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Un viaggio nel tempo

7 febbraio 2009
Pubblicato in Attualità, Fiori
di Eleonora Corsini

È strano come messa di fronte all’idea di scrivere qualche parola sul viaggio mi senta muta nei pensieri. Se chiudo gli occhi incessabili immagini meravigliose scorrono tra i miei ricordi. Quasi a pensare che non ho viaggiato in un solo paese, nurse ma in molti luoghi diversi.

Il Marocco è una terra sorprendentemente varia. Benchè buona parte della sua natura sia caratterizzata dal paesaggio brullo dell’hammada, ailment il deserto roccioso, cialis viaggiando attraverso le piccole strade dissestate che collegano il paese si incontrerà la natura verde e rigogliosa della provincia di Ouarzazate, le vallate di palme da dattero della valle del Draà, le montagne innevate della catena dell’Alto Atlante,  i canyon maestosi delle gole del Todra e del Dades, la foresta di cedri ad Azrou.  Ed ancora i vigneti di Meknès, le arganie nella regione di Essauira, la costa frastagliata e rocciosa di Sidi Ifni e le meravigliose spiagge nel tratto di costa che da Agadir giunge ad Essauira.  Senza dimenticare il profondo sud  dove si aprono le porte al grande deserto del Sahara.

Il tutto contornato da mandorli già in fiore, da grandi eucalipti, ed  intervallato qua e là da mille e più kasbah – villaggi in pietra fortificati – che si mimetizzano nel paesaggio.

Mi avevano detto prima che partissi che “ la natura è la parte più bella” e che “ti innamorerai delle sue montagne” .  Non avevano torto,  la natura è incredibile. Ognuno dei paesaggi elencati  presenta forme  e colori così puri e forti che coinvolgerebbero anche l’osservatore più distratto.  La stagione invernale poi permette di vedere i colori vivificati dal freddo notturno, ma illuminati da un sole quasi sempre presente, e capace di insinuarsi in ogni angolo remoto della terra ed in ogni ramo spoglio degli alberi, regalando un riverbero dorato come solo la luce del sole invernale sa fare!

E non mi dilungherò in ulteriori descrizioni, lasciandovi viaggiare, liberamente,  attraverso le immagini di quanto solo accennato, con la consapevolezza che esse sapranno raccontarvi della natura meglio di qualunque mia parola.

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Perché c’è qualcos’altro che invece merita di essere raccontato…

Ogni dove le strade statali tagliano a metà piccoli paesini di poche case e molti volti. Ogni volto una storia di vita:  uomini che indossano la jellaba (una lunga tunica dotata di cappuccio),  pastori con il copricapo bianco, donne vestite di nero, donne col turbante ed un bambino legato sulla pancia, donne che pascolano le greggi, bambini in divisa scolastica, bambini in jeans, bambine col turbante, autostoppisti, commercianti, osservatori seduti su rocce a contemplare il nulla, uomini o donne al riposo…

Persone che spendono la loro giornata in un continuo viavai di volti ed espressioni di quelli che, agli occhi del turista che ero, non appaiono come un popolo che vive il suo quotidiano, ma come personaggi curiosi ed affascinanti. Abitanti di una realtà distante troppi mondi paralleli  per pensare di poterla capire.

Mi sono accontentata di spiarla nel tempo delle tre settimane che avevo, colla speranza di saperla poi almeno descrivere.

Arrivata nelle medine – città fortificate-  di Meknès e Fès sono rimasta quasi disorientata. Il primo impatto è nella ville nouvelle, città moderne prive di grandi attrattive, ma superata la bab – porta – d’ingresso,  ti trovi catapultato in un labirinto di cunicoli stretti in cui si viaggia a piedi.  Meandri di una città dove ogni metro quadro che da sulla strada è buono per una bottega. Di nuovo uomini e donne con tuniche o turbanti e babbucce ai piedi: a lavorare come artigiani, a barattare i loro prodotti con quelli del fruttivendolo, a passeggiare nel mercato ed essere pronti a spostarsi al grido balek! (attenzione) di colui che trasporta la merce a dorso d’asino.

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Sembrava di camminare tra i personaggi animati di un presepe ambientato nel medioevo, in cui solo la presenza sporadica di qualche orologio, o di un cellulare che esce da sotto la tunica, od il suono di un clacson distante al di là delle mura, ricorda l’epoca in cui viviamo.

Poi  si leva il richiamo del muezzin dai minareti sparsi, una cantilena familiare e ripetitiva echeggia per le strade che silenziosamente si svuotano, le persone si spostano a  pregare: con costanza, con riservatezza, nelle moschee in cui al cristiano non è dato il permesso di entrare.

Non avevo mai viaggiato in un paese musulmano, non avevo mai viaggiato in Africa. Mi avevano detto “le donne non ti rispondono e se sei donna non ti parlano” mi avevano  detto“ il Marocco non è Africa”.  Ebbene, le donne sono cordiali e meno approfittatrici dell’uomo. Quanto agli uomini, magari non mi avessero parlato, alcuni almeno: mi sarei evitata qualche seccatura! Quanto a cosa sia il Marocco, sfido io chiunque a sostenere che possa essere Europa, America, Oceania o, perché no, Asia! Per quel che ho potuto vedere il Marocco è un ponte tanto piccolo quanto ricco. Un incrocio di culture dove la storia dei nomadi del deserto si è intrecciata a quella degli arabi, dei berberi, ed a quella degli spagnoli. Un  piccolo paese che dal suo estremo occidente  comunica con il mediterraneo e con l’oceano e rappresenta, ora come prima, il ristoro che segue o anticipa l’attraversamento  di quell’immenso nulla che è il deserto del Sahara: la grande porta dell’Africa nera.



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