Fashion Résumé

Di Ludovico Bruno • 23 ott 2009 • Categoria:Moda, Segnalazioni • Un commento

Etro“L’Insostenibile leggerezza dell’essere è in realtà un’amara constatazione dell’ineluttabile pesantezza del vivere”

New York, London, Milano, Paris. Il malconcio e sobriofestante carrozzone che ha intrattenuto le quattro piazze della moda se ne va, lasciando gli egregi spettatori e gli addetti ai lavori in un turbinoso saliscendi di ansie, prospettive, sogni, dubbi e aspettative tali da farci parlare ancora, per almeno altri sei mesi.

Se la moda è lo specchio della società che riflette con qualche anno di anticipo i dettami dello stile, i grandi maestri della moda, questa volta, si sono dovuti confrontare con quello che oramai conosciamo bene con il meraviglioso nome di “crisi”. La crisi porta pochi soldi, si compra di meno, figuriamoci poi nel grande mercato degli sfizi di lusso.

Dopo due anni di austerità, anni ‘80, spallone da rugbista, nero e glitter, è tempo di cambiare aria e quest’aria in passerella è arrivata eccome: la crisi non è più di moda.

La gente non ha più voglia di sentirne parlare, vuole uscire dalla pesantezza generata da questo periodo, prendersi meno sul serio, divertirsi di più; questo però non può essere tradotto come un taglio netto con la realtà, il dramma c’è sempre, ma cambia l’occhio di chi lo guarda.

“L’Insostenibile leggerezza dell’essere è in realtà un’amara constatazione dell’ineluttabile pesantezza del vivere”.

Lezioni americane, Italo Calvino

Adattata alla moda suonerebbe pressappoco così: siamo talmente malridotti e senza prospettiva che almeno in passerella vogliamo poter sognare.

Se la pesantezza del vivere è il riscontro quotidiano traballante e avvilente, la leggerezza dell’essere traduce i sentimenti, i sogni, i gusti della gente.

Se dovessi tirare fuori la parola chiave di questo mese di moda sarebbe proprio l’insostenibile Leggerezza. Leggerezza nei modi, nello spirito, nei colori, nella struttura dei capi, negli accessori, nelle finiture, nelle stampe.

Leggerezza e libertà, è su questi temi che si sono confrontati gli stilisti dando alla nascita le loro creazioni che, salvo rari casi, faranno da avanguardia per l’anno a venire.

Rimbalziamo così tra i trend di stagione:

La lingerie, emblema della femminilità e della leggerezza, must have da Dolce che la osanna a cult, soft e organica, da Fendi che gioca con trasparenze per portare fuori quello che c’è sotto, Marras che invece la glorifica a capo immagine per impalpabili patchworks, vista prepotentemente da Marc Jacobs, Vera Wang, Dior ne fa un tributo alla femminilità delle dive degli anni ‘50.

Trasparenze, viste e riviste fruscianti ed eteree in molti defilé da Ferrè a CK, Antonio Berardi, Marni, Gareth Pugh, Rodarte, Rick Owen, non sono mai volgari e costruiscono ancor più di un abito una silhouette fresca e morbida.

I Colori lasciano da parte gli accostamenti stridenti e si gettano in un’impeccabile miscela di sabbie, carne, grigio e bianco. Sono accostati a veri e propri trionfi di stampe di toni di inseguimenti tra ritmi optical, folk etno che danno una visione a 360° estremamente caleidoscopica ed eclettica come vediamo da Dries Van Noten, Aquilano e Rimondi, Kenzo, Givenchy e Marni, più scooba da Versace, Dsquared, Williamson, bambinesca da Stella Mc Cartney, Sonia Rikyel, o cromoterapeutica come da Lanvin e Bottega Veneta.

Finito - non finito, è un po’ il modus operandi, la chiave di lettura di questa stagione, punto di contatto tra bellezza e crisi, bordo sfilacciato di una perfezione affannata. Prada è l’elogio del readymade, segue Fendi che lascia le finiture non finite per darne più fragilità e leggerezza; per Jil Sander va in onda il decostruttivismo con tagli laceri per esprimere ricchezza come la Germania del 1600, Dsquared arrabbatta una camping girl appena fuggita con quello che è riuscita a trovare; stessa soluzione usata da Cavalli, da Marni, da Yves Saint Laurent, che vestono di un nuovo boho- streetstyle le loro muse.

Posso quindi tentare umilmente di individuare le colonne portanti della stagione, ovvero quei creativi che meglio degli altri hanno saputo interpretare la linea guida appena delineata e quelli che hanno portato in passerella dei veri e propri capolavori.

Celine si fa portabandiera di una classe non urlata, giocata con tagli sobri ma sereni, colori tenui, forme organiche che seguono il corpo. Bottega Veneta fa fluttuare le sue creazioni su una leggerissima brezza bucolica, che diventa country nella spensieratezza di Chanel. Ferrè svuota ed alleggerisce sculture perfette realizzate con materiali impalpabili, Da Lanvin propone abiti che fanno mancare il fiato per semplicità e femminilità. Semplicità anche da Fendi, che trova un nuovo sottile legame tra vestito e corpo. Givenchy si ammorbidisce e si tinge di etno-folk brillando per ingegno e versatilità, Marni danza con le sue artiste boho-chic in una festa di stampe e colori come da Mc Queen, dove la stampa fa il vestito e rende il corpo avvolto da creature fantastiche, quasi mitologiche.

In conclusione, possiamo affermare, dopo la chiusura dell’ultimo show di Parigi, che c’è una nuova aria, sì, un’aria leggera, flebile, fragile, ma c’è! Non gridiamo al miracolo, ma la moda rimuove i passi verso quella esclusività magica, quella voglia di sognare che forse aveva un po’ perso negli scorsi anni, regalandoci vestiti da amare e lasciando aperto ancora quell’angolo nel quale, anche quando tutto sembra andare male, possiamo rasserenarci. Perché se sogni di afferrare un sogno… Beh, forse lo raggiungi davvero.

Ludovico Bruno

Ludovico Bruno nasce a Milano in un freddissimo gennaio del 1987 in Via Senato, cuore del quadrilatero meneghino. Muove i primi passi (verso la scuola elementare) già immerso tra le boutique, disegna le prime mani con la tempera, intuisce una possibile strada nel caleidoscopico mondo della moda quando, mentre i suoi compagni disegnano soldatini, si cimenta invece nei primi bozzetti. Brutalmente trapiantato a Roma, fa sponda con cuore, mente e matita tra le due capitali assaporandone il domani di una e lo ieri dell'altra. Finiti gli obblighi statali, entra alla Nuova accademia di belle arti a Milano, dove affina le tecniche del mestiere, si scopre abile oratore, astuto conoscitore di arte contemporanea, costume, viaggi, società, social life e della sacra arte del party/happening. Importante parentesi quella in cui lo si vede partecipe della vita nella Nuova Amsterdam (New York) in cui si documenta e offre i suoi servigi a marchi in fase di lancio. Tornato in patria, si cimenta nella sua ultima fatica: uno studio sui "passaggi ad altrove", titolo della tesi, ispirazione per una collezione di capi realizzati da lui stesso. A Ludovico piace: Marni, la superbia ponderata, il whisky, gli animali a pelo lungo (purché siano morti), parlare a sfinimento dando impressione di sapere cosa dire, Robert Rauschemberg, le sigarette d'inverno, la bella compagna, il vodka martini senza oliva, il risultare di piacevole compagnia. A Ludovico non piace: essere frainteso, la tolleranza, gli analcolici, il buonismo, le persone di cuore, il poliestere, l'estate in Italia, le persone grasse, quando c'è vento mentre piove, la gente che alza la voce, i pantaloni pinocchietto (a tre quarti), la musica rap, l'essere ignorato, Roccobarocco, la folla, i pasticcini senza rum, farsi trovare in brutta compagnia.
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Commenti: 1 »

  1. condivido la bocciatura senza appello per i pasticcini senza rum. Chiedo la grazia per l’estate italiana.

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