Un solo secondo, per un intero viaggio
Di Eleonora Corsini • 21 ott 2009 • Categoria:Viaggi • Un commentoC’è un secondo nella vita in cui non sai se sei un genio od il più grande deficiente della terra. C’è un secondo nella vita in cui non sai se ti stai gasando o cagando sotto. C’è un secondo nella vita in cui ti senti folle, pazzo, incosciente e ne sei troppo fiero…
C’è un secondo nella vita che è il secondo più incredibile ed assurdo che potessi immaginare, un secondo in cui non sai bene cosa pensare, o meglio, se pensare… un secondo in cui, no, non puoi pensare, sei sospeso tra il niente ed il tutto, un secondo in cui non sai se stai volando o precipitando…. un secondo in cui TI SEI LANCIATO DA UN AEREO, idiota!!!!!
13.000 piedi di vento sotto di te, che forte forte ti soffia addosso e ti sostiene nell’aria.
Orizzontale al terreno, braccia allargate e fluttuanti come le ali di un uccello:
stai volando!!!
Quaranta secondi di caduta libera, poi a 6.000 piedi “puff”, tiri il paracadute e… un freno a mano nell’aria! Qualcosa di molto meglio di un’inversione ad U… una brusca frenata ed il tuo corpo ora si ritrova verticale, il momento del volo è finito. Ora, semplicemente, plani lentamente fino a terra, 5 minuti ancora di giri, e poi è fatta!
È successo tutto sabato 17 settembre 2005 a San Francisco, California.
L’attesa è stata lunga, quasi tutto il giorno.
Mentre aspettavamo, Olga ed io ci siamo messe a fare capriole, spaccate, verticali e ponti, così tanto per far passare il tempo, oppure, inconsciamente, così, per enfatizzare il rischio: se devi morire tanto vale farlo con qualcosa di rotto che fai più bella figura!!!!
Ci hanno chiesto di firmare un foglio in cui davamo il permesso agli istruttori di ammazzarci. Qualunque cosa succedesse, che fosse errore nostro o ubriacatura loro, noi firmavamo che era comunque colpa nostra: quasi rassicurante!
Poi gli istruttori ci hanno spiegato che fare ed io non ho capito nulla, però ho chiesto di poter aprire io il paracadute e così è stato. Siamo dunque saliti su un trabiccolo rosso e giallo poco rassicurante, ma molto buffo. Io ho paura anche degli aerei… si cominciava bene. Lì è stato davvero comico, io mi rendevo conto lentamente di dove mi ero andata ad infilare (per mia e solo mia volontà!) e la paura cresceva a livelli esponenziali e rapidità cosmiche, ma non potevo tornare indietro.
Eravamo in 8 sull’aereo, Olga ed io e rispettivi istruttori, più 4 paracadutisti. Quattro paracadutisti si sono lanciati, poi toccava a me.
Ho visto questi 4 pazzi darmi la mano, augurarmi in bocca al lupo, un paio di linguacce e poi “hop!”, nel nulla….. la mia reazione? Mi sono aggrappata all’aereo con tutta la forza che avevo!
Ma l’istruttore, con una gentilezza quasi cavalleresca, mi ha lentamente staccato la mani che afferravano le barre dell’aereo e, senza chiedere ulteriori mie conferme, mi ha portato a bordo finestra… gambe fuori, ci siamo dondolati. Uno, due… VOLO!!!!!
Nonostante la presenza di un professore attaccato interamente a te, sembra di stare da soli, perché la forza dell’aria è talmente grande che elimina il peso della persona incollata dietro di te. Così io, che mi ero presa l’impegno di aprire il paracadute arrivati a 6.000 piedi di altitudine, lo avevo totalmente dimenticato. Troppo impegnata a ripetermi: “Sto volando!” e contemporaneamente chiedermi: “Volo o precipito?”
Per fortuna a 5.000 una botta in testa mi ha ricordato non solo che non ero sola, ma anche la storia della levina che dovevo tirare, e così ho sfidato la buona sorte e per mia fortuna il paracadute si è aperto! Un colpo secco e l’adrenalina rallenta insieme con la velocità.
Il paracadute aperto ti permette di risponderti: “Non stavo precipitando, volavo!” E questa conferma, tutto sommato, fa piacere.
Comincia il momento della discesa lenta e all’arrivo la terra appare un luogo, una dimensione, estranea. Mi sentivo come appartenente ad un’altra atmosfera, con altra gravità, con altre leggi fisiche. Sentivo nei miei passi la stessa goffaggine dei primi passi sulla luna. Credo che fosse la scarica di adrenalina, energia e emozione che mi rendesse così estranea al mio corpo. Sta di fatto che in questo stato di rimbambimento sono rimasta fino al giorno seguente. Quando alle 6 del mattino sono schizzata giù dal letto e, sì!, ero finalmente ritornata sul pianeta Terra. Sono andata da Olga e svegliandola le ho detto,“Ieri abbiamo volato! Ti rendi conto? Abbiamo volato!” e lei, nel sonno: “Sì Ele, che ore sono?”
“Presto Olga, magari torno a dormire!”
Se viaggiamo per scoprire noi stessi, per vivere emozioni, per trovarci in situazioni che mai avremmo immaginato, per avere ricordi che a distanza di anni rimangono vividi in testa con un’energia unica. Se viaggiamo per raccontare un’avventura che abbia un inizio ed una fine e nel mezzo qualcosa di inaspettato anche per noi stessi. Se viaggiamo per partire e tornare. Se viaggiamo perché ci piace viaggiare, io vi consiglio di cercare il viaggio di “un solo secondo”. È un secondo speciale nella vita! È il viaggio più breve, ma intenso, che si possa immaginare!
Eleonora Corsini Italiana, nata a Roma nel’83, cresciuta tra Roma e Firenze. Laureata in Sociologia, ex collaboratrice per il quotidiano “il Corriere di Firenze” ed il settimanale “ l’Attenzione”. Da qualche anno a questa parte, quando posso, viaggio per lunghi periodi: Londra, Parigi, Brasile, Argentina, Messico, Stati Uniti, sono state le mete più importanti. Dopo i mesi trascorsi in Brasile come volontaria ho deciso di specializzarmi nel campo sociale ed antropologico, così ora frequento una doppia specialistica in “Sviluppo e Cooperazione” tra la Sapienza di Roma e la Soas di Londra.
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Complimenti, un articolo conciso ma che val la pena di leggere