Una bionda per tutti i problemi
Pubblicato in Opinioni
di Guicciardo Sassoli de Bianchi
Qualche tempo fa ho intervistato il vice presidente della World Bank , rx Cesare Calari, mind che, viagra ad una mia domanda sulla politica dei dazi in Europa, ha risposto:
“La storia insegna che il più forte mangia il più debole, è inutile mettere delle protezioni, sarebbe come allungare l’agonia di questi ultimi: i Paesi non più competitivi sul mercato prima o poi devono lasciare il posto ad altri.”
Se queste sono davvero le premesse, vedremo un’Europa destinata a diventare un continente che fornisce servizi e che si allontana ancora di più dalla produzione e dalla terra a parte alcune “scelte”, di nicchia, di alta qualità. Scelte poi da chi e in che modo? Ricordo un paesino svizzero che si chiama Champagne dove viene prodotto un vino che porta da secoli il nome dell’illustre omonimo francese. Un bel giorno i viticoltori francesi si accorgono dell’esistenza di questa ridente località elvetica e del suo vino: plagio! Scandalo! Interviene l’‘Europa’ che obbliga il povero vecchio champagne svizzero a cambiare nome.
Dicevamo: un continente di servizi. Che felicità; che bella prospettiva. Ma non sarà pericoloso dipendere in questo modo dagli altri Paesi per bisogni essenziali quali il cibo? Se così sarà non avremo nemmeno più bisogno di far arrostire sotto il sole migliaia di immigrati-schiavi assunti in nero per raccogliere la frutta come avviene ora al posto delle nostre viziate generazioni “Lavorare in campagna? Per cosa mi hai preso: un contadino?”. Chissà cosa direbbe oggi il poeta Dino Campana ricordando i suoi versi:
Guardo le mute fonti dei venti
E l’immobilità dei firmamenti
E i gonfi rivi che vanno piangenti
E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.
Eppure la campagna sta diventando una via di fuga o meglio una via di vita per molte persone. Quest’anno, leggo sul Sole 24 ore, hanno visto la luce in Italia 29.000 nuove aziende agricole. Percorso iniziato da anni in Paesi come Svizzera e Germania.
Che sia scongiurato almeno per il momento il rischio ‘continente dei servizi’ con questo ritorno alla natura? Non mi illudo. E’ possibile che torni un mercato locale della terra, ma secondo concezioni moderne, diverse, con il pallino della coltivazione biologica, vero must degli ultimi anni, come moda e mercato chiedono. Come se le patate coltivate finora fossero state velenose.
Ma il biologico può sfamare in potenza milioni di persone? Ovviamente no.
Verrà rinnovata grazie a questa moda almeno la cultura di un mondo tradizionale di campagna? Nemmeno. E forse nessuno lo chiede. Coloro che intraprendono questo ‘nuovo’ business sono in maggioranza ex cittadini delusi o ubriachi della vita urbana che non avranno mai quel vero bagaglio di tradizioni, usanze, costumi della vita di campagna, da tempo scomparsi quasi del tutto. Credo che la nuova campagna potrà essere entusiasticamente abbracciata ma senza essere capita dai nuovi contadini, pardon agricoltori…
In ogni azione umana c’è sempre un fondo di ironia.
Jacques Prévert con fine intelligenza notava:
Tant de forets arrachées à la terre
Et massacrées
Achevées
Rotativées
Tant de forets sacrifiées pour la pate à papier
des milliards de journaux attirant annuellement
l’attention des lecteurs sur les dangers du
déboisement des bois et des forets.
Prendiamo troppi aerei per fare delle vacanze che nemmeno abbiamo il tempo di goderci – io compreso – come scrive giustamente Alessandro in queste pagine nel suo ‘The world- from a different point of view’.
A volte andiamo alla ricerca di quello che non abbiamo più, il fascino di un Paese intatto, non invaso dal turismo, non ancora ‘colonizzato’ dal nostro modo di vivere. Scopriamo che sugli altipiani boliviani le donne vestono ancora con il cappellino a bombetta e i vestiti di pizzo colorati a più strati tipici dell’epoca coloniale spagnola del ‘600, che portano sulle spalle i bimbi arrotolati in un tessuto giallo-viola-rosso-marrone tipico dell’usanza andina e seguono il ritmo di vita tradizionale dove gli stranieri sono visti con una certa indifferenza. Nel confinante Perù da vent’anni a questa parte la gente si veste all’occidentale e chi viene identificato come una possibile fonte di denaro viene spesso assalito da venditori di maglioni di alpaca.
Il viaggio diventa una corsa contro il tempo: arrivare prima che le strade d’asfalto, i vestiti stile occidentale, gli hotel con facilities all inclusive siano già lì, pronti ad ‘insegnare’ agli abitanti locali che dal turismo si possa guadagnare denaro a tal punto da lasciare il proprio lavoro o avere una visione completamente diversa del proprio mestiere: non più lavorare a regola d’arte ma semplicemente vendere. Per fortuna ci sono ancora gli Andini che mostrano fieramente le piantine non seccate dal sole dopo mesi senz’acqua assieme all’unico lama che posseggono; o alcune trattorie a Firenze che riportano in calce sul menu per turisti: ‘qui la bistecca si fa solo al sangue’.
Ma la carne viene macellata a mano, perciò un lavoro degradante. Si, per la nostra società, degradante. Ecco un altro problema che il ‘nostro’ modo strambo di vedere le cose, vuoi per il benessere, vuoi per i mezzi di comunicazione ha causato la perdita della dignità del lavoro.
E’ così degradante fare la donna delle pulizie al punto da vergognarsene? Per non parlare dello spazzino pardon operatore ecologico .”Caro mio cosa vuoi fare, un lavoro da povero? Ah ah!”
Dove sono i facchini alle stazioni? Ci sono signore al binario diciotto carrozza undici che ancora aspettano che qualcuno le aiuti a scendere con le valige.
No, bisogna fare un lavoro socialmente riconosciuto.
Ed ecco schiere di telefoniste precarie, laureati trentenni appena usciti dal decimo ’stage’. Se fosse solo per i soldi – ben pochi fra l’altro – molto meglio fare l’elettricista.
Meglio ancora, prendersi cura di una vigna cercando di capire cosa voglia dire.
Forse questa scelta fra qualche anno non potremo più farla. O forse sì ?
Ora smettiamola con queste apocalittiche visioni, noiose riflessioni, basta devo accendere la tv: mi dicono che Flavia Vento quando parla dall’Isola dei Famosi si rivolge a tutti gli Italiani, non vorrei mancare al prossimo appello.
Lo spaccato della società in cui viviamo da te delineato ha colpito nel segno. Quale bivio, quale direzione? Robert de Niro ricorda sempre che la sua insegnante di recitazione diceva ai propri studenti: “non chiedetevi se avete talento perché tutti voi ne avete. Cercate di capire che il vero talento, in questo mondo, sta nella capacità di saper fare le scelte giuste”. Questo è ciò che dobbiamo affrontare, scelte, cercando di capire se siamo dotati del talento che serve. Mi viene in mente “Giovani, carini e disoccupati” di Ben Stiller, 1994. Quattordici anni più tardi cosa è cambiato? Quali miglioramenti?
V
interessanti considerazioni.
è vero che lo scollamento europa e libera imprenditoria agricola è evidente, ma credo che il boom delle nuove aziende nel primario sia causato più dalle singole potenzialità dell’enogastronomia (ad esempio italiana) nei mercati anglosassoni e nell’est europeo (fino alla russia).
cioè, per quanto riguarda gli stati con tradizione agricola, di che si tratta? approvvigionamento mondiale – come dici tu – manco a parlarne. piuttosto si cercano nicchie di qualità da promuovere adeguatamente. il mezzo è solo l’immagine, la promozione. ma anche questo sforzo, come dimostra il consorzio delle arance rosse di sicilia, non è sempre di successo. che fare?
tuttavia non credo che gli svogliati cittadini pesino più di uno 0,00001 sulla nostra agricoltura. su questo, per fortuna, possiamo stare tranquilli.
saluti g