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La dittatura di Salazar: stimolo alla rivoluzione culturale

28 febbraio 2008
Pubblicato in Dossier
di Anna Gilbert

Ogni libero pensatore ha il dovere morale di schierarsi contro la censura, for sale sia essa intesa in senso pratico sia come esercizio di pressione sulle menti. Per questo ho deciso di proporre un breve saggio sulla censura in Portogallo durante la dittatura di Salazar. Se ho scelto di parlare di questo regime totalitarista rispetto ad altri è perché, in primis non se ne sa molto, in secundis molti ignorano che si tratta della più longeva dittatura europea del Novecento. Il Portogallo è un paese ricco di volontà di riscatto, forse ignorato dai più ma che offre, a chi vi si accosta, uno scorcio di meraviglia: l’arte, la mentalità, lo slancio di un popolo che si è liberato pochi anni prima della nostra nascita e ce la sta mettendo tutta per affermarsi. La censura è prima di tutto una condizione mentale da cui dobbiamo fuggire e, sfortunatamente, ci riguarda più di quanto possiamo renderci conto. Combattere il condizionamento dei nostri pensieri è possibile, basta scostarsi dal sentiero dell’ignoranza che appare più facile, perché in discesa, ma ci rende colpevoli del peggior crimine contro noi stessi: abbassare la testa davanti a chi fa finta di saperne più di noi e ci deruba del potere decisionale che ci spetta in quanto cittadini del nostro mondo. “Panem et circenses” rispose l’imperatore Flavio quando gli venne chiesta la soluzione per sedare il popolo in rivolta… un concetto in fondo ripreso dalla gran parte dei manifesti elettorali che in questo periodo coprono i muri delle nostre città. Se persino gli Articolo 31 scrissero qualcosa come “e datemi Fiorello e Panariello alla tv, non togliermi il pallone e non ti disturbo più, sono un italiano medio nel blu dipinto di blu”, significa che siamo arrivati davvero alla frutta in quanto a autonomia di pensiero.Se non vi va di leggere quanto di seguito almeno rendete omaggio ad Antonio Tabucchi regalandovi le pagine di Sostiene Pereira. Altrimenti spero che questo articoletto possa essere utile…

Diário de Notícias, 12 giugno 1971

All’inizio del XXI sec. il Portogallo visse un momento di grande instabilità politica, molti ministri e presidenti si succedettero fino all’avvento della dittatura militare del 1926 che, a sua volta, permise l’instaurazione del regime di Salazar nel 1933. Tale regime prese il nome di Estado Novo (stato nuovo, rinnovato n.d.a.) e durò fino al 25 Aprile 1974 quando fu deposto attraverso la cosiddetta “Rivoluzione dei garofani”. Il sistema dell’ Estado Novo assomigliava molto a quello del Fascismo o del Nazismo se si esclude la componente antisemita che, in Portogallo, non si affermò mai.Tra i dittatori è fattore comune l’utilizzo dell’arte a scopi propagandistici e, in quest’ottica, Salazar creò lo SPN (Segretariato per la Propaganda Nazionale), diretto da Antònio Ferro. Costui tracciò le linee guida della “politica dello spirito”: mostrare tutti i vantaggi del regime, diffondere argomentazioni propagandistiche sul nazionalismo, glorificare il Portogallo e il suo dittatore. Tale operazione fu possibile solo assoggettando la cultura alle ragioni politiche. La cultura in questione è di stampo semplice, popolare e finalizzata alla distrazione della gente comune dai reali problemi del Paese. Antònio Ferro contribuì enormemente al reperimento di artisti che collaborassero con il regime. Al fine di controllare in modo totale ed efficace il popolo, Salazar fece un utilizzo massiccio della Censura: vietato parlare di socialismo, di comunismo o diffondere notizie dall’estero, uguale sorte toccava alla stampa, al teatro, alla letteratura, al cinema e alla televisione. Molti scrittori furono obbligati a giurare fedeltà al governo, nel 1965 fu chiusa la Società Portoghese degli Scrittori per aver insignito di un premio l’autore Luandino Vieira, sostenitore dell’autonomia angolana.D’altro canto la diffusione delle idee salazariste veniva promossa attraverso progetti grandiosi, prima fra tutti l’Esposizione del Mondo Portoghese: massima autocelebrazione del governo attuale attraverso temi molto popolari quali la scoperta del Brasile e la grande epopea marittima dei secoli precedenti. In una prospettiva di magnificenza furono costruite gigantesche opere pubbliche (ospedali, scuole, tribunali) con lo stile utilizzato in Germania dal regime hitleriano. Molti furono gli architetti dell’epoca a collaborare con il governo pur non approvandolo, solamente per potersi esprimere artisticamente.Nel 1966 fu inaugurato il Ponte Salazar sul fiume Tago, attualmente Ponte 25 Aprile. Contemporaneamente vennero erette ovunque statue commemorative dell’impero e degli eroi portoghesi (Cristo Rei, Padrão dos Descobrimentos) a simboleggiare lo splendore del passato proiettato nel futuro. Quella salzarista fu anche l’epoca dei manifesti che, attraverso le immagini, diffondevano su larga scala i motti patriottici come “niente contro la Nazione, tutto per la Nazione”. Fu così che emerse José de Almada Negreiros, il precursore del Futurismo e del Cubismo che criticò sempre il dittatore paradossalmente attraverso opere propagandistiche solo in apparenza a suo favore.Probabilmente il settore artistico che più compromesso dalla censura fu il teatro. La maggior parte delle opere in vendita vennero ritirate, quelle che raramente arrivavano alla messa in scena erano mutilate e, nella lista nera di autori stranieri, apparivano nomi del calibro di Sartre, Ionesco o Neruda.Ma forse la conseguenza peggiore dell’azione censoria nella mentalità portoghese fu lo sviluppo dell’autocensura: pur di non vedere la propria opera ritirata dalla vendita anche dopo la pubblicazione, scrittori e giornalisti evitavano tout court di affrontare certi argomenti. È sufficiente sapere che fu vietata la pubblicazione di almeno 3300 opere per rendersi conto della potenza della falce proibizionista. Persino il doppiaggio cinematografico divenne azione illecita, intere parti di film erano proiettate mute o con sottotitoli rivisti “a dovere”, che non potevano essere apprezzati da una popolazione in maggioranza analfabeta. Si potrebbe continuare all’infinito citando gli innumerevoli esempi di barbarie che il regime salazarista ha inferto alla cultura e al sentimento artistico del Portogallo ma è sotto gli occhi di tutti che il proibizionismo fu tanto intenso da influenzare anche le generazioni post-rivoluzione.

Purtroppo la mia esperienza a Lisbona è durata solo qualche mese, eppure mi è subito balzato agli occhi quest’insieme perfettamente complementare di voglia di andare avanti mista a un malcelato conservatorismo. È come se l’eredità intransigente e proibizionista del regime faticasse a liberare anche le menti dei giovani. Non riesco bene ancora a capire quanto questo sia causato dal cattolicesimo che, nonostante Bento XVI (Benedetto XVI, in portoghese, n.d.a.) abiti da noi, è un valore più che radicato nella società lisboeta, e quanto invece derivi dalla paura del passato. In fondo i ragazzi portoghesi della nostra età sono figli di chi la repressione l’ha vissuta davvero ed è quindi impensabile che non abbia avuto ripercussione sulla loro educazione. Camminando per le viuzze in salita del Bairro Alto si scoprono Casas de Fado ad ogni angolo, si tratta di piccoli locali in cui tutte le sere una qualche signora ben intonata canta a gola spiegata la solitudine, l’amarezza, la saudade, la disperazione d’amore, la nostalgia in ogni sua sfaccettatura instillando in tutti gli spettatori una dolce tristezza. Non mancano le odi all’amata Lisbona del passato, fattore decisamente significativo.Sarà banale ma fascinante è la parola che meglio descrive questo luogo: qui 20 minuti di metro ci trasportano dal caffè A Brasileira, dove Pessoa e Sà Carneiro trascorrevano il loro tempo, al quartiere dell’ Expo ‘98, moderno e artisticamente funzionale. Questa breve tratta sotterranea ci fa viaggiare nel tempo tra le due anime portoghesi: quella capace di fare delle proprie tradizioni un vanto e quella che invece sa fare delle proprie debolezze uno stimolo per la modernizzazione.Difficilmente sono arrivata a giustificare l’ammirazione con cui i Portoghesi guardano a noi Italiani, se si esclude un indiscutibile buongusto nell’abbigliamento e la tanto dibattuta legge 194, effettivamente abbiamo poco di più considerando le basi da cui siamo partiti. Quando da loro c’era solo un sottaciuto malcontento da noi già c’era il ’68; quando da noi Gianni Morandi cantava Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte da loro si amministravano ancora le colonie in Africa e si raggiungeva il primato di paese più povero d’Europa. Il senso di oppressione che alcuni di noi hanno provato leggendo 1984 di Orwell è quello che i Portoghesi hanno smesso di vivere nel 1974… quarantadue anni di mancata libertà lasciano tracce spesso difficili da cancellare.

L’arte, per essere definita tale, è libera e indipendente; la politica, a sua volta, è un gioco d’interessi. Se le due sono costrette a miscelarsi si otterrà una cultura politica che degrada l’arte al livello di una merce qualsiasi distruggendone l’essenza. Dobbiamo avere il coraggio delle nostre opinioni, fare in modo che siano fondate per non lasciarci raggirare solo perché siamo distratti… facciamo in modo di non doverci ritrovare a piangere sul latte versato, informiamoci e formiamoci, non rendiamoci colpevoli della nostra ignoranza, non dobbiamo essere negligenti nei confronti di noi stessi, del nostro Paese e della nostra cultura. La consapevolezza è il punto di partenza per cominciare a cambiare ora che è assolutamente necessario.



One Response to “La dittatura di Salazar: stimolo alla rivoluzione culturale”

  1. Lorenzo scrive:

    Cara Anna, ho letto con grande interesse la tua descrizione del clima culturale portoghese prima e dopo Salazar. Mi pare in effetti che, inseguito all’ammissione del Portogallo nella Comunità Europea nel 1986, sia data per scontata la scomparsa di ogni retaggio del periodo salazariano. Purtroppo dal tuo articolo ci accorgiamo che le cose non stanno così.
    Non sono però d’accordo con te quando rifiuti in toto la contaminazione arte-politica. Non riesco a trovare nel passato -e tantomeno nel presente- forme d’arte completamente indipendenti dal potere politico. E ciò non sempre è stato un danno per la cultura: in fondo buona parte del patrimonio artistico italiano è dovuto alla “guerra culturale” tra i signori rinascimentali, ognuno impegnato ad assicurarsi i servizi degli artisti più dotati dell’epoca al fine di esaltare la grandezza del proprio casato.