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La ricetta del buon gusto

31 marzo 2012
Pubblicato in Segnalazioni
di Vittoria de Petra

Per offrire una lettura piacevole ed ottenere un buon libro è necessario mescolare vari elementi, capsule non basta essere in possesso della sola materia prima: l’argomento. La riuscita de “La cucina del buon gusto” di Simonetta Agnello Hornby e Maria Rosario Lazzati, edito Feltrinelli, è da ascrivere all’ingrediente segreto utilizzato dalle due autrici. E questo non è di certo la sola passione per il buon cibo, dal momento che non si limitano a considerare la preparazione di un manicaretto un hobby che necessita dedizione e interesse o un passatempo che suscita uno sconfinato piacere. Per queste due donne, ciò che avviene in cucina – e ciò che si compie prima nei mercati, e dopo nel momento del riordino della tavola – è un momento di religiosa, alta e profonda ritualità.

Questa pubblicazione nasce dall’incontro tra Simonetta Agnello Hornby, scrittrice e avvocato dei minori siciliana, e Maria Rosario Lazzati, insegnante di cucina. Entrambe venute a conoscenza di una pietra miliare immancabile tra gli scaffali di un appassionato della buona cucina: “Fisiologia del gusto o Meditazioni di gastronomia trascendente” di Jean-Anthelme Brillat-Savarin, nobile magistrato durante la Rivoluzione Francese e, evidentemente, buona forchetta. La “Fisiologia del gusto” riporta un gran numero di meditazioni vere e proprie, circa l’atto di cucinare, di servire, di stare insieme a tavola. “È un’opera elaborata pezzetto a pezzetto, lentamente, in ore accuratamente scelte”, commentò Honoré de Balzac alla sua uscita. In effetti ogni meditazione è un boccone prelibato da gustare e riproporre: “il piacere della tavola è di tutte le età, di tutte le condizioni e di tutti i Paesi, e di tutti i giorni, può associarsi a tutti i piaceri e rimane per ultimo a consolarci della loro perdita”.

Il carattere geograficamente universale della sacralità attribuita al cibo e, allo stesso modo, l’inequivocabile esigenza dell’uomo di renderlo un ulteriore canale d’espressione sono ben rappresentati, ad esempio, dalla considerazione che Simonetta Agnello Hornby esprime circa il pane: “Il pane è sociale. Metaforicamente o no. Il pane è fatto per essere tagliato, offerto, diviso, condiviso.” E questa condivisione, dettata forse dalla buona educazione, dalla religione o semplicemente dall’affettuoso piacere di offrire ciò che si sta gustando, sembra essere la causa preminente dell’elaborazione del cibo. Preparare un convivio significa impiegare del tempo e, spesso, della fatica. L’occasione, inoltre, riunisce diversi commensali, la cui soddisfazione è importante tanto quanto la riuscita della preparazione stessa.

Ed è proprio la mancanza di socialità e condivisione che porta molti di noi ad avere meno cura del cibo che si mangia. Fast Food, pranzi solitari, cibi surgelati e mezzi tecnologici come compagnia. Le due autrici ricordano i tempi, neppure troppo lontani, in cui i propri genitori festeggiarono la fine delle guerre, con un’attenzione equilibrata, gioiosa e sacra nei confronti del buon cibo. Come le Madeleine di Proust (il dolce francese che nella “Ricerca del tempo perduto”, attraverso un solo morso, suscita nel protagonista un’inaspettata rievocazione del passato) anche nel libro “La cucina del buon gusto”, ogni ottimo piatto lega le autrici ad un ricordo, espresso attraverso il racconto di un episodio particolare.

Che sia da soli o in compagnia, che sia a casa o al ristorante, che sia per mano di un uomo o di una donna l’approccio al cibo garantisce l’attivazione di ogni attività sensoriale, nonché l’interazione con il prossimo e la sua conoscenza più profonda, perché oltre agli argomenti offerti dalle conversazioni, si notano le buone maniere, la golosità, la riservatezza e così via.

Il libro offre un’analisi accurata del comportamento secondo buon gusto, non specificando, in realtà, se si tratti di quello da applicare a tavola, come nella vita. Le riflessioni offerte dalle autrici, che ricordiamo essersi ispirate alle meditazioni di Brillat-Savarin, sono condite da vivaci momenti di narrazione. Infine, c’era da aspettarselo – e ne siamo tutti entusiasti – non mancano ottime ricette, ad opera di Maria Rosario Lazzati.

Concludendo, preferisco non svelare l’ingrediente segreto di questo libro che, come un vero e proprio simposio, procede tra racconti variopinti, accese discussioni e piatti prelibati.



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