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By Laure Blanchard • 7 Nov 2008 • 10 CommentiSorry, this entry is only available in Italiano.
Laure Blanchard Passionnée d'histoire, d'art, de mode, d'Italie, de gastronomie et de tout ce qui touche à la sociologie politique et autres comportements bizarres des individus réunis au sein d'une société, Laure essaie de conjuguer ses lubies, ce qui donne parfois un résultat plutôt barock'roll ! Touche-à-tout et voulant tout embrasser, elle écrit pour pouvoir concilier ses trop nombreux centres d'intérêts et les communiquer aux autres avec enthousiasme et humour... parce que savoir, culture et actualité, avec ennui, dans le Tamarinier, ne doivent jamais rimer!
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Interessante punto di vista. C’è da dire che le “parolacce”, sonointese in modo diverso da cultura a cultura. Ad esempio non credo di esagerare affermando che alcune parolacce, in Italia, non sono considerate volgari, ma piuttosto intercalari per dare enfasi alle parole e alle affermazioni.
In fin dei conti, la tradizione retorica classica, prima ancora che italiana, era tutta basata sulla vigorosità delle affermazioni, come ad esempio lo stile retorico dell’asianesimo, che faceva dell’ampollosità e della irruenza verbale la propria caratteristica…e ben poco è cambiato forse da quei tempi per quanto riguarda lo stile…anche se purtroppo molto è cambiato dal punto di vista degli oratori! Ma questo stile mediterraneo così incline alle “parolacce” raggiunge il suo vertice senza dubbio nella penisola iberica, dove si possono trovare una varietà infinita di fantasiose imprecazioni!!
Alla fine, se bisogna essere volgari, è importante almeno esserlo con fantasia no?
Sono d’accordo con Thomas quando dice che molte parolacce sono usate in italiano per dare enfasi al discorso. E sono d’accordo con te, Laure, quando colleghi le parolacce a una dimensione teatrale dell’italianità. Non però nel senso di un nascondere dietro la maschera una propria presunta vera essenza, quanto piuttosto perchè l’italiano è una lingua espressionista, a volte provocatoriamente emotiva. Della parola, più che il dato, è necessario che passi l’emozione - e suppongo che in questo passaggio si annidi l’embrione dello stereotipo dell’italiano creativo e pressapochista.
Il turpiloquio è, a mio parere, un’arte: un equilibrio tra basso e sublime, tra provocazione e significato, tra uso cosciente della parola e dominio della paura della parola stessa. Un’arte difficile, che forse non è possibile riscontrare in Fabio Volo, ma certamente in molti altri autori sì.
Volgare non è mai il verbo, ma l’uso che se ne fa.
- cade un balocco: cazzo!
- la sigaretta perde una brace: cazzo!
- il treno della metropolitana parte appena siamo arriveti al binario giusto(con amore, pensando a Vincenzo Ruocco): cazzo!
- bevendo un bicchiere ti sbrodoli: cazzo!
- un esame non passato: cazzo!
- una chiamata senza risposta: cazzo!
- un desiderio non esaudito: cazzo!
Una parola, Laure, che tu forse non puoi capire, equivalente al francese intercalare “putain!”, che non credero’ mai un secondo che non sia uscito mai dalle tue labbra.
Un intercalare, come Thomas e Nina sottolineano, quotidiano, e non considerato come volgare. Cazzo non è una parolaccia, ma un’emozione. Cazzo è la parola che ti libera dai problemi; cazzo è una locuzione ormai talmente colloquiale, e proprio per questa sua talmenza, considerata come innocua quando, sentendola pronunciare, aggrottiamo delle sopracciglia che sono tuttavia inscandalizzate.
Un interloquire, Laure, che giustamente smascheri parlando di pudore: una facilità verbale che permette di crogiolarsi nella superficiale insensibilità del proprio interlocutore, o nella sua puntuale curiosità. Se sopporta il turpiloquio (e ti complimento per il tuo italiano!).
Sono d’accordo con la tua visione, ma Nina tocca un tasto sincero: l’arte. L’arte di accaparrarsi l’attenzione, l’arte di sapersi far ascoltare in un paese, il mio Paese, in cui non sono certo le voci che mancano. L’arte di tenere viva la dimensione retorica, incastoando qua e là, come se fosse una perla, una parolaccia; perché quella, nell’inevitabile momento di noia, richiama l’attenzione, risveglia gli animi, e poco importa il come, ma cazzo!, funziona.
Hai ragione tu, Laure, ma da Fancese
Francese, pardon…
strano però.
tutti gli italiani che conosco che hanno vissuto in francia tornano stupefatti per la frequenza, la facilità e la consuetudine (sia in privato che in pubblico) alle parolacce da parte dei francesi. tanto che spesso sembrano addirittura perdere il loro stesso status di volgarità.
merde, putain, conard, salaud, con, je m’en fiche… sono parole ben radicate (spesso orgogliosamente) anche in un’elegante, raffinata e sofisticata cena tra intellettuali d’Oltralpe.
Vero, giacomo, vero vero verissimo…
Concordo con Giacomo, perchè in primo luogo , penso che anche i francesi usino eccome, molti intercalare volgari piu’ o meno equivalenti ai nostri..
detto questo trovo questo articolo molto ben scritto, ma veramente superficiale , veramente troppo e inutilmente provocatorio…
prima discrivere certe cose. .. bisognerebbe capire un po’ meglio il paese che si sta visitando.. ed evitare di dare giudizi del genere..che lasciano a mio parere il tempo che trovano.
un paese latino.. che motivazione è ? le lingue si evolvono .. e in tutto il mondo c’è questo involgarimento ..avrei trovato piu’ interessante analizzare lo sviluppo delle lingue.. magari di quella italiana nel particolare ( ma non necessariamente) .
GLI ITALIANI E IL CUORE
se volete legger a rigurado visitate il sito:
http://www.nbmodena.org/2009/04/29/gli-italiani-e-il-cuore/
Io non trovo affatto che questo articolo sia provocatorio o superficiale. Anzi, sono un’italiana che abita ormai da qualche anno all’estero e, ogni volta che torno, rimango stupefatta e interdetta dalla frequenza di queste parolacce e di tali intercalari volgari, che per me non sono affatto privi di connotazioni volgari o aggressive. Acuta e plausibillissima spegazione, quella della facciata volgare!
Cara Laure,
senza entrare nel merito delle tue riflessioni - che peraltro in parte condivido -, un consiglio: la prossima volta che ti capita sotto mano un libro di Fabio Volo, cestinalo.