AttualitàOpinioniSegnalazioniDossierNausicaa LabAssociazione CulturaleEventi

Rugby e politica

31 marzo 2008
Pubblicato in Attualità, Fiori
di Andrea Stringhetti

Da buon italiano fedele alla tradizione, ask quando ero bambino ho sempre giocato a calcio. In Italia è di solito il primo sport che si conosce e, malady anche se poi se ne praticano altri con risultati spesso migliori, decease è un po’ il primo amore, quello che “l’occasione di giocare non ce la facciamo mancare mai”. È facile trovare chi sappia giocare, riunisce gli amici, bastano un pallone e due maglioni per fare la porta. Ma seguirlo no, quella è tutt’altra cosa. Non sono mai stato molto appassionato, ma se da bambino mi piaceva seguire le partite della domenica, crescendo ho smesso di essere tifoso. Da qualche anno ormai il calcio da guardare mi annoia, un po’ per i noti problemi (non solo italiani) di troppi soldi e violenza gratuita, un po’ per l’eccessiva presenza, a mio parere, di viziate e insopportabili primedonne.

Grazie al crescente spazio dedicato da La7 ad altri sport, mi sono ritrovato proiettato davanti alle disfatte italiane consumate sui campi da rugby, perpetrate da chi questo sport l’ha inventato e lo pratica da più di un secolo (Francia, Inghilterra, Galles, Irlanda, Scozia).

È stata la mia rovina. Perché ora, a distanza di qualche anno, del rugby non riesco a fare a meno e aspetto con ansia i tornei internazionali, le amichevoli, ogni possibilità di vedere un pallone ovale.

Come chiunque si avvicini al rugby per la prima volta, anch’io all’inizio non capivo nulla delle regole e vedevo solo gente che si bastonava. Eppure c’era qualcosa di sorprendente in quello sport, qualcosa di cui mi sono reso conto solo molto più avanti, dopo aver iniziato a capirne il funzionamento. Ho guardato partite, ho ascoltato commenti, ho letto regolamenti e perfino un libro sul rugby, ma solo quando sono stato in grado di seguire una partita senza pensare alle regole, sono riuscito finalmente a godermi lo sport. Da lì ho scoperto per quale motivo fosse così difficile staccarmene e, parallelamente, per quale motivo facessi così fatica a seguire il calcio. È proprio a partire da questo confronto tra palla rotonda e palla ovale che la politica è entrata nelle mie riflessioni.

La nostra politica è molto simile al calcio: chiede sempre più soldi e accumula sempre più debiti, si ricopre di scandali di ogni genere, alza inutili polemiche che vengono sviscerate nei programmi di seconda serata, dove l’importante è litigare. Ma soprattutto la nostra politica non conosce il gioco di squadra, è fatta di primedonne, personalità distinte che non hanno nessuna intenzione di collaborare né con i compagni, né tanto meno con gli avversari.

Marzo 2007, lo stadio Flaminio di Roma è al completo. Si gioca Italia – Scozia, ultima partita del Torneo 6 Nazioni (il più importante in Europa); l’Italia ha giocato bene le prime 4 partite, ma non ha ancora vinto. Tutti temono l’incubo del famigerato Cucchiaio di Legno, destinato a chi perde tutte le partite del torneo. È durante quella partita, la prima che vedo allo stadio, che mi sorge una domanda: perché noi dobbiamo avere una classe politica che ragiona come si ragiona nel calcio? Non potremmo avere una classe politica rugbistica?

Il pre-partita si svolge fuori dallo stadio, dove Italiani e Scozzesi si mescolano negli stand dei panini e delle birre con le rispettive maglie, scambiandosi sguardi cordiali e sorrisi amichevoli. Gli Italiani non perdono l’occasione per farsi fotografare con “il più scozzese” (quello con le lentiggini, il kilt e la cornamusa). Scontri se ne vedono solo in campo, mentre sugli spalti siamo tutti insieme, senza divisioni di tifoserie, come fossimo vecchi amici. Silenzio durante l’inno dell’avversario, poi per ottanta minuti ognuno sostiene la propria squadra (guai se non fosse così!) con urla, cori, fischi, insulti. Stranamente, però, nulla di tutto ciò è mai rivolto agli avversari: quando l’Italia va in meta gli Scozzesi si arrabbiano, ma applaudono. Chiedono il silenzio quando il loro calciatore deve concentrarsi per tirare una punizione, mentre i tifosi italiani urlano agli altri (pochi) Italiani che fischiano di tacere e vergognarsi. Penso ai volgari cori degli stadi di calcio e sono contento di essere da un’altra parte.

A due minuti dalla fine il punteggio è di 20-20 e l’Italia spinge nella metà campo avversaria senza mollare il pallone, fino a strappare i tre punti che regalano la vittoria. Tutti si alzano, urlano, festeggiano. Penso al calcio, alla gente che si arrampica sui vetri divisori con il volto coperto e lancia qualsiasi cosa contro i tifosi avversari. Poi mi guardo intorno: la mia Italia ha vinto e, dall’altra parte del vetro che divide la curva dalla tribuna, i tifosi scozzesi sono in piedi che sorridono, ci applaudono, qualcuno si toglie il cappello e accenna un inchino, constatando che la partita è stata durissima ma la vittoria meritata. E in fondo, si legge nei loro volti sorridenti, la cosa che conta è essersi divertiti, aver visto una bella partita ed essersi sentiti tutti uguali davanti al pallone ubriaco.

Penso al calcio e immagino i giocatori che, dopo il fischio finale, si scambiano veloci strette di mano e maglie sudate e scappano negli spogliatoi, mentre la gente si disperde, magari cercando la rissa con gli avversari. Guardo il campo che ho davanti: i giocatori scozzesi stanno andando ad applaudire i tifosi, non importa quali (tanto non c’è una “curva della Scozia”). I giocatori italiani hanno formato un corridoio all’ingresso degli spogliatoi, attraverso cui gli Scozzesi passano per uscire dal campo, applauditi da tutti. E mentre la folla esce dallo stadio, nessuno pensa ad andare a casa, perché ora viene la parte migliore, tutti insieme a bere e mangiare.

Vorrei una politica che somiglia al rugby, una politica in cui la cosa importante non sia umiliare costantemente l’avversario, screditare chi è contro, criticarlo sempre e comunque, fare di tutto per metterlo fuori gioco. Vorrei una politica che combatte l’avversario per tutta la durata della partita, ma che lo applaude all’uscita dal campo e lo ospita per il consueto terzo tempo.

Vorrei una politica che rispetta il gioco e gli avversari, dentro e fuori dal campo. Una delle parti fondamentali del rugby è quella di non commettere antigioco, cioè ogni comportamento che mira a uccidere il gioco, impedendo agli avversari, per esempio, di giocare la palla agilmente o di farla uscire da un raggruppamento. Esiste un fallo definito proprio “killing the ball”, che è considerato un fallo fastidioso e molto scorretto, non perché in sé sia grave, ma perché è il simbolo della mancanza di rispetto nei confronti dell’avversario e del gioco. Io credo che la nostra politica in questo prenda molto dal calcio, vivendo di sgambetti e di irrispettosi falli tattici, piccoli ma perfettamente inutili, che cercano soltanto di impedire all’altro di giocare come vuole. Falli che peraltro non solo uccidono il gioco, ma irritano e annoiano anche lo spettatore (elettore), che è costretto a vedere una brutta partita e sicuramente non uscirà dallo stadio felice.

Vorrei una politica che rispetta le decisioni arbitrali, senza contestarle continuamente sul campo e in televisione, perché nel rugby è l’arbitro che decide e ogni sua decisione è assolutamente indiscutibile. Le proteste non sono consentite, anche perché l’arbitro può parlare a tutti i giocatori, ma solo il capitano può parlare con l’arbitro. L’arbitro nel rugby non è tanto, come nel calcio, il Cerbero che deve usare i cartellini per minacciare quelli che sgarrano, quanto invece il giudice che vigila sull’effettivo svolgimento del gioco: che la palla possa essere giocata, che la mischia non crolli, che nessuno sia in fuorigioco… Certo, anche nel rugby si commettono falli gravi, ma il comportamento scorretto si paga quando l’arbitro estrae il cartellino giallo e dice “go out and think about it for ten minutes”. Cosa fa allora il rugbista ammonito? Urla? Bestemmia? Fa i capricci come i bambini? No. Abbassa la testa e va a sedersi in panchina, a guardare la sua squadra rimasta in 14 che annaspa per tutti i dieci minuti. Immaginatevi un calciatore che viene ammonito o peggio espulso: anche se offende l’arbitro, non avrà alcuna sanzione. In una partita dell’ultimo 6 Nazioni, le telecamere dei giudici sportivi hanno rilevato che il terza linea dell’Italia Mauro Bergamasco ha infilato un dito in un occhio a un avversario durante una mischia. Il giorno dopo la partita è stato convocato dai giudici, che gli hanno mostrato le immagini e hanno proposto per lui una squalifica interminabile. Ma Mauro è stato furbo e davanti all’evidenza ha ammesso la propria colpa, così i giudici hanno deciso di ridurgli la squalifica a sole 13 settimane. Mauro ha poi presentato un appello contro la sentenza e la sua squalifica è stata prolungata a 17 settimane. Nel calcio una squalifica così non si vede nemmeno per i falli peggiori (la reazione, per esempio): con due o tre giornate al massimo te la cavi. Così come i calciatori, anche i nostri politici riescono sempre a sfangarla con il minimo davanti ai giudici, sempre che davanti ai giudici si riesca a trascinarli. Sarebbe bello se i nostri giudici e magistrati, come gli arbitri del rugby, avessero il potere di far rispettare la legge sentendosi a loro volta rispettati e non dovessero, come gli arbitri del calcio, dirigere una partita con l’incubo di rischiare l’esonero.

Vorrei una politica che non cerca, come il calcio, di dominare interi programmi televisivi, ma che si allena in silenzio, senza vomitare parole a sproposito. Vorrei una politica che, se anche non vince, quantomeno dimostri di avere un bel gioco di squadra e, come nel rugby, una mischia compatta che può arrivare in meta. E vorrei una politica che capisca che non è un singolo giocatore che segna, ma che la meta è frutto del gioco di tutta la squadra, e al tempo stesso di un avversario che ha affrontato la situazione regolarmente e con rispetto, senza uccidere il gioco né demolire l’avversario.

Naturalmente quanto ho detto finora non è sempre vero. Nel rugby volano i cazzotti, il calcio può vantare molti giocatori che si sono sempre preoccupati di giocare senza falli, proteste o polemiche da moviola, e la politica è fatta anche di gente che lavora per i cittadini combattendo la corruzione dei colleghi. Ciò nonostante trovo ammirevoli i principi su cui si basa il gioco del rugby, proprio perché, pur essendo uno sport molto duro, non è affatto violento come molti pensano. Citando un appassionato giornalista, “si menano come fabbri ma sempre nel pieno rispetto delle regole”. E queste regole sarebbe bene fossero ricordate un po’ più spesso, oltre che dal mondo del calcio, anche da chi fa politica e da chi come noi la politica la segue senza farne parte, perché sono regole che valgono tutti i giorni e che dovrebbero essere alla base di una società cosiddetta civile.



7 Responses to “Rugby e politica”

  1. Anna Gilbert scrive:

    Caro Andrea, dopo questo articolo sono la tua ammiratrice numero uno. Bellissimo, sentito, giovane,semplice ed efficace.
    Le virgole sono magistrali(!!!!).

  2. Andrea de Angelis scrive:

    Sono il tuo ammiratore numero uno/bis. Uno degli articoli più dinamici, taglienti e precisi su come la nostra politica dovrebbe e potrebbe essere… anzi, restiamo positivi: su come la nostra politica sarà!
    “VOGLIO UNA POLITICA COME IL RUGBY!” diventerà il mio nuovo motto.

  3. Miša scrive:

    Che piacere, Andrea. Il tuo articolo elegante, virtuoso, sobrio ed educato traccia una visione del mondo politico intelligente. Senza soffermarsi sulle dicotomie comuni e un po’ noiose destra/sinistra, competitività/maggioranza. Brillante e non inzaccherato di guidizi sterili e saccenti. Grazie

  4. gQ scrive:

    ciao belo, certo che le pallonate a ravà restano una chicca calcistica inarrivabile. ti pongo solo una riflessione: che in inghilterra, invece, la politica sia più come il rugby? io non so, però è vero che la nota capacità degli inglesi di unirsi nei momenti difficili li ha portati a attraversare anche le crisi. un po’ come l’italia di rugby che le si vuole bene anche quando perde. peccato che perda sempre..
    tuo
    >G

  5. Andrea scrive:

    Non è vero che il nostro rugby perde sempre, altrimenti non avrei scritto quest’articolo…sicuramente la politica inglese capisce di rugby più di quella italiana, quindi sarei dell’opinione che sì, questo li ha aiutati a imparare le regole della “mischia compatta”. Senza dubbio è uno sport costruttivo, nel senso che insegna a costruire qualcosa insieme. In fondo non avresti preferito anche tu poter giocare a rugby invece che a calcio contro ravà?

  6. Guicciardo scrive:

    non ho mai avuto il piacere di vedere una partita di Rugby,ora so che lo farò!
    ma soprattutto…che articolo!
    da editoriale.
    grazie

  7. Giovanni Cairo scrive:

    Avevo scritto un commento lungo e discorsivo, ma non è apparso. In ogni caso ti dico in breve che volevo farti i complimenti per l’articolo e per la bella esposizione, intelligente e accorta, e soprattutto sono rimasto colpito dalla tua capacità discorsiva, sei riuscito a tenere i miei occhi incollati all’articolo per tutta la sua lunghezza. E’ un bel dono! Bravissimo!

    Ciao Gio