Purtroppo non basta perché funzioni
Pubblicato in Opinioni, Segnalazioni
di Anna Caterina Dalmasso
Delle due l’una: o Woody Allen è ormai un anziano regista che non sa più dove sbattere la testa – troppo vecchio per recitare ancora la parte di se stesso, prescription così si fa rimpiazzare, order per quanto poco dignitosamente, stuff da Larry David ed imbastisce un’imbarazzante rimessa in scena dei suoi anni Manhattan, in un eterno e noiosissimo ritorno dell’eguale destinato al fallimento – oppure il regista di Io ed Annie è un genio assoluto.
Un sesto senso strisciante mi suggerisce la prima opzione, ma un’inspiegabile e arroccata nostalgia per la politica degli autori di truffautiana memoria, mi spinge a credere irrazionalmente alla seconda. Immaginiamo per un istante che Woody estenuato da una lunga carriera cui non riesce ad imprimere una svolta, che dia vita a qualcosa che possa essere definito come “stile dell’opera tarda”, stufo di essere circondato da produttori e direttori di produzione, disgustato da un pubblico che evidentemente non capisce la differenza tra Provaci ancora Sam e Scoop – perché inspiegabilmente va a vedere entrambi ed esce soddisfatto -, immaginiamo che questo regista, ironico e attempato, decida di mettere in atto la burla cinematografica del secolo: fare un film in puro stile alleniano, talmente perfetto nella sua emulazione delle “commedie newyoreksi” da rendere impercettibile per un pubblico non autocosciente la differenza fra Manhattan e un film che sembra Manhattan ma che in realtà è una squallida commedia americana infarcita di luoghi comuni politically correct e buoni sentimenti.
Sembra facile, basta riunire un’accozzaglia di temi facilmente identificabili dal pubblico: intellettuale ebreo-paranoico-cinico-sarcastico-nevrotico-ossessivo-genialoide, dotato di un incredibile sense of humour, si innamora di minorenne che piomba improvvisamente nella sua vita sconvolgendo le sue abitudini e ne diventa il Pigmalione. Basta aggiungere qualche battuta che faccia ridere – ed il film effettivamente fa ridere – ed è fatta.
Ma Basta che funzioni assomiglia troppo ad una commedia a lieto fine – e non intendo le commedie alleniane di Broadway – per essere un suo vero film. Persino il nome del protagonista – Boris Yellnikoff – sembra uscito da una barzelletta antisemita. Purtroppo ogni scena, ogni battuta, ogni riferimento culturale, ognuno dei troppi colpi di scena del film è talmente caricato, grottesco e prevedibile che chi ama ed ha amato i film di Woody Allen non può crederci. Chi ritiene che Woody Allen sia un grande regista non crede ai suoi occhi, per cui si inventa che in realtà Allen ha fatto, apposta, un film idiota, che assomiglia molto ad un film di Woody Allen, ma che è un falso, e lo fa in modo tale che tutti coloro che non amano Woody Allen, o lo amano per i motivi sbagliati, non capiscano. Nel frattempo dissemina il film di piccoli indizi che solo alcuni – i suoi più affezionati sostenitori – siano in grado di leggere ed interpretare per smascherare il suo gioco e continuare a credere che in realtà lui resta il grande regista di sempre, si sta solo divertendo a prenderci in giro.
Insomma, in ogni caso, la proiezione di Basta che funzioni ha sullo spettatore degli effetti desolanti, che egli ne sia cosciente o meno. “Basta che funzioni” sembra più che altro la massima che – fatta eccezione forse per il controverso Match Point – guida le grandi produzioni alleniane degli ultimi anni: faccio un film, qualcuno mi paga per farlo, della gente va a vederlo, mi pagano per il film successivo, insomma, incredibilmente funziona ancora.
Esposto contro la mia volontà ad una seconda visione del film, ho provato a scandagliarlo con il radar delle due possibilità proposte nella tua recensione. E ho trovato qualche indizio che mi fa propendere per la c.d. “politica degli autori”.
Innanzitutto il fatto che i monologhi iniziale e finale, che il protagonista rivolge al publico guardando in camera, siano rispettivamente preceduti e seguiti dall’incredulo stupore degli astanti. “Ci sono un sacco di persone che ci stanno guardando” “Alcuni mangiano pop-corn,…” dice Boris, come se il regista volesse dire: “Vedete? Siete venuti al cinema a vedere il mio film” e inscrive la vicenda in una parentesi che non coincide con l’inizio e la fine della proiezione.
In secondo luogo gli onnipresenti riferimenti a luoghi comuni politically correct di cinismo, emancipazione sessuale e liberazione dal religioso risultano sì grottescamente caricati, nei toni usati come nei lunghi elenchi di aggettivi, ma soprattutto si presentano prevalentemente secondo la seguente dinamica: la ragazzina provinciale e ignorante ascolta l’opinione dell’intellettuale e la ripete senza averla fatta propria mischiandola ad altre citazioni non necessariamente collegate, esattamente come fa chi cita alla stregua di barzellette le battute dei film di Woody Allen, credendo di averne compreso l’ironia o perfino il pensiero, e se ne professa appassionato.
bellissima recensione! complimentoni.
brava MartaF
‘Whatever works’ non é un’ opera tarda, semmai il contrario. Woody Allen l’ha scritta all’inizio degli anni ‘70, ben prima di ‘Manhattan’ (1979). Mise da parte l’idea nel 1977, quando Zero Mostel, l’attore che Allen aveva in mente nella parte di Boris mentre scrisse il manoscritto e che voleva nel film, morí di aneurisma. (Ovviamente gli amanti del cinema-di-classe affermano che Allen l’abbia messo da parte perché non lo reputava un buon manoscritto, ma finché Allen non lo confermerà continuerò a pensare che l’abbia fatto per rispetto a Mostel).
Hai scritto bene la tua recensione, ma sono in disaccordo . Non sono un esperto di Woody Allen né un suo grande amatore, non sono mai riuscito a finire Manhattan (inesorabilmente i miei occhi si chiudono) e Match Point un film che non guarderei mai un’altra volta (mi é capitato di doverlo guardare una seconda, é la serata non finiva più).
‘Whatever works’? L’ho amato. Ho avuto uno dei migliori fine settimana da molto tempo (dopo un sabato sera con ‘Up’ e la domenica sera con il film di Woody). Una commedia leggera, veloce, con dei dialoghi stupendi (sei hai visto il film in italiano ti consiglio la versione inglese, non ho idea di come abbiano potuto tradurre varie parti dei dialoghi, troppo sottili per essere traducibili).
Non pretende di essere qualcosa che non é. Dai primi istanti si capisce che sarà un’ora e mezza di ironia con un tempo vivace. Il modo in cui Allen ha creato i personaggi, estremizzati fino ad essere della ‘Personae’, dei cliché perfetti di americani in America.
Se devo essere sincero, trovo questa recensione della serie “quando un’artista fa qualcosa é meglio che continui col suo stile, sempre e comunque”. Almeno é quello che leggo tra le righe, una sensazione a pelle che ora non riesco a spiegare. Guarda questo film per quello che é, e ti piacerà. Dimenticati per un attimo che é di Woody Allen, che senso ha? Perché un film di Woody Allen deve essere ‘Woody’ style?
L’olimpo degli amanti del cinema mi manderà all’inferno degli ignoranti-di-cinema-di-classe, ma ci arriverò felice se ci sarannò più film come Whatever works.
A.A. (Andrea AmanteDelCinemaDiPocaClasse)