Fritjof è sulla spiaggia e medita. Così comincia “Il tao della Fisica“, l’ormai celeberrimo libro di Fritjof Capra, nel quale il grande scienziato e divulgatore scientifico affronta il tema scottante, ma sempre meno trascurabile del rapporto tra metafisica e fisica. Con lo sviluppo, negli ultimi cento anni, della fisica quantistica sono sorti interrogativi delicati, ai quali né la meccanica Newtoniana né la relatività di Einstein hanno trovato risposte. I fisici si sono trovati di fronte a interrogativi del tipo: esiste una particella primitiva alla base della materia? Una particella può essere in due posti contemporaneamente? Esistono più dimensioni? Che cosa accade durante un teletrasporto? Se i comportamenti delle particelle subatomiche possono essere descritti solo in termini probabilistici, allora Einstein si sbagliava quando affermava che “Dio non gioca a dadi col mondo” ?
Alcuni ricercatori, sperando che la formalizzazione di una teoria più completa avrebbe spiegato i comportamenti bizzarri dell’infinitamente piccolo, hanno preferito mantenere uno sguardo tradizionalista verso questi sconvolgimenti; altri invece, memori di un passato molto lontano nel quale non si pensava che la scienza avesse tutte le risposte e affascinati dai nuovi orizzonti di pensiero che la fisica quantistica prospetta, hanno adottato un approccio diverso. In effetti, è difficile resistere alla tentazione di cercare risposte al di là della scienza: immaginate di trovarvi in un futuro in cui il teletrasporto di un essere umano sia possibile – quello di una singola particella è già realtà-. Sapete che molecole del vostro corpo muoiono e si rigenerano molte volte nella durata della vita e questo v’induce a pensare che ciò che vi rende diversi dagli altri e dal mondo intorno a voi sia la maniera, cioè la struttura, attraverso la quale le molecole sono composte. Questa struttura, per quanto complessa, può essere descritta logicamente, attraverso una serie finita di dati, ed essa sarà quindi il messaggio principale che la macchina del teletrasporto dovrà convogliare al luogo dell’arrivo. Esperimento riuscito: il vostro ‘codice molecolare’ è stato trasmesso su Marte, il vostro corpo terreno eliminato in maniera da non causare doppioni (side effect poco piacevole) e un voi assolutamente reale si aggira tra aride colline in disperata ricerca di una bombola di ossigeno. Ipotesi alternativa: il vostro io terreno resta in vita; adesso siete in due…quale siete ‘voi’?
Se non vi piace l’idea che un essere, provato scientificamente esservi uguale, racconti ai marziani un’infanzia che sì, beh…in fondo è la vostra infanzia, allora avrete già aperto un’enciclopedia alla voce ‘ubiquità’. Se pensavate non fosse possibile, tranquillizzatevi: i fotoni lo fanno già, segretamente, in laboratorio. È un fenomeno difficile da spiegare, ma dall’esperimento di T.Young nei primi dell’ottocento e da quelli riprodotti successivamente nel corso del ventesimo secolo (ampliando lo spettro a tipi di particelle molto diversi), si evince che un solo fotone, mandato contro una parete solida con due piccole fessure, passa contemporaneamente da entrambe, interferendo con se stesso e creando la classica immagine di collisione tra onde (Entanglement, Amir D. Aczel). Come a suo tempo F. Capra anche voi state forse cercando conforto nel Tao te ching, il libro della Dottrina e Pratica della Via (Tao), e al capitolo X leggete: ‘Aprendo e chiudendo le porte naturali, puoi essere una gallina?’. In questo modo la fisica quantistica vi avvicina all’arte del paradosso: pratica tradizionale nelle dottrine iniziatiche, essa è lo strumento usato dal maestro per aiutare l’allievo a superare le sue barriere razionali, raggiungendo così una conoscenza diretta della realtà, cioè non filtrata dal linguaggio o dal pensiero. Allo stesso modo in cui in diligente discepolo del Tao proverebbe ad ‘aprirsi e chiudersi alternativamente, come la terra e il cielo nella trasformazione delle cose, per essere passivo come una gallina, nel continuo mutare della Via’, E. Schroedinger negli anni 50 cercò di raffigurare un evento quantistico, immaginando un gatto chiuso in una scatola insieme ad una fiala di cianuro che può essere rotta (uccidendo il gatto) innescando un meccanismo al quale è collegata. Prima di aprire la scatola, il gatto è, quantisticamente parlando, sia vivo che morto (e non ha ancora mangiato la gallina).
Se state pesando che tale comunanza tra dottrine spirituali e fatti scientifici sia fuori discussione dato che, partiti durante l’Illuminismo da basi diametralmente opposte a quelle delle antiche civiltà credulone che postulavano rivelazione, stadi iniziatici e conoscenza diretta, la nostra matematica è certa, la nostra fisica strutturata in accordo con le esperienze tangibili e in continuo confronto con i più recenti dati empirici, il nostro studio della natura organizzato e approfondito, tanto da lasciare poco spazio alla creatività dell’evoluzione; vi starete chiedendo cosa siano mai queste ‘dimensioni’ di cui la comunità scientifica parla sempre più. Che per un matematico siano una Tatsache, una questione di variabili non raffigurabile ma non per questo meno reale, per un fisico s’impone la necessità di una concretezza spazio temporale; e allora si moltiplicano le ipotesi: che siano universi piccolissimi, racchiusi all’interno delle nostre tre dimensioni tangibili, o dimensioni che ci inglobano e che noi, come i piatti abitanti di Flatland, incapaci di concepire il volume, non possiamo immaginare; in entrambi i casi il cervello umano non sembra preparato ad accoglierle. C’è un modo allora, altro, per sperimentare una quarta dimensione?
Sembra che questa domanda sia sorta in varie epoche e tradizioni. Di cos’altro parla altrimenti Ibn Arabi quando, raccontando le sue esperienze mistiche, scrive di dover superare molteplici veli per poter gioire della luce divina? E la metempsicosi pitagorica, prescindendo dalle varie, più o meno tarde, interpretazioni, non si riassume forse in un ‘cambiamento plurime di stato’? Nella mitologia, spesso simboleggiata dalla presenza di ‘prove’ che il protagonista deve superare, la necessità di oltrepassare diversi ‘livelli’ prima di raggiungere la verità non è certo un tema estraneo.
Fritjof Capra ha trovato le sue risposte mentre, seduto di fronte al mare, si lasciava andare alla percezione della moltitudine intrinseca all’infinitamente piccolo. Probabilmente rifletteva sulla neonata teoria delle stringhe, che raggruppa tutte le particelle esistenti sotto il comune denominatore di ’stringhe’, differenziandole poi attraverso la frequenza delle vibrazioni di ciascuna, avvalorando così le antiche tradizioni buddiste che cercano attraverso la meditazione di porre il corpo e lo spirito umano in sintonia con la vibrazione intrinseca dell’universo. Forse Capra pensava che Dio è più bravo a giocare a dadi di tutti noi e quindi, a fin di bene, può anche barare. Forse, come un bravo discepolo Tao, non pensava a nulla.
meta siciliana meta milanese, meta mistica meta scienziata, meta sponda sud meta sponda nord… di quante meta’ puo’ essere fatto un intero?
Caro ‘La tua meta’,
scopriamo una nuova matematica dove un intero abbia un numero infinito di parti; allora si chiamerebbe teologia.
Grazie per il commento,
Antea