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Salviamo il sogno europeo!

4 settembre 2008
Pubblicato in Attualità
di Lorenzo Kihlgren Grandi

Nel 1626 il valoroso sovrano svedese Gustavo II Adolfo Vasa ordinò la costruzione di una nave da guerra imponente (69 metri), sovaldi dotata di 64 potenti cannoni disposti su due ponti, illness capaci di riversare sul nemico una potenza di fuoco allora inimmaginabile. La “Vasa” venne decorata finemente con circa 500 sculture in legno rappresentanti figure mitologiche e della Bibbia. La miope ambizione di costruire la più stupefacente e micidiale nave da guerra del mondo fece dimenticare ai mastri navai le regole più elementari della loro arte. La Vasa fu varata il 10 agosto 1628 e, dopo poche decine di metri, si inabissò nel porto di Stoccolma, soccombendo al peso delle sue bocche da fuoco, sotto gli sguardi stupefatti di migliaia di sudditi svedesi e dei dignitari (e delle spie) giunti per l’occasione da ogni dove.*

Sarebbe un peccato vedere l’Europa sognata da De Gasperi, Monnet, Adenauer, Schuman e Spaak finire come la Vasa. Forse i politici dei 27 Stati membri dovrebbero smetterla di comportarsi come i cesellatori che si ostinarono a ornare una nave ormai troppo imponente e pesante. Tutto ciò mentre le esortazioni all’autarchia e al ritorno al periodo precomunitario (curiosamente dipinto come un’età dell’oro) trovano una progressiva legittimazione nello spazio pubblico europeo. Beccheggi pericolosi: l’Unione corre il rischio di inabissarsi per le falle aperte dalle tempeste nei mari di Francia, Olanda e Irlanda.

Su come risolvere la crisi europea sono state avanzate molte ipotesi; personalmente sono affascinato da una delle più ardite e controverse. Tutto parte da una riflessione sull’identità del cittadino europeo. Chi viaggia spesso nel vecchio continente è consapevole che difficilmente un Greco troverà spiritosa una barzelletta scandinava (a questo proposito, si legga l’interessante racconto di viaggio di Matteo Incisa), mentre è chiaro che un Provenzale, un Catalano e un Ligure potrebbero passare delle ore in un caffé a discutere del più e del meno, ricorrendo all’occorrenza a un’acrobatica koiné di parole e gesti. Se poi, resistendo alla tentazione di sviare il discorso sul tema calcistico, i tre volessere discutere dei problemi che ciascuno è chiamato ad affrontare quotidianamente – infrastrutture, inquinamento, delinquenza, crisi dei porti commerciali – sarebbe relativamente facile trovare una posizione comune. Allo stesso modo un Italiano dell’Alto Adige ha poi molte più possibilità che le proprie esigenze siano comprese da un Austriaco o da uno Svizzero tedesco piuttosto che da un Italiano delle Isole, per non parlare di un Maltese o di un Cipriota. Suddividere l’Europa in aree socio-economicamente affini non sarebbe certo impresa facile, soprattutto quando sono coinvolti Stati fortemente centralizzati come quello francese. Ma come negare l’importanza socio-economica dei rapporti transfrontalieri in determinate macroregioni, tradizione millenaria estremamente rafforzata dalla libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali?

Insomma, a mio avviso la risposta alla crisi potrebbe essere la seguente: fare del Comitato delle Regioni qualcosa in più di un bel palazzo nel quale discorrere amabilmente del più e del meno. La spinta propulsiva di un’Unione ormai in crisi potrebbe infatti venire proprio dal potenziamenti di questa istituzione nella quale – a mio avviso – le diverse istanze della realtà europea potrebbero venir presentate con maggiore uniformità ed efficacia. Le materie sulle quali il Comitato delle Regioni si pronuncerebbe non dovrebbero essere altre che quelle già delegate alle istituzioni comunitarie, senza perciò mettere in dubbio la competenza degli Stati in materie come la politica estera e la sicurezza. È indubbiamente prematuro abbandonare l’istanza intergovernativa in tutti quei campi in cui sarebbe troppo complicato – per quanto auspicabile – imporre una soluzione comune.

Al di là di questo nostro volo pindarico, seducente ma reso quasi impraticabile dalla gelosia con la quale gli Stati custodiscono le proprie competenze, mi sembra evidente che la crisi dell’Unione può risolversi solo risvegliando l’entusiasmo dei suoi cittadini. La domanda che mi pongo e che pongo ai lettori del Tamarindo è questa: sapranno i Governi dei 27 mostrare il coraggio necessario per tenere in vita il grande sogno europeo?

* Il relitto della Vasa fu recuperato nel 1961 e si trova ora al Vasamuseet di Stoccolma, il museo più visitato della Scandinavia.



One Response to “Salviamo il sogno europeo!”

  1. Benedetto scrive:

    La Vasa, che bella nave! Pensa che figuraccia! Passo troppo lungo della gamba, eh?
    Hanno fatto bene, dunque, i padri fondatori a scegliere la politica dei piccoli passi. In questo modo, ad ogni crisi politica europea è finora seguito un rilancio. Alla politica della sedia vuota francese degli anni ‘60 ha poi fatto seguito l’adesione di nuovi Stati (Regno Unito, Irlanda, Danimarca); dopo le difficoltà degli anni ‘80, Delors ha portato l’Europa a Maastricht.
    Sarà così anche stavolta?
    A mio parere, il problema è prima di tutto politico: ci vuole informazione sull’Europa, ci vuole politica, e ci vuole interesse. Ma non si tratta solo di frasi fatte, di cui molti (neocommissari compresi) si riempiono la bocca. A mio parere, per “avvicinare l’Europa ai cittadini”, bisogna spiegare qual’è l’impatto concreto dell’Europa sui cittadini.
    Quanti, per esempio, sono consapevoli del fatto che senza Comunità europea non avrebbero probabilmente un telefonino in tasca? E quanti studenti capiscono da dove trae origine l’erasmus, che fanno con tanto gusto? Per non parlare poi di quanti (pochi) hanno la consapevolezza del crollo dei prezzi dei biglietti aerei…
    Avvicinare le istituzioni ai cittadini è giusto. Al contempo, occorre lavorare anche sull’informazione.