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By Rocco Polin • 11 Apr 2009 • 5 CommentiSorry, this entry is only available in Italiano.
Rocco Polin “Rocco Polin is probably the most influential commentator of international affairs of our time”, Foreign Affairs. “Brilliant, thought provoking, a true talent”, Newsweek. “Mr Polin is the leading expert in Italian politics of his generation. His analysis are not only accurate and original but also incredibly enjoyable”, the Economist. “Now we know why everybody is going crazy about him”, The New Yorker. “Irresistibly sexy”, Angelina Jolie.
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Ti dico che da come parli sembri uno che ha tutto da guadagnare da una divisione classista dell’Università.
Ti dico che:
1) la divisione in serie A e B (sempre calcio.. ‘azz della cultura..), l’abolizione del valore legale ed il numero chiuso, come da te configurati, servono ad eliminare una selezione subdola e fascista ed ad introdurne un’altra limpida e fascista, senza intaccare in nulla le questioni e garantendo un certo interesse. Mi domando se nella stesura di questa finta rivoluzione hai pensato a qualcuno che non sia tu.
2) “e se questo non dovesse succedere amen”: cos’è, la conferma che mancava ai dubbi di cui sopra? XD
3) riforma, rivoluzione? Destra, Sinistra? Non voliamo un tantino alto? Diciamo che la proposta fa acqua da tutti i pori e che il fatto di esser inquadrabile in un sistema destroide o sinistroide ha ben poco a che vedere con le questioni pregnanti.
E se le soluzioni proposte dalle eminenti gioventù formate in Italia ed all’estero nascono ancora più morte di quelle dei baroni, evidentemente il problema è assai più radicato nelle teste pensanti (?) di chi dovrebbe, nel giro di vent’anni, diventar classe dirigente.
Bene, se questo è il futuro, direi che mantiene una certa continuità col passato, specie nei suoi tratti negativi.
Paesi di polli eravamo, paese di polli rimarremo.
Salùt.
Credo, Xaver, che non ci sia nulla di più classista di credere sinceramente, come sembri fare tu, che una selezione basata sul merito finirebbe per favorire i figli dei ricchi.
Conosco tanti figli della Milano ricca (che spesso coincide con una Milano di un livello umano e culturale pietoso) che se esistesse una seria selezione all’ingresso adesso sarebbero a lavorare (perchè la giustizia sociale richiede non solo che la possibilità dell’ascesa ma anche la possibilità della discesa sociale, da noi troppo spesso ignorata). E invece ingolfano le aule della Statale, gli appelli di esame e le ore di ricevimento sottraendo risisorse (umane ed economiche) a quegli studenti che invece le saprebbero e le vorrebbero mettere a frutto.
Non nego che maggiori possibilità economiche in alcuni casi favoriscano i figli delle famiglie che le hanno, non nego che anche in un sistema basato sul merito alcuni privilegi di classe finirebbero per avere il loro peso. Credo però che avrebbero un peso decisamente minore di quello che hanno ora. Perchè tra importanza del merito e importanza del privilegio c’è a mio avviso una relazione (sia pure imperfetta) di proporzionalità inversa.
Dopo di che le imperfezioni del numero chiuso si possono cercare di risolvere (l’azione affermativa, ad esempio per i figli di cittadini immigrati che si trovano a scontare un’evidente gap inziale, può essere una parziale risposta).
Credo che uno degli atteggiamenti che ha portato l’università italiana al pietoso stato attuale sia l’atteggiamento di chi individuando alcuni difetti nelle proposte di riforma (e naturalmente di difetti ce ne saranno sempre), invece di chiedersi se esse rappresenterebbero un passo in avanti o indietro (nel nostro caso per esempio rispetto all’eguaglianza delle opportunità e alla qualità dell’istruzione) ed eventualmente proporre qualche modifica, bocciano in toto la proposta in attesa dell’utopica riforma perfetta. Come se fosse facile ridurre l’Università italiana in uno stato peggiore di quello in cui si trova in questo momento.
scusa, Xander non Xaver.
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Grazie, grazie, GRAZIE per aver scritto questo articolo.
Anch’io sono un milanese cresciuto in provincia e trapiantato in centro per frequentare il liceo classico al Parini. Adesso sto per finire il liceo e ho gia’ tutto pronto per scappare in America appena dopo la maturita’. Sono completamente d’accordo con te; per fare un esempio, nella mia classe il “top 5%” e’ rappresentato esclusivamente da famiglie di middle-class, e non dalla vecchia alta borghesia del centro, i cui figli o vengono in una scuola pubblica (e.g. Parini o Berchet) e sono talmente incapaci che vengono bocciati subito e cambiano scuola, oppure rimangono sempre in uno stato accademico mediocre finche’ non prendono la maturita’, vanno a fare una facolta’ del cazzo, e hanno un posto assicurato per il resto della propria vita. Le eccezioni ci sono, ma essendo eccezioni sono ben poche.
Stare a inquadrare un sistema basato sul merito nell’ambito di destra e sinistra e’, a mio parere, piu’ o meno un non-senso: se il liberismo e’ di destra, allora quest’idea e’ di destra, se invece l’immobilismo e’ di destra, allora la stessa idea e’ decisamente di sinistra. Fatto sta che e’ un’idea che cambierebbe le cose in meglio.
Destra, sinistra. Yawn. Fottersene delle etichette?
Comunque concordo in pieno, almeno a livello programmatico. La meritocrazia, seppur crudele e socialmente ingiusta, é necessaria. Almeno un pochino. Un dito. Un accenno. Perché in Italia di meritocrazia, parliamoci chiaro, neanche l’ombra. Intanto si inizi lievemente ad implementarla, poi di affirmative action ne parliamo (che in Italia sarebbe da fare a base geografica, piú che etnico-sociale).
A voler fare un po’ di realpolitik, una riforma del genere non la si attuerebbe mai. Quello che possiamo fare noi studenti é cercare di esporre il piú possibile le baronie, che alla fin fine sono tranquillamente evidenti, ma il clima di indifferenza, omertá e timore che impregna la classe studentesca le tiene belle e sicure all’asciutto.
Uno dei problemi principali che vedo nell’Universitá italiana e l’incapacitá di rimanere al passo con i sempre piú frenetici tempi del dibattito intellettuale moderno. Ma come biasimare dei poveri vecchiardi che faticano ad accendere un computer? Io non li biasimo di certo, poveri amori della zia.
E sempre per voler tirare l’acqua al nostro mulino, bisogna spingere per il ricambio generazionale.
Viva noi. Abbasso i vecchiardi. E viva, sempre viva e comunque viva lamentarsi al baretto.