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Per chi si chiede cos’è il surf

5 marzo 2008
Pubblicato in Attualità
di Redazione

Sábado, nurse Domingo y Lunes, stuff 29/30/31 octubre – El Palmar, España

Malaga, Città.

Appuntamento ore 8,30, che diventano le 10,30 (già, il fuso spagnolo). Armi e bagagli ragazzi, si parte! Mi guardo intorno, le facce di chi va a sfidare Nettuno, ma a chi la diamo a bere? Bob, Gian, Sylvain, Simo: bell’accozzaglia!

Malaga, Aeroporto.

Recogida del coche, una Opel Astra, Lele al volante. Non guida una macchina da un mese, ma gli allenamenti nel traffico di Roma e Raccordo (odiato e amato, quante corse e quante code) non si fanno dimenticare: pedale a tavoletta, onde e sole, here we come!

Malaga – Tarifa, Autopista.

Seguiamo le indicazioni della Vale, chica di Ostia già ben informata su percorso, pernottamento, affitto del materiale tecnico e quant’altro.

Lele sbaglia strada al primo svincolo; torniamo a Malaga? Errore! Buoni, che riprendiamo la buena dirección. Usciti dall’Autopista, si imbocca la strada che al principio si snoda tra cittadine e zone industriali, ma che poi si trasforma in un tuffo nel paesaggio andaluso, fatto di distese verdi, colli e brulli campi, dove perdi l’occhio e la mente e… Lele se non guardi dritto annamo a sbatte!

Passati i primi 100 chilometri il paesaggio intorno cambia, diventa tutto più saliscendi, non vedi oltre il monte e sulla vetta non vedi oltre il seguente. Quand’ecco che si apre d’improvviso: è l’Africa!

Passando tra le mastodontiche pale eoliche che godono dell’impetuoso vento che dà carattere alla zona tra Gibilterra e Cadice, si arriva al prezzo dei sogni, Tarifa sull’Oceano, dove allo scoccare del duecentesimo chilometro il viaggio non termina affatto. Aspettiamo la fine degli ultimi 50 km che recano alla destinazione finale, El Palmar, terra di vino e miele, donne dalla pelle color del latte e dai capelli d’argento intessuti dai raggi di luna.

Conil, casa base.

Borse e borselli in ostello, costume alla vita, e… Dani, quanto costa affittare ‘sta tavola? Dacci tutto, qua non si può più aspettare! Prima tavola della mia vita: una 7 piedi e 6 (moltiplica per tre decimi e ottieni i metri), un bell’arnese, non c’è che dire.

El Palmar, spiaggia.

A me una muta, a me un surf, a me un leash, passa il wax, riscaldamento e stretching, dove si rompono meglio le agognate onde? Buttiamoci là, tra quella marea di gente, attenti agli scogli, uno c’è già finito contro. Esercizio di base: stenditi sulla sabbia, dipingi col dito una tavola immaginaria, punta le mani e, d’un colpo, salta in piedi. Rema, rema oltre le prime 3 file di onde e vai al line-up, dove parte l’onda vera. Ma che siete matti? Qua già per superare la prima linea ci vuole il ponte aereo, onde di 8-10 piedi, dice Dani, l’uomo che affitta le tavole. Cominciamo a cercare di salire sulle prime onde, quelle che si rompono appena prima della riva, ma la voglia di andare oltre la barriera a sentire un’onda brucia dentro. Ecco, prono sulla tabla, remata alternata, si va!

Oceano.

Lele è solo, sta arrivando un’onda. Quell’onda che vorresti rimanesse dov’è, anzi facesse una piroetta e tornasse indietro, perché è troppo grande adesso che è sotto di te, ti solleva, ti prende, ti lancia, sei sdraiato su un’ala nella direzione sbagliata del vento, novello naufrago volontario, aggrappato con le mani e con i denti, cresce l’accelerazione, cresce sotto un piano che non tiene, ti impenni e vedi il cielo (ciao, gabbiano!), ricadi e inizi a pensare a un’altra velocità, pensieri come lame tagliano spuma e spruzzi negli occhi. Attimo di lucidità, molli poco la presa, salto e spinta, muscoli e mare, sudore e sale. Per un attimo sopra la tavola, attimo-luce che racchiude il piccolo infinito del sentire il sangue nelle vene, nella testa, nel corpo, corpo ora scagliato lontano dalle altezze, sbattuto e battuto, rotolando sul fondo, mani intorno alla nuca, la mia vita spazzata come un granello di sabbia.

Quello è il momento in cui ti rinchiudi nel cantuccio della tua mente e aspetti. Aspetti che tutto passi, e torni il sole. Chissà se il surf non è qualcosa di più di una tavola e un’onda.

Notte.

Disteso tra le coperte, gli occhi si chiudono e compare l’immagine che il primo giorno di lotta e pianto e riso ha inciso nella pietra del ricordo, quella che nessun brutto momento in forma di vento eroderà mai.

Il lungomare è una striscia dorata, le nuvole raccolte a grappoli esaltano la pioggia di sole, il mare è la mia poesia e la mia penna scrive da sola, danza nell’aria cantando con la mia anima. Oceano che parli la lingua del mondo, accogli le mie braccia nell’abbraccio della mia piccola morte di una notte, cullami e cantami, che io dorma nella grotta della murena giù, sul fondo, o nel nido del gabbiano, sulla coffa dell’albero maestro di quel veliero che ora vedo, sta partendo, veleggiando verso Sud. Voglio dormire, restare su quella spiaggia di Capoverde, tra le stelle marine ricoperte di sabbia, tra i coralli di Trinidad e Tobago, laggiù nei Caraibi, in un gazebo di Byron Bay, a vedere come un’onda può spaccarti la testa. Oceano, mare terribile e tranquillo, riservami un viaggio per ogni volta che, chiudendo gli occhi, io continui a vedere l’onda, quell’onda alta sopra di me. Non uccidermi, onda, portami solo fino a riva, io e te in un gioco vecchio quanto il primo delfino, giullare del mare, bambino del mondo. A cavalcarti imparerò, secondo il tuo codice, la tua allegria, il tuo malumore, se pinne e mani palmate penserò di avere, non come inganno per te, ma per sentire il mio corpo parte del tuo. Se mi dessi ora la morte, morirei di pace e tranquillità, di vento sulle ali di un gabbiano o di acqua su quelle di una manta. Ma devo tornare, per il nostro gioco e per quella stella di mare che m’aspetta, nell’isola all’altro capo del mondo, per un’eterna capriola che mi faccia scappare da ridere in tutte le lingue del mondo. Lasciami adesso, è mattina.

Secondo Giorno.

Colazione sulla terrazza dell’ostello, distesa di terra alle spalle e di acqua davanti, colonne di pan carré con nutellaccia bicolore del discount, a pranzo sarà pan carré col prosciutto cotto, otto panini a testa (sottolineo otto) con banana anticrampo e biscotto energetico al burro!

In spiaggia la confianza aumenta, sia tra compagni sia con la tavola. C’è chi si continua ad ammazzare sugli scogli e chi su 40 centimetri d’acqua, il sole riscalda questa domenica. Ci si butta a cuor contento e la foga è sempre la stessa in tutte le lingue, testa bassa, un pugno di mare nel petto, un colpo alle gambe.

Sera.

Sulla spiaggia, guitarra y cerveza, si chiacchiera, si ride, si beve, fino al momento degli Inni nazionali. Ma il momento della festa deve ancora venire. Al rientro in ostello inizia la caciara, una tonnellata di birra, si scatena la battaglia, volano cuscini, persone, ceci…tutto il resto è leggenda.

Mattino dell’ultimo giorno.

Si torna, sole e sale nella pelle, onde di tre metri negli occhi.



2 Responses to “Per chi si chiede cos’è il surf”

  1. Gian scrive:

    grazie. ma non è un semplice ricordo. è come se tutto il mio corpo, ogni mia fibra, sia in grado di ricordare quelle sensazioni!

  2. sandrino scrive:

    sei il più grande poeta inespresso che abbia mai conosciuto
    pensavo…io ti devo ancora un favore dai tempi di Valverde…estate della maturità ;-)

    un abbraccio.

    sandrino