchetti). Ma il segreto del successo non sta solo in questo, sta nel comportamento di napoletani: tutti in fila ordinata dietro ai banchetti. Non erano file imposte, erano file naturali, autoformatesi nella convinzione che con un piccolo sacrificio ne avrebbero beneficiato tutti, nella convinzione che fosse la cosa giusta da fare.
Se si vuole fare il salto di qualità, si cominci a stare dietro ai banchetti, ordinati, senza fregare il posto o cercare scorciatoie e furbizie. Ma non per spirito Cristiano, solo perché si deve capire che solo così le cose possono funzionare. Se noi per primi non la facciamo , è inutile poi lamentarsi dei risultati, o che nessuno faccia abbastanza per salvarci. Ma è un discorso che non vale per il solo Sud, ma per tutto il Paese, e più in generale per una altra grande questione che, mai nominata, sta alla base del discorso, ovvero la vera questione irrisolta in Italia, la cittadinanza. Ma meglio fermarsi per ora, che ho già annoiato abbastanza, ed ho gia fatto abbastanza confusione.
Ognuno ha i governanti che si merita. Basta rendersene conto.