I toni come sempre sono alti, pills le dichiarazioni politiche scorrono come fiumi in piena, ma chi in questa vicenda si è preso un attimo per analizzare i fatti e riflettervi? Pochi. Troppo pochi. Però quello che è accaduto per due notti e due giorni a Rosarno merita un altro tipo di attenzione, oltre quello delle polemiche post-incidente. Si tratta di una caccia all’uomo, all’uomo nero, dopo una guerriglia e l’incendio della sua abitazione, se così si può chiamare un ovile diroccato, dove non arriva né acqua, né luce e dove non ci sono i bagni. E dopo gli scontri, gli immigrati, clandestini e non, del paese, sono stati deportati dalla polizia nei centri di accoglienza sull’altro lato della costa della Calabria. Non è il 1943, siamo nel 2010, siamo in Italia, uno Stato certo giovane, ma che non manca di storia, che ha vissuto momenti tragici della storia, da cui ha imparato molto: uno Stato che dovrebbe potersi dire “civile” a testa alta.
Non solo. Nonostante abbia conosciuto il fenomeno dell’immigrazione piuttosto recentemente, la nostra popolazione è sempre stata identificata per la sua ospitalità, ma questa virtù si è alleggerita col passare degli anni. In più, abbiamo da fare i conti con la nostra più grande piaga, la mafia. La ‘ndrangheta è un potere costituito, la più potente delle organizzazioni criminali, che tra le altre “occupazioni” gestisce gli immigrati della Calabria da quindici o vent’anni, destinandoli alla raccolta di arance, mandarini e bergamotti nelle fasulle cooperative agricole e che se ne approfitta trattenendo un pizzo sul loro stipendio di giornata -una manciata di euro per dodici ore di lavoro. Fasulle perché spesso –e non solo a Rosarno e in Calabria, ma anche in Lombardia, Veneto, Campania, Sicilia e Puglia- all’Inps risultano registrati come braccianti agricoli i disoccupati della piana di Gioia Tauro, ma i veri lavoratori delle terre sono gli immigrati, pagati in nero e, la maggior parte di loro, senza la possibilità di mettersi in regola.
Oltre a chiedersi dov’erano il Governo, il Prefetto, il Questore, il Comandante dei carabinieri e il Governatore della Regione, anzi prima di chiederselo, occorre che ognuno di noi rifletta sul ruolo che gli immigrati hanno nella nostra vita quotidiana e sul fatto innegabile che la forza lavoro costituita dalle loro braccia e dalla loro testa è ormai indispensabile all’economia dell’Italia perché non sono molti gli italiani disposti a raccogliere arance, specialmente per 15 euro al giorno.
Per una volta, invece che colpevolizzare e accusare, bisognerebbe riflettere sul potere che la mafia detiene da quarant’anni in Calabria e che non rovina la vita solo agli immigrati, ma anche, e da più tempo, ai cittadini nativi di Rosarno e dei paesi vicini.