Ancora una volta, no rx l’ennesima, sales il freddo gelido e il grigiore del cielo che sovrasta Bologna mi colgono impreparato. Wrapped, generic cammino avvolto dalla sciarpa lunga e pesante, il cappuccio della giacca avvolge la testa, le mani in tasca, fredde, nonostante i guanti. Il peso del corpo in avanti, una postura di un tempo che fu in piste trentine coperte di neve, una postura anomala. Avanzo, controvento. La pelle del viso, le guance, il naso, la fronte manifestano il dissenso per questa stagione, per le condizioni climatiche in essere. Ruvido tutto, ruvido and frosted. Poi la pioggia, qualche goccia di pioggia leggera, finissima che devo rendermi gli occhi orientali per poterla distinguere, confusa con lo sfondo delle cose che mi circondano. Poi, ancora più forte, fortissima, come schegge, come pallottole che mirano a fendere la giacca pesante. Inutilmente corro, i passi veloci, le zampate delle scarpe sulla neve creano un suono sordo, muto, voiceless, le ginocchia bagnate e quel dolore al collo che comincia. La neve, candida poi sporca, rende ancor più difficoltoso il cammino mentre inizio a sentire qualcosa dentro, l’odio. Monta contro il tempo, contro il freddo, contro questo luogo, contro la gente che, lentissimamente, avanza, claudicante, spaventata. Rammento le parole di un libro che lessi, il codice, l’utilità, ma nulla, non muta il mio umore.
In tasca, al riparo, la mia mano avvolge l’oggetto in grado di ridarmi serenità.
Entro nel primo bar di un portico qualunque del centro di Bologna, ordino un tè caldo e chiedo la direzione per la toilette. Mi bastano un paio di minuti, in fondo lo so, in fondo lo spero. Srotolo le cuffie bianche dell’iPod Touch, le collego al dispositivo. Slide, scivola l’indice della mano e accedo al desktop, clicco su Video, entro nel menù e lo faccio scorrere dall’alto verso il basso fino al contenuto che vado cercando. Sono un consumatore e fruisco il prodotto. La concorrenza e il mercato fanno sì che uno spot televisivo di 30 secondi valga quanto la terza parte di un lungometraggio hollywoodiano in termini di costi. Ciò che la comunicazione e il marketing vogliono ottenere è colpire il consumatore, il target specifico, attraverso non la pura e per certi versi onesta stimolazione intellettuale ma secondo una logica causa-effetto. Agire nella sfera emotiva-emozionale. Marketing dell’esperienza, marketing emozionale sono i dogmi correnti. La Coca Cola, la Nike, le case automobilistiche, le assicurazioni e le banche creano mondi, magnifici e favolosi parchi giochi in cui noi siamo i protagonisti, sorridenti e al riparo da tutto, anche da questa pioggia, anche da questa neve, anche da questo freddo. Sebbene alcuni credano di essere in ben altro riparo, “Gimme Shelter” cantava Mick Jegger, ognuno di noi è colpito dai messaggi, dai colori, dai font, dalla musica, dal modo di farci vedere le cose. Torniamo bambini e desideriamo giocare.
Così clicco quel triangolo bianco posto in basso al centro dello schermo e mi appresto al godimento. 1:34 è il tempo per rigenerarmi. La pubblicità del Sony Bravia, la canzone dei Rolling Stones “She’s a rainbow” mi avvolge, surround me. New York dall’alto, una giornata di sole, delle palline colorate sul grigiore dell’asfalto metropolitano si trasformano in piccoli coniglietti rosa, azzurri, verdi, rossi e cominciano a saltellare mentre le note del pianoforte degli Stones delicatamente li accompagna. La velocità della città, i taxi gialli, i marciapiedi overcrowded, e questi jumping bannies che avanzando portano la luce del sole in una piazza. Sono tanti, sempre di più, sempre più colorati. Le persone attorno guardano, giocano, sorridono ma soprattutto non pensano e forse finalmente reagiscono.
“Come in colours everywhere, in the air, like a rainbow”.
Diventano un’onda, un melting pot, e forse non è un caso che si sia scelta New York, un’onda bianca e viola che si rompe nella piazza di Foley Square. Cocci, grandi come blocchi di ghiaccio staccatasi da un iceberg, si sciolgono al sole e sorge un altissimo coniglio rosso. Un bambino nella carrozzina guarda incredulo, siamo noi quel bambino? Di nuovo il coniglio, si decompone creando grandi e gommosi cubi di Rubik. Coloratissimi e magici, accostati vicini formano un fiore dai petali che ruotano in senso orario mentre la musica raggiunge le tonalità più alte e il mio umore cambia, finalmente, sorrido, ci credo, reagisco e riprendo il cammino.
In fondo, certe cose di me sono rimaste le stesse di quando ero piccolo, di quando a bocca aperta, sprofondato nella poltrona di un cinema, guardavo un enorme animale che credevo fosse un cane o un drago bianco volare tra le nuvole e volgendo lo sguardo a mio nonno la sua espressione mi faceva capire che era possibile, che era vero e mi fidavo di lui e volavo anch’io nella mia Storia Infinita.
In inglese si direbbe: to handle.
Consumatori ci chiamano, esistono altre vie dunque per maneggiare l’esperienza?
Eh bravo Vinz! Ti conoscevo come piu’ che discreto giocatore di basket, ma con la scrittura hai raggiunto un livello superiore!
Che dire, ottimo!
grazie caro, V