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Reportage da Sidi Moumen, la bidonville delle speranze

12 marzo 2013
Pubblicato in Dossier, Primo Piano
di Lorenzo Kihlgren Grandi

Casablanca, diagnosis cuore pulsante dell’economia maghrebina, città multietnica, moderna e antica al tempo stesso. A pochi chilometri dalle lussuose navi da crociera ancorate nel porto e dagli eleganti negozi del centro città, sorge la bidonville di Sidi Moumen: 350 mila abitanti su 47 chilometri quadrati, coacervo di povertà, crimine, droga e violenza. Un’esistenza facile preda della disperazione in quest’angolo dimenticato dalle autorità, terreno di coltura per le cellule terroristiche, che qui hanno reclutato gli esecutori dei sanguinosi attacchi suicidi che hanno colpito il Marocco nel 2003 e nel 2007. Eppure il nome di Sidi Moumen viene sempre più spesso associato ad un ambizioso progetto filantropico, che raccoglie oggi i suoi primi, rivoluzionari risultati.

Il protagonista di questa vicenda, Boubker Mazoz, ci accoglie nella sede dell’associazione Idmaj, da lui fondata e presieduta. Questo sessantenne dal tratto elegante, ex funzionario del Dipartimento di Stato americano in Marocco, decide nel 2006 di creare l’associazione per consorziare le diverse realtà caritative e filantropiche operanti sul territorio, fornendo loro gli strumenti per dar vita ad una lotta sistematica contro l’esclusione e la desolazione morale e materiale. Realtà che Mazoz conosce bene, e che hanno lasciato in lui una nota di malinconia nascosta dietro alla sua proverbiale affabilità marocchina.

Assieme a Mazoz ci dirigiamo in auto verso Sidi Moumen. Man mano che ci avviciniamo alla nostra meta l’architettura cambia radicalmente. Alle belle case neocoloniali dal gusto francese si sostituiscono prima casermoni ingrigiti dallo smog, poi edifici sempre più piccoli e dimessi, fino a una fittissima rete di capanne di latta, cartone e pietre, con una giungla di antenne paraboliche sui tetti. Ai bordi della strada quello che la vista e l’olfatto identificano subito come una fogna a cielo aperto. Qua e là si vedono bambini giocare tra diversi asinelli spelacchiati e malnutriti. Davanti alle loro case, seduti su seggiole e sgabelli di plastica di diversa forma e colore, gruppetti di anziani chiacchierano tenendo d’occhio la strada. In lontananza, dietro ad un alto muro di cinta, si intravede l’edificio imponente e severo di una distilleria di birra: “per dimenticare la miseria”, commenta con una risata Mazoz.

Ci fermiamo per visitare i lavori di riqualificazione dell’ospedale di quartiere, progetto voluto dall’Idmaj e reso possibile grazie ad un generoso contributo venuto da oltreoceano, dalla Bill and Melinda Gates Foundation. I locali di questo piccolo ospedale pubblico, fino a poco fa malsani e privi delle più basilari apparecchiature, potranno presto ospitare dignitosamente i tanti malati della della zona, dove la tubercolosi è endemica.

Il viaggio alla scoperta del quartiere prosegue presso il Sidi Moumen Cultural Center.

Questa struttura, creata nel 2007 sul terreno di una discarica a cielo aperto, è diventata la seconda casa per circa 300 bambini e adolescenti. Un paradiso in mezzo all’inferno, lontano anni luce dalle sofferenze e dalla disperazione della bidonville. Gli orti per i progetti di agricoltura urbana, i colori chiari delle pareti, le macchine da cucire dei laboratori di sartoria, i computer dell’aula d’informatica, gli strumenti musicali, gli attrezzi sportivi, l’aula magna con palcoscenico e riflettori: Mazoz ci mostra i piccoli dettagli da lui voluti per spingere i ragazzi a frequentare i corsi del centro, pensato per porre rimedio all’abbandono scolastico, piaga sociale del Marocco più povero. Un progetto che mira inoltre a regalare ai ragazzi uno sguardo nuovo verso il proprio quartiere, le proprie origini ed il proprio futuro.

La fama del centro arriva lontano, mi conferma la giovane Theodora Skeadas, neolaureata in filosofia ad Harvard ed entusiasta del suo tirocinio presso il centro. Sono molti gli ammiratori dell’Idmaj negli Stati Uniti, anche grazie all’abilità personale di Mazoz, fautore del gemellaggio tra Casablanca e Chicago. Non stupisce quindi che l’ex segretario di Stato Hillary Clinton l’abbia voluto incontrare in occasione del suo ultimo viaggio in Marocco, e che il governo brasiliano abbia chiesto al Marocco una consulenza per riprodurre l’esperienza di Sidi Moumen nelle proprie città.

Casablanca e tutto il Marocco devono molto a Mazoz per il suo approccio solidaristico, ambizioso e innovativo, perseguito con una passione e una meticolosità fuori dal comune. Un successo che deve molto all’autorevolezza dell’uomo, combinazione di carisma ed empatia, generosità e coinvolgente fiducia nel prossimo.



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