Proteste antiamericane e geopolitica delle emozioni
Pubblicato in Opinioni, Primo Piano
di Lorenzo Kihlgren Grandi
Le attuali proteste antiamericane hanno già superato, ailment per violenza e diffusione, buy viagra quelle del 2005 per la pubblicazione delle caricature di Maometto. Lo stesso può dirsi per lo stupore e l’impreparazione occidentale.
Eppure il fenomeno in questione si inserisce agevolmente in varie teorie degli attriti tra i nuovi “blocchi” individuati dagli studiosi di geopolitica e relazioni internazionali. In particolare si può trovare un ottimo strumento d’interpretazione in quella proposta da Dominique Moïsi. Ne Geopolitica delle Emozioni, edito in Italia da Garzanti, l’accademico francese riprende e sviluppa la tesi della utilità di ricondurre a poche, potenti emozioni collettive la nascita e diffusione delle principali tensioni geopolitiche.
Le lettura di Moïsi rappresenta una delle più affascinanti risposte a quella, celeberrima, di Samuel Huntington. Non dunque uno “scontro di civiltà”, ma uno “scontro di emozioni”, percepite a livello collettivo, frutto di un comune percorso storico, capaci dar vita a potenti tensioni sul piano nazionale e internazionale. La speranza dell’Asia e dell’America Latina, causa e conseguenza di una forte crescita d’influenza economica e politica dei Paesi di queste regioni; la paura – del diverso ma anche del futuro –, emozione condivisa dalle società del mondo occidentale; infine l’umiliazione, percepita dalle popolazioni dei Paesi arabi. Tre emozioni che agiscono come motore, in forte accelerazione, di un mondo che corre il rischio di dividersi sempre di più. Una semplificazione, Moïsi ne è conscio, ma anche un prezioso strumento per comprendere ragioni e portata di avvenimenti quali le proteste in corso.
Sono molti gli indicatori su cui Moïsi basa la propria riflessione. Quelli individuati per il mondo arabo – mercato del lavoro in crisi, limitata o nulla partecipazione ai vantaggi economici e sociali della globalizzazione, difficoltà generalizzata a proiettarsi verso il futuro – sono poi alcune tra le principali cause della Primavera araba.
Ma le umiliazioni subite da queste popolazioni sono tante e antiche, a cominciare dalla mancata applicazione del principio di autodeterminazione nella definizione dei confini dell’ex Impero Ottomano. Una mancanza di riconoscimento e una frustrazione su tanti livelli, da quello politico a quello economico e culturale, che rendono in fondo seducente la facile, confortante definizione di sé per opposizione ad un nemico dai tratti culturalmente e moralmente deprecabili.
L’impostazione di Moïsi si può ascrivere nel progressivo interesse di politologi e scienziati sociali verso la psicologia e le neuroscienze, studi in grado di fornire risposte precise sulla predisposizione dell’essere umano a determinati comportamenti sociali. Il focus si sposta insomma dall’analisi degli attori istituzionali a quella delle forze emozionali operanti all’interno di collettività basate su una percezione condivisa di passato, presente e futuro.
Questo incontro fra discipline apparentemente così distanti si è rivelato negli ultimi anni assai fecondo. La sociobiologia, studio delle basi biologiche di ogni tipologia di comportamento sociale, ci insegna ad esempio che la diffidenza costituisce la prima, inconscia risposta nei confronti di chiunque sia diverso da noi in termini linguistici, etnici o culturali. Nella terra dell’umiliazione la distanza tra la diffidenza e l’odio è molto breve; il film “Innocence of Muslims” non farebbe quindi altro che accorciarla.
Una strategia utile per annullare o quantomeno contenere le animosità tra le diverse collettività può forse consistere nell’offerta di nuove e forti identità, forme di riconoscimento che travalichino i confini emozionali, rafforzando quella rete di appartenenze multiple che è già attiva e diffusa, come ci insegnano i tanti studi sulla globalizzazione culturale. Un piano nel quale preziosa appare la regia delle istituzioni globali preposte al dialogo e all’educazione, in primis l’UNESCO. Organizzazioni in costante difficoltà di finanziamento ma tuttavia capaci di produrre risultati potenzialmente più efficaci e duraturi di qualsiasi spiegamento e dimostrazione di forza.
Identità composite, appartenenze incrociate, reti flessibili e in continua evoluzione : potrebbero essere questi i veri doni dell’età della globalizzazione. Una “pax concatenata” che potrebbe arrivare là dove la “pax mercatoria” ha ripetutamente fallito.