Internazionale@Roma: il cinema racconta i diritti umani
Pubblicato in Primo Piano, Segnalazioni
di Anna Bulzomi
Un viaggio attorno al mondo, healing da compiersi in una settimana, see rigorosamente attaccati alle poltrone della Sala Cinema del Palazzo delle Esposizioni.
Si parte dalla Colombia, per poi ritrovarsi in Austria, e di lì scivolare verso Ghana, Stati Uniti, Nicaragua, Egitto…
E’ la settimana del cinema di Internazionale, inizialmente pensata come corollario al festival di giornalismo di Ferrara e ormai divenuta un piccolo grande evento a sé stante, una rassegna itinerante che parte da Roma (19-23 ottobre) e tocca undici città italiane.
Al centro dell’evento ci sono i grandi temi di attualità internazionale e diritti umani, raccontati attraverso i migliori documentari dell’ultima stagione.
Otto primizie ci mostrano il volto allegro, disperato, triste, furioso e speranzoso delle grandi battaglie del nostro tempo, compiute da uomini e donne come noi, in un costante sovrapporsi di passato, presente e futuro.
L’incontro tra cinema per il grande pubblico e diritti umani è di per sé un fenomeno emozionante, testimonianza del fatto che l’universo human rights non è esclusivo appannaggio di chi parla la lingua del diritto internazionale, ma appassiona tutti indistintamente, in quanto ispira una visione del mondo, avvicina culture lontanissime e diventa terra fertile per crescere insieme e scoprirci, appunto, più ‘umani’.
Davanti agli occhi dello spettatore, sprofondato in poltrona e coccolato dagli insights dei giornalisti di Internazionale, appaiono fantasmi intrappolati nel passato, visionari del futuro e coraggiosi sfidanti del presente.
Il primo incontro è con la società civile colombiana, schiacciata tra le FARC e i paramilitari dell’AUC, lacerata da più di vent’anni di guerra civile eppure non per questo sconfitta o rassegnata a rivivere gli orrori del passato. In Impunity, i registi raccontano la storia di una transizione difficile, attraverso le udienze della “Commissione Giustizia e Pace”, le rotte del narcotraffico e i loschi intrecci tra l’AUC e i potenti impresarios delle multinazionali Dole e Chiquita.
Dal passato emerge anche il giornalista svedese Peter Torbiornsson, miracolosamente scampato ad un attentato avvenuto nel 1984 in Nicaragua, e ora sulle tracce di mandanti ed esecutori di quell’orribile delitto. In Goodbye Nicaragua, la macchina da presa segue Peter fin dentro il dedalo intricato delle vie del potere di Managua, tra i lussi sfrenati degli ex sandinisti che un tempo gridavano alla rivoluzione, e la miseria di quelli che la rivoluzione l’hanno fatta davvero, credendoci, e ritrovandosi più poveri di prima.
Ma anche il presente può essere un’amara trappola, come mostra You don’t like the truth, la storia del venticinquenne Omar Khadr, cittadino canadese detenuto a Guantanamo da quando aveva sedici anni. Prigioniero fino a data da definirsi, Omar esprime tutta la sua disperazione in quattro giorni di interrogatori, filmati dalle telecamere di sicurezza e resi pubblici su ordine della Corte Suprema del Canada.
Sempre nel tempo presente si collocano le vicende di altri giovani, coetanei di Omar eppure distanti anni luce dalla sua esperienza. In The Edukators 2.0, un film collettivo, centinaia di studenti precursori del movimento degli indignados occupano l’aula magna dell’ Università di Vienna. Siamo nell’inverno 2009, e i messaggi #Unibrennet (l’università sta bruciando) e #Unseruni (di chi è l’università) vengono twittati alla velocità della luce, tanto da innescare una spirale di proteste studentesche in tutta Europa.
Dura lotta del presente, infine, è quella combattuta dal New York Times.
La Gray Lady rischia l’assottigliamento della sua edizione cartacea o addirittura il fallimento e la chiusura, come già accaduto a molti quotidiani nel corso del 2010. Stritolato tra social media e WikiLeaks, costretto ad ipotecare la sua storica sede (lo splendido grattacielo progettato da Renzo Piano), il NYT decide di lottare davvero, sfoderando il suo giornalismo migliore, quello dei professionisti sul campo, dell’approfondimento a tutti i costi, della critica al giornalismo “mordi e fuggi” delle tv e di internet. One year inside the NYT è l’appassionante diario di un anno dentro il più prestigioso quotidiano d’America.
Guardano al futuro, invece, gli elettori protagonisti di An African Election, eccezionale cronaca delle elezioni del 2008 in Ghana. In una chiacchierata post-film, il regista Jarreth Merz e la sceneggiatrice Erika Tasini ci raccontano come le centinaia di ore di girato accumulate in un Ghana in ebollizione elettorale siano prima di tutto la testimonianza di un’Africa positiva.
“Il Ghana è una democrazia faticosa e partecipata, è il volto di un’Africa ottimista” ci dicono, e mi viene in mente che quest’ Africa avrebbe molto da insegnare alle vecchie e sfiduciate democrazie occidentali.