Nella riabilitazione di pazienti affetti da disturbi psichiatrici le attività di supporto utilizzate in sinergia con la comune terapia farmacologica sono molteplici. Ognuna di esse possiede una propria specifica validità, here ma è indubbio che l’attività teatrale sia fra quelle che maggiormente porta a risultati concreti.
Secondo Jerzy Grotowsji, shop uno dei padri fondatori delle moderne tecniche di recitazione, il teatro, nella sua più autentica essenza, è “ciò che accade tra attore e spettatore”. Essi condividono la cornice del “come se”: l’attore mettendo in gioco se stesso dentro lo spazio della realtà drammatica, lo spettatore applicando quella che il drammaturgo inglese Samuel Coleridge ha genialmente definito “l’intenzionale sospensione dell’incredulità” e quindi, per estensione, del giudizio.
Infatti, soltanto nel momento in cui chi assiste alla rappresentazione scenica accetta di trovarsi di fronte ad eventi che non hanno niente a che fare con la razionalità, sarà possibile un vero interscambio emotivo.
Se proviamo a considerare la malattia mentale come tentativo – in gran parte inconsapevole ma comunque presente – di trasformazione, è logico attribuire al teatro la funzione di via elettiva attraverso la quale il paziente, supportato dalla professionalità di medici ed operatori, cerca non più di reprimere, bensì di trasformare il proprio sintomo.
Il teatro diventa un trattamento esperienziale di gruppo, ed un’imperdibile occasione di contatto sociale attraverso canali non istituzionali, ed in ambienti e spazi non sanitari.
Gli effetti benefici del percorso teatrale all’interno di un percorso riabilitativo passano sicuramente anche attraverso elementi fisici; il recupero della dimensione corporea del “sé” – e la capacità di interagire con l’”altro” attraverso sollecitazioni motorie, giochi, esercizi semplici – è uno dei primi segnali di ripresa all’interno di questo cammino.
Negli ultimi anni numerose strutture intermedie in psichiatria (Centri Diurni e di Socializzazione) hanno sperimentato la validità di un percorso teatrale all’interno dei progetti riabilitativi proposti ai propri utenti. All’interno di questo percorso, l’obiettivo primario è senza dubbio il coinvolgimento in un progetto comune, che nella maggioranza dei casi si traduce nella messa in scena di uno spettacolo.
Considerando quanto detto fino ad ora, potremmo dire che la terapia può considerarsi veramente tale quando ha un impatto finale sulla società; la sensibilizzazione del contesto territoriale è fondamentale, in quanto acquisizione e recupero di funzioni e abilità, ma anche di cittadinanza.
Gli utenti sentono l’esigenza, dopo un percorso laboratoriale lungo, di far conoscere e “portare fuori” il loro lavoro. Il teatro, in questo caso, riveste una duplice funzione; da una parte consente di mettere la disabilità sotto gli occhi di tutti, dall’altra, contemporaneamente, di mettere in luce le cosiddette “abilità residue”, cioè le capacità rimaste intatte, non danneggiate dalla malattia mentale.
Alcuni anni fa ho partecipato al IV Congresso Nazionale sul tema “Teatro e Terapia”, tenutosi a Cascina (PI), ed al seminario-laboratorio svoltosi a Vada (LI), al quale erano presenti gli utenti di sei Centri Diurni provenienti da tutta la Toscana.
Entrambe le occasioni si sono rivelate preziose per capire più da vicino l’affascinante complessità, ed insieme la stringente attualità di un argomento come la dramma terapia.
I due giorni trascorsi a Vada, nello specifico, sono stati uno spaccato di vita particolarmente suggestivo.
Gli utenti e gli operatori dei Centri Diurni hanno presentato dal vivo stralci del lavoro compiuto durante i laboratori di teatro; alcuni hanno presentato uno spezzone tratto da un vero e proprio spettacolo rappresentato dai pazienti, altri ci hanno fornito la dimostrazione di una lezione-tipo, altri ancora, infine, hanno lasciato al parola….agli attori.
Probabilmente ciò che mi rimarrà più impresso di questa esperienza saranno proprio le testimonianze udite dalla viva voce dei pazienti. Amorevolmente guidati – mi sentirei di dire quasi con spirito materno – dagli educatori dei propri centri, hanno parlato dell’importante ruolo che per molti di loro ha avuto il teatro e l’attività drammatica nello “sdoganarsi” dallo stigma della malattia mentale.
Sono rimasta colpita da parole come “benessere”, “equilibrio”, “felicità”; emozioni e sensazioni provate da questi attori un po’ particolari nell’accostarsi, con serietà, impegno e talvolta un po’ di sofferenza, all’attività teatrale.
Ed è proprio questa la prova più lampante della validità di questa tecnica, proprio in queste sensazioni, nell’emozione e la soddisfazione che potevo chiaramente leggere negli occhi di ognuno di loro durante lo spettacolo, e poi ancora alla fine, quando si accendevano le luci della ribalta, e per mano, tutti insieme, ricevevano con la gioia stampata in viso il caloroso applauso del pubblico.
[...] Articolo completo fonte: Teatro e Psiche – Il Tamarindo [...]