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Cosa manca al vero dialogo interreligioso

26 febbraio 2008
Pubblicato in Fiori, Opinioni
di Margherita Sacerdoti

Quando si parla di dialogo interreligioso, cheap non si capisce bene né quale sia lo scopo di tale dialogo, né in cosa consista nei fatti.

A parte le apparenze di interessarsi ad un tema delicato e di attualità, non sembra che i diretti interessati raggiungano reali risultati se non scrivere dei documenti congiunti senza valore.
Cominciamo a parlare dell’Italia, perché è il nostro Paese e perché qui, proprio per l’importanza della Chiesa, la religione e il dialogo tra religioni hanno un certo peso.

Innanzitutto quando in Italia si parla di dialogo interreligioso si parla del rapporto tra Cristianesimo, quasi sempre solo cattolico, Islam ed Ebraismo, insomma soltanto delle tre religioni monoteistiche. Questa limitazione è sia una mancanza sia un’imprecisione; una mancanza perché se veramente volessimo aprirci verso la conoscenza del diverso nel campo della religione, dovremmo incominciare ad avere contatti anche con i mondi lontani dell’Asia, con religioni che non sono monoteistiche e che ci potrebbero mostrare un aspetto completamente nuovo della realtà e della strada verso la conoscenza. Imprecisione perché, decidendo di volerci limitare al contatto con le religioni che più si assomigliano, decisione lecita, bisognerebbe però chiamare il progetto diversamente, per esempio dialogo tra monoteisti, per rendere più chiaro l’oggetto del dibattito.
Lo svolgimento di tale attività, oltre che a una generale confusione di termini, purtroppo spesso è povero di contenuti. Personalmente sono stata coinvolta in varie iniziative legate al dialogo tra religioni monoteistiche e mi sono resa conto di quanto la realtà divergesse dalle mie aspettative. Credevo che per confrontarsi bisognasse prima conoscersi in maniera approfondita, che lo scopo fosse imparare la cultura e la religione dell’altro per poi capire meglio i punti di vista, le richieste, le necessità della altre religioni, ma mi sbagliavo. Quasi tutte le iniziative interreligiose, nella mia esperienza tra giovani , restano ad un livello di superficialità in cui si parla di temi generali e si tende sempre a cercare l’accorso, il consenso, l’approvazione di coloro che appartengono a un culto altro dal nostro. In questo modo si resta in una zona ibrida, grigia, in cui non si impara e non si insegna nulla di nuovo, nulla di diverso e non si contribuisce al bene comune.
Innanzitutto si lascia sempre fuori il dogma, perché naturalmente lo scopo del dialogo non dovrebbe essere quello di decidere quale Dio è quello vero, né di convincere gli altri che la nostra religione è l’unica via della salvezza. In questo modo però si perde anche l’opportunità di imparare veramente l’anima della religione altrui. È curioso e allo stesso tempo deludente osservare quanto sia facile creare dei tabù laddove non si è in grado di mettersi in discussione e di lasciare che altri, diversi da noi, mostrino un punto di vista nuovo e, perché no, ci aiutino ad osservare la realtà da punti di vista diversi e magari a notare anche delle incoerenze nella nostra religione, senza che questo debba portare a crisi di identità. Pur di non rischiare questo confronto profondo, pur di non rischiare di sollevare dubbi su alcuni punti d’ombra dei dogmi, pur di non scoprirsi più autonomi nel pensiero e meno seguaci del verbo di qualcun altro, si decide di escludere questo tema in blocco e, semmai, di lasciarlo ai soli uomini di culto, escludendo la società civile che davvero avrebbe bisogno di imparare.
Le proprie usanze sono le sole che si mostrano agli altri e di cui ci si interessa, così ci si rende conto che il dialogo non è interreligioso, bensì interculturale. A questo punto non si capisce come mai si debba limitarlo alle tre religioni monoteistiche, se Dio o gli dèi non c’entrano più.

Le usanze sono interessanti, qualcosa s’impara, ma non si arriva neanche lontanamente alla conoscenza dell’altro. Nella mia esperienza ho notato che ho imparato più nei momenti di svago tra una discussione ufficiale e l’altra, quando facevo domande ai miei colleghi Cristiani o Musulmani, quando pretendevo che mi raccontassero di più, ma loro per primi, essendo fedeli e non pastori, non erano in grado di spiegarmi ogni cosa, come io a loro.

Dunque il dialogo così guidato non arricchisce nessuno, non permette a nessuno di immedesimarsi nell’altro e di capire veramente che cosa prova in determinate situazioni sociali o politiche. L’ignoranza è alla base di ogni pregiudizio e il pregiudizio e la paura del diverso sono strumenti di potere dei pochi sui molti. Se non si progredisce nel percorso della vera e approfondita conoscenza reciproca, non solo tra élite, ma nelle scuole, nei luoghi di ricreazione, nell’arte, allora i piccoli sforzi, riusciti o meno, fatti fino ad ora, saranno stati vani. Gli uomini di culto e i maestri delle religioni, anche non monoteistiche, dovrebbero insegnare i propri valori e i pilastri del proprio credo e imparare dagli altri, provando così a rispettarci reciprocamente e non a tollerarci a malincuore.
Infine c’è la politica, di cui tutti vogliono parlare prima o poi, ma che sarebbe meglio lasciar perdere finché il livello di conoscenza reciproca resta così superficiale. Infatti quando si instaura un buon rapporto tra i partecipanti e c’è un’atmosfera positiva e magari anche costruttiva, appena qualcuno sposta il dialogo sulla politica in Medio Oriente, ogni gruppo religioso comincia a difendere chi sente più vicino nel conflitto, come se avesse il dovere di farsi portavoce di tutti gli appartenenti al proprio gruppo enico-religioso del mondo. A quel punto è evidente che qualunque dialogo costruito fino a quel momento si ferma e si resta a discutere su una situazione che in realtà non appartiene a nessuno dei presenti e che nessun europeo o americano che sia può capire fino in fondo, dal momento che non abita nelle zone di guerra.
Per concludere il dialogo interculturale tra le tre religioni monoteistiche, come lo abbiamo finalmente definito, dovrebbe affrontare temi ai quali è in grado di dare un contributo, per esempio il sociale, inteso come l’integrazione delle minoranze nella società italiana, il riconoscimento delle festività e dei luoghi di culto e in questo Ebrei e Musulmani si possono aiutare molto. Un altro tema su cui forse un dialogo interculturale potrebbe davvero aiutare gli individui a capire le posizioni degli altri è la laicità dello Stato e l’importanza che nessun dogma di una sola religione decida quali sono i limiti della ricerca scientifica dello Stato, quali sono le cure autorizzate negli ospedali dello Stato e via dicendo. Se davvero imparassimo a renderci conto che ogni individuo, ogni gruppo etnico o religioso ha posizioni diverse su determinati temi e se davvero facessimo lo sforzo di approfondire la conoscenza delle culture, religioni che vivono sullo stesso territorio, allora forse non avremmo la presunzione di imporre agli altri la nostra via della salvezza, a persone che ancora credono di vivere in uno stato la cui funzione è slegata alla religione. Il rispetto reciproco che tanto la religione insegna come imperativo da seguire, nasce invece dalla reale consapevolezza della diversità altrui che non può e non deve essere soffocata da nessuno.



2 Responses to “Cosa manca al vero dialogo interreligioso”

  1. Lorenzo scrive:

    Sono perfettamente d’accordo con le parole di Margherita. Mi sono reso conto nel corso della mia breve esperienza presso la Divisione per il Dialogo Interculturale dell’UNESCO di come sia difficile impostare un dialogo tra differenti religioni in base alle vaghe direttive dei vertici politico-religiosi. La strada che mi è parsa più efficace, ma purtroppo anche la più difficile, è quella del dialogo interculturale diretto e onnicomprensivo -con la sola eccezione dei dogmi religiosi- fra le comunità che condividono spazi di vita e lavoro. Non a caso indicazioni molto sagge su questo tema vengono dal Cardinale Carlo Maria Martini, ex arcivescovo di Milano, ritiratosi a Gerusalemme per dedicarsi agli studi biblici: “Molte volte ho avuto occasione di ripetere che non basta evitare ogni sentimento antisemita. Bisogna giungere ad amare il popolo ebraico con tutte le espressioni della sua vita e cultura: la sua letteratura, la sua arte, il suo folklore, la sua religiosità. Soltanto allora si può giungere a stabilire quei legami che permettono non solo di superare diffidenza e pregiudizi ma di collaborare per il bene comune dell’umanità”.

  2. Silvia scrive:

    Ma brava la mia Marghe! Sono spesso d’accordo con te. Purtroppo la cosa piu’ vera e’, come dici tu, che “L’ignoranza è alla base di ogni pregiudizio e il pregiudizio e la paura del diverso sono strumenti di potere dei pochi sui molti”. Non mi riferisco unicamente al dialogo interreligioso ma a tante altre situazioni che necisseterebbero un altro articolo per essere spiegate.. magari il prossimo?