Caro Tamarindo, patient
abbiamo parlato di teatro, Ramadan, elezioni americane, arte moderna e bon ton parigino ma di una cosa parliamo poco, quasi mai in termini generali, preferiamo affrontarla di lato, da angolazioni specifiche: la riforma della scuola, la questione generazionale, la costituzione… In quasi un anno nessuno ha affrontato di petto la questione. E sì che sono certo che sta a cuore alla maggior parte di noi. Parlo della politica italiana, nel senso che i francesi chiamano “politique politicienne”. Questo pitale di Damocle che pende sulle nostre teste anche se facciamo finta di ignorarne l’esistenza.
Tu forse, dall’alto dei trenta metri di altezza che millanti su Wikipedia, sei superiore alle nostre piccole beghe, ai Villari, ai Pecoraro Scanio, agli Italo Bocchino… Io no. Io ci perdo la testa. Io mi incazzo, mi appassiono, mi entusiasmo o, più spesso, mi dispero. Io amo la politica italiana, il suo vocabolario assurdo, i suoi rituali demenziali, i suoi personaggi patetici. Io ho guardato le foto della piscina a cozza di casa Mastella a Ceppaloni, sono sceso in piazza contro la Moratti (chissà poi perché), ho compreso il significato delle convergenze parallele, ho firmato petizioni in favore dello stato di diritto, ho studiato la storia dei governi balneari, mi sono candidato alle primarie del PD… Io mi ci sono dato con tutto me stesso. Anima, corpo, fegato e cervello.
E allora perché sul Tamarindo ho parlato solo di Obama? Perché mi sono rifugiato in una guida immaginaria di una Milano inesistente? Perché non ho preso di petto le questioni che più mi stanno a cuore? Il futuro della Democrazia Italiana, della Seconda Repubblica, della Sinistra?
E bada che il mio è un atteggiamento diffuso. Tra gli elettori di sinistra e persino tra i loro leader.
Ricordi, mio buon Tamarindo, che entusiasmo tra le file del PD dopo la vittoria di Obama? Sembravano quei tizi che si vedono nei telegiornali. Quelli che stappano lo spumante dopo che è uscito il sei al superenalotto: cantano e ballano, ma non hanno vinto un cazzo. Arturello Parisi l’aveva detto subito, con sarda ironia: “L’Abruzzo è difficile da riconquistare ma l’Ohio è nostro”.
La questione dunque rimane. Perché questo apparente disinteresse?
Io una risposta credo di averla trovata: Rassegnazione. Questa volta sentiamo di non aver perso solo una battaglia, questa volta sappiamo di aver perso la guerra.
Voglio brevemente esporti due tesi che spero faranno discutere la variopinta ma interessante comunità che si riunisce sotto le tue foglie.
La prima è che, come disse il compagno Nenni, se perdiamo è colpa del destino cinico e baro. Più precisamente è colpa degli elettori. In fondo noi abbiamo creato un nuovo partito, abbiamo unito il meglio delle tradizioni riformiste italiane, siamo il partito più democratico e aperto della politica italiana. Abbiamo fatto una seria autocritica della nostra esperienza di governo. Quando è emersa una “questione morale” siamo stati onesti e seri nell’autocritica; non ci siamo nascosti dietro un dito. Abbiamo in mente un’Italia moderna, giusta, responsabile. E invece “nossignori”: in Abruzzo abbiamo toccato il 20%.
Cosa vuoi che ti dica? Che dobbiamo tornare ad allearci con Diliberto e Pecoraro Scanio? O che dobbiamo imparare dall’Italia dei Valori, un partito personalistico che non ha mai fatto un congresso nazionale e dove tutto, dai soldi alle nomine, passa delle mani del leader? Un partito dove demagogia e populismo hanno sostituito democrazia interna ed elaborazione politica?
Eh, caro il mio Tamarindo, come direbbe D’Alema “se il Partito Democratico non rappresenta più gli elettori, beh, allora è ora di cambiarli questi benedetti elettori”. Cosa vuoi che mi incazzi? Cosa vuoi che discuta? Che articoli vuoi che scriva? Mi rassegno a vivere in un paese che ha eletto tre volte Berlusconi, che ha bocciato il referendum sulla fecondazione assistita, dove il Partito d’Azione prendeva l’1.5% dei voti. Parafrasando Nanni Moretti “con questi elettori non vinceremo mai”.
La seconda ipotesi che voglio sottoporre al tuo saggio vaglio è che loro hanno imparato a governare. Loro intendo i berluscones. Non si tratta più della banda di barbari che occupò incredula Palazzo Chigi nel 1994 resistendovi per pochi mesi. E nemmeno della coalizione litigiosa che resistette all’assedio tra mille difficoltà dal 2001 al 2006. Questa volta è una squadra di governo, una classe dirigente, una coalizione solida e coesa. Non commette più i grossolani errori cui eravamo abituati, con cui ci aveva viziato. Noi eravamo gli eredi dell’intera classe dirigente della prima repubblica (non raccontiamoci palle, siamo noi i poteri forti, abbiamo dalla nostra il Corriere, la Fiat, i sindacati, le grandi aziende di stato, il 90% dell’establishment intellettuale). Loro erano i barbari: dei commercialisti di Publitalia, dei tecnici maxillo facciali sposati con rito celtico, gente senza senso dello Stato, senza esperienza di governo. Speravamo di poterli liquidare come l’ennesima invasione degli Hyksos e invece eccoli qui, al loro terzo governo e pronti per la Presidenza della Repubblica. I barbari si sono dimostrati più abili di noi a governare il paese. Non sto dicendo che approvo ciò che hanno fatto, che condivido la loro linea di governo o che vorrei vivere nel paese che hanno in mente. Sto dicendo che uno scienziato politico di Marte non potrebbe che rilevare che la loro policy making capacity è maggiore della nostra, che sono stati in grado di assicurare all’Italia un governo stabile e sicuro di se stesso. E credimi, non è poco.
E allora cerca di capirmi, mio buon Tamarindus Indica, importante ingrediente delle salse Worcester dalle foglie pennato-composte. Come pensi che possa lottare? Dove pensi che possa trovare le speranze e le energie? Come pensi che possa resistere la tentazione di fottermene, di occuparmi d’altro, di dedicare le mie energie di 23enne di belle speranze a qualcosa di meno frustrante?
E invece no. Abbi fede vecchio Tamarindo. Continueremo a lottare. Manderemo a casa questi patetici leader che ci ritroviamo a sinistra. Sconfiggeremo quella banda di nani, razzisti e spogliarelliste che governano temporaneamente la nostra amata Italia. Torneremo al governo del paese. Ce la faremo….. inshallah…..
Qualche tempo fa, diciamo prima delle ultime elezioni, avrei potuto condividere con te molte opinioni e molti stati d’animo. Ora no. Ora leggo dispiaciuto lo sfogo d’una persona che evidentemente ha passione in abbondanza e vede che non bastano le forze delle idee per smuovere le cose.
A differenza tua non ho mai provato particolare simpatia per l’idea stessa del PD; in generale trovo pericoloso il bipartitismo, nel senso che lo associo ad una forma incompiuta di democrazia (a mio avviso è troppo semplificato per riflettere la realtà d’un Paese). Personalmente preferisco una logorroica e lenta democrazia parlamentare multipartitica: meno efficace nel breve periodo, ma auspicabilmente più educativa nel lungo (che dovrebbe essere la vera orsa polare delle democrazie). Anche per questo non ho votato PD.
Il vero motivo, però, è un altro. Sin da prima del tracollo del secondo governo Prodi, il PD (o comunque quelli che ne sarebbero diventati di lì a poco i vertici) s’è dimostrato pavido su tutti i temi che avrebbero potuto invece dargli forza: sono i temi che alcuni considerano etici e che io, invece, annovero tra i diritti d’ultima generazione anche nel tentativo di strappare quell’inopportuna copertina di Linus che sono i valori e la morale applicati alla vita altrui per mezzo delle leggi dello Stato. Diciamocelo francamente: per com’è nato e per com’è attualmente il PD, non sarà mai in grado di portare avanti una riforma della realtà italiana che porti questo Paese all’avanguardia nei temi del sociale: essenzialmente penso all’introduzione del diritto all’eutanasia, al testamento biologico, ai matrimoni anche per i cittadini omosessuali.
Ho il fondato timore che il PD sia nato mettendo tra parentesi il principio dell’uguaglianza dei cittadini pur di non scontentare la sua componente clericale. Quello che succede periodicamente è proprio questo: compromessi su compromessi e tutti al ribasso. Se non si realizza che il PD sta perdendo perché delude sul piano morale, non si arriverà mai a vederlo superare il 30%. Anche per questo, trovo pericoloso rimbrottare gli elettori. Lungi da me dire che i cittadini votanti siano esenti da critiche, anzi: il bello della democrazia è proprio che impone responsabilità a tutti, sia che abbiano votato (ed indipendentemente da come l’hanno fatto), sia che non abbiano espresso parere alcuno. Ma un conto è criticare quella che personalmente si ritiene miopia elettorale da parte dei proprî concittadini, un altro è non vedere i crateri che rischiano di fracassare le fondamenta dell’edificio politico nel quale s’invitano le persone ad entrare.
Ohi giacomo, grazie del commento. Se posso permettermi però temo che tu confonda desideri e realtà.
Anche a me piacerebbe che gli italiani siano un popolo laico e moderno che aspetta solo che il PD faccia dei diritti civili la propria bandiera per votarlo in massa. Ma non è cosi. La Rosa nel pugno arriva al 2.5%, nel referendum sulla fecondazione assisstita siamo stati stracciati, il partito d’azione arriva al 1.5% e poi si scioglie… Alla luce della storia italiana e dei risultati delle ultime elezioni non credo proprio che si possa dire che il PD non supera il 30% perchè non è abbastanza duro sui cosiddetti temi etici.
E’ triste da dire ma anche in questo caso temo che la colpa sia degli elettori. Noi ci compiaciamo di dare la colpa alla nostra classe politica, che in effetti è disperante, ma essa altro non è che il frutto di successive libere elezioni. Elezioni in cui il popolo italiano non fa che confermare la propria totale immaturità politica.
La questione che abbiamo per mano credo sia alla base stessa della democrazia: se davvero si crede che i partiti non siano in grado di guidare le opinioni dei cittadini, oltre che a rappresentarle, allora le accuse fatte a tanti di demagogia cadono d’un botto. Se, al contrario, s’accetta il punto di vista secondo il quale il rapporto cittadini-partiti è d’influenza reciproca, allora la partita è ancora tutta da giocare.
Posto che concordo pienamente col vecchio detto britannico che vuole che ad ogni latitudine, in ogni Paese, un parlamento sia composto al 10% dal peggio del Paese, al 10% dal meglio del Paese e per il restante 80% dal Paese; posto che trovo anch’io sfogo alla mia frustrazione politica dicendo che sono gli Italiani a «non capire»; resto comunque dell’avviso che il grande pregio della democrazia sia proprio la sua funzione educativa. Si può sbagliare finché si vuole, ma alla fine s’impara qualcosa. L’«orda barbarica» che salì al potere nel 94 ora s’è ripulita, ma ha anche imparato a giocare secondo le regole dello Stato repubblicano. Direi che questo è già di per sé un obiettivo raggiunto dalla democrazia italiana: aver incluso nel gioco politico realtà sociali ed economiche che altrimenti avrebbero cercato altre vie per affermarsi.
Da quello che dico credo trapeli la mia attitudine inclusiva, vogliamo pure giolittiana, rispetto alla vita politica. Tornando al punto del mio commento precedente e della tua risposta, ripeto la mia opinione: è politicamente pericolosissimo credere d’essere nel giusto e perciò stesso meritare la vittoria. Se anche posso condividere la tua percezione di giusto e sbagliato in politica, resto dell’avviso che sia impensabile chiedere ai cittadini italiani un atto di fede e di buona volontà. In politica non bastano le buone idee: serve un buon packaging. E questa non è cosa nuova, se si considerano retorica e finezza nel parlare una forma di marketing ante litteram. Ma il solo involucro non basta.
Ora, ad essere sinceri, io non so quale sia il contenuto del PD: per me non è altro che una scatola vuota. Per farlo si son gettate alle ortiche le tradizioni di DS e Margherita, quando, invece, l’obiettivo avrebbe dovuto essere la condivisione di quelle esperienze. Non «aut», ma «-que». Gli Italiani credo se ne siano accorti ed hanno agito di conseguenza: il risultato pietoso raggiunto alle recenti elezioni regionali in Abruzzo è una cartina di tornasole significativa. Ripeto, non si tratta di rincorrere l’elettore come se fosse un bimbo viziato; la questione è convincere persone razionali ad appoggiare progetti razionali.
Per sconfiggere nani, razzisti e spogliarelliste bisogna prima sradicarli dalla cultura nazionale. E come si fa? Ingegneria culturale?
Ma ancora di piú, bisogna scuotere i propri simili dall’assuefazione, dal rintontimento da sovraesposizione. Far bollire l’acqua della nostra cara rana.
Sollecitato dalla proposta di ingegneria culturale di Marco ne approfitto per rispondere anche a Giacomo. In effetti il fatto che l’orda barbarica sia diventata classe di governo, che gli ex fascisti e le pulsioni eversive della Lega abbiamo trovato posto nel gioco democratico, e’ di per se un grande risultato. Testimoniato dal fatto che siamo tutti qui aggrappati alla speranza che Gianfranco Fini sia il prossimo presidente della Repubblica.
Quanto all’argomento generale del mio articolo, che alle ultime elezioni abbiamo perso la guerra e non solo una battaglia credo che il recente congresso fondativo del PDL sia li a dimostrarlo. Il trionfo di Cesare dopo la conquista della Gallia.
Veni Vidi Vici potrebbe dire Silvio B.
Quanto ai nostri dibattiti sconsolati di fronte ad un bicchiere di vino nella lontana California, caro Marco, lascia che ti citi un’altro celebre esule (si parva licet componere magnis), Jacopo Ortis. “Lo confesso; sovente ho guardato con una specie di compiacenza alle miserie d’Italia, poiche’ mi parea che la fortuna e il mio ardire riserbassero forse anche a me il merito di liberarla”. Purtroppo e’ un illusione e qualche mese dopo Jacopo scrive “La volonta forte e la nullita di potere di chi sente una passione politica lo fanno sciaguratissimo dentro di se”.
Ingegneria culturale dici tu? mi sembra un progetto un po di lungo termine. E a lungo termine -come diceva il buon Keynes- siamo tutti morti.
quello che non è chiaro è dove sono quelli che votano pdl? si nascondono come le bisce?
Rocco, credo non sia cosa da poco per un sistema democratico esser riuscito a far dire più e più volte ad un capo di partito che riteneva Mussolini uno statista che in effetti era tutto un errore. Almeno per me questo è un risultato.
Che poi lo scenario sia desolante, è patente. E però è quello che ci meritiamo: non siamo riusciti a fare nulla di meglio, neanche in condizioni disperate come quelle attuali. Il risultato è che ora il «partito fluido» ch’era Forza Italia, realtà che avrebbe potuto scomparire come neve al sole una volta che il suo fondatore non avesse più potuto interessarsene, ha ottenuto la stabilità che la struttura partitica di Alleanza nazionale porta in dote al PdL.
Certo, Giacomo, sono perfettamente d’accordo, non ero affatto ironico quando dicevo che l’incorporazione di Lega e AN nel e’ una grande vittoria della nostra democrazia. E’ paradossale che la stessa persona a cui si deve questa evoluzione sia quella stessa che impedisce il compiersi del processo da lui iniziato. La transizione italiana, iniziata con la discesa in campo di Berlusconi, attende il suo ritiro per potersi finalmente dire conclusa. Per semplificare direi che se il prossimo presidente della Repubblica Gianfranco Fini Gianfranco vorra dire che questa disastrosa Seconda Repubblica a qualcosa e’ servita e possiamo cominciare la terza, se sara’ Berlusconi Silvio siamo nella merda.
quanto al ruolo pedagogico dei partiti (che poi e’ probabilmente parte di quel processo di ingegneria culturale di cui parla Marco) non posso che darti ragione anche li, e’ essenziale. Solo un po troppo di lungo termine. E, ribadisco, a lungo termine siamo tutti morti. Nel frattempo sarebbe il caso di cercare di tornare al governo del paese.
Anche perche’ il PCI ha fatto pedagogia culturale per 50anni, non e’ mai andato al governo e appena e’ apparsa Maria de Filippi la tanto decantata egemonia culturale si e’ sciolta come neve al sole. Accanto all’opera pedagogica, per citare di nuovo il compagno Nenni, compito di un partito e’ anche quello di cercare di entrare nella famosa stanza dei bottoni.
(tra l’altro mi sa che quella del destino cinico e baro citata nell’articolo non era di Nenni bensi di Saragat).