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Storia di un rettangolo tra Baghdad e Milano

1 giugno 2009
Pubblicato in Fiori
di Antea Brugnoni

Nasr ad-Din at-Tusi in un francobollo iraniano del 1956Che cosa racconterebbe un rettangolo se potesse parlare? Che sia stato disegnato su papiro, ricopiato su pergamena, poi cancellato con la pietra pomice e ricoperto da salmi, decorati in epoca tarda con pesanti miniature color oro, rosso e olivastro, o semplicemente disegnato da un bambino con i colori a spirito, un rettangolo è la congiunzione di quattro segmenti di rette, rispettivamente parallele tra loro. È così? In parte. Il rettangolo, come qualsiasi figura geometrica, spesso è più di un’arida rappresentazione grafica e il suo passato (il passato di un determinato rettangolo, usato per uno scopo preciso) può essere ricercato in lande desolate, dove all’ombra dei millenni si mescolano lingue e culture, che lasciano indefinito un alone di mistero. Al pari delle teorie filosofiche, ogni figura geometrica ha una vita difficile da ripercorrere e gli eventi della sua genesi, spesso contesi oggetti d’orgoglio, si perdono in quel luogo di confine fra mito, scienza e storia. La Wissenschaftsgeschichte vanta comunque di poter fare luce su molti aspetti “biografici” delle figure geometriche, trovandosi spesso però di fronte a empasses che impongono di arrendersi all’immaginazione. Se immaginassimo di essere nelle regali sale dell’osservatorio astronomico di Maragheh, Azerbajan, nell’attuale Iran, intorno all’anno 1260 d.C., ci troveremmo in compagnia dei più illustri scienziati e astronomi dell’epoca, intenti alla decennale opera di riscrizione delle tavole astronomiche, ormai datate. Hulegu Khan, nipote di Gengis Khan e fratello di Kublai Khan, riteneva che molti dei suoi successi militari dipendessero dalla sua attenta analisi astronomica e dall’appoggio dei suoi scienziati, il più famoso dei quali era Nasr ad-Din at-Tusi, nato a Tus nel Khorasan, a cui aveva affidato l’organizzazione dell’osservatorio e della biblioteca, che all’apice del suo splendore conteneva 40.000 libri riguardanti religione, astronomia, matematica, fisica e scienze sociali. Nasr ad-Din, oltre al suo lavoro all’osservatorio, si occupava da parecchio tempo di un rettangolo.

rettangoloEra un rettangolo particolare, costituito da due quadrati uguali che a loro volta erano divisi in due triangoli secondo la diagonale e altre suddivisioni dovevano ancora essere effettuate, secondo il suo ideatore, per poterlo utilizzare. Si era imbattuto in questa bizzarra figura geometrica mentre cercava di dimostrare il 5° postulato di Euclide, uno dei problemi più ostici dell’antichità e, mentre ricopiava e commentava le traduzioni dei manoscritti di Euclide, Aristotele, Tolomeo e Archimede, ne cercava incessantemente una dimostrazione. Probabilmente, nel ripetersi ancora una volta l’enunciato del postulato: “Due rette parallele non si incontrano all’infinito”, aveva avuto l’idea di semplificare il problema e considerare, invece di rette infinite, segmenti di rette parallele e le perpendicolari che le congiungono; dalle relazioni tra gli angoli del rettangolo ottenuto sperava di potere ricavare una generalizzazione applicabile alle rette.  Nasr ad-Din non riuscì mai a dimostrare il postulato ma quando morì, a Baghdad nel 1274, aveva affidato il suo rettangolo alla storia. Attraverso il Medio Oriente e il Nord Africa, su rotte mercantili e navi, probabilmente per anni celato nei monasteri di Spagna e Italia, il rettangolo (e il resto dei manoscritti di Nasr ad-Din) riscoprì la luce nella prima edizione medicea degli Elementi di Euclide, basata proprio sulla trascrizione e sui commenti del matematico iraniano.

Copertina de "Euclide Ab Omni Naevo Vindicatus" di Saccheri, Milano, 1733Più tardi, nel 1693, John Wallis, un matematico inglese che si era cimentato anch’egli nella dimostrazione del postulato, pubblicò le teorie scientifiche di Nasr ad-Din, probabilmente ignaro delle conseguenze che questa pubblicazione avrebbe avuto per lo sviluppo della scienza. Infatti, nel 1670, il rettangolo persiano verrà utilizzato in condizioni molto diverse da quelle originarie: lo ritroveremo a Milano, in compagnia del gesuita Girolamo Saccheri, logico, matematico e  giocatore di scacchi che, per tentare un nuovo attacco alla roccaforte del 5° postulato di Euclide aveva studiato tutte le fonti storiche a sua disposizione. Nell’intensa corrispondenza che Tommaso Ceva, maestro di Saccheri,  teneva con Guido Grandi, un famoso filosofo e matematico dell’epoca, egli raccontava degli sforzi del proprio alunno e dello studio dettagliato che aveva fatto dell’opera edita da J.Wallis su un matematico arabo del 1200. Da quest’opera, raccontava, aveva tratto l’utilizzo di un rettangolo, composto da due quadrati, con cui sperava di dimostrare infine il postulato di Euclide, servendosi anche del metodo di dimostrazione per assurdo, assumendo cioè che due rette parallele all’infinito si incontrino. Così come l’idea di Nasr ad-Din aveva rivoluzionato l’approccio scientifico al problema delle rette parallele, le dimostrazioni di Saccheri aprirono nuove frontiere della scienza. Infatti, pur non essendo valide come dimostrazioni, l’utilizzo che Saccheri aveva fatto del rettangolo di at-Tusi e della reductio ad absurdum attirò molti anni dopo l’attenzione dei matematici sull’eventualità che le parallele all’infinito potessero incontrarsi, concetto che avrebbe portato alla formulazione della geometria cosiddetta non-euclidea, fondamento e supporto della teoria della relatività.

Lo studio sull’influenza di Nasr ad-Din at-Tusi e dei matematici arabi nelle opere di Saccheri e Lambert è tratto da due articoli della professoressa Silvia Roero, docente di matematica all’università di Torino.



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