Nudo è una parola che mette paura ad alcuni, anzi a molti. Nudo è lo stato in cui ci troviamo alla nascita, mettersi a nudo significa aprirsi senza timori, dunque mostrarsi. Nuda è la verità che si guarda a occhio nudo, nuda è la libertà di camminare a piedi nudi. Nudo è stato il corpo in periodi differenti, nelle arti figurative e nella pubblicità, direttamente o indirettamente mostrato. Fotografato, ripreso, forse abusato?
Nudo non è più alla moda. Lo si è capito qualche settimana fa quando un uomo, nudo per l’appunto, brandendo una chitarra seduto su un cassonetto di via del Pratello a Bologna ha cominciato a intonare una canzone: “Jesahel”. Una canzone che parla di vita, di amore, che parla del corpo come di un qualcosa di sacro non soggetto a vergogna, mai.
Attorno a questo corpo, questo corpo che segue una luce, la luce capace di illuminare lo spirito borghese, si avvicina la gente per strada, liberata dalle catene, finalmente nuda, consapevole di esserlo e unita nel canto dalle parole di “Jesahel” fuoriuscenti dalle labbra nere di vino di questo contemporaneo Prometeo.
Ebbene, quest’uomo nudo ha fatto paura. Al richiamo delle forze dell’ordine, ordine questo sì un concetto terribilmente abusato, è stato preso e portato via. Dove?
Era il 1972 quando al Festival della canzone di Sanremo i Delirium cantavano la stessa canzone: “Jesahel”. Questi italiani figli dei fiori, questi ingenui hippie riportati all’ordine dall’industria cinematografica, armati di bonghi e chitarre occupano, come l’uomo sul cassonetto, uno spazio, il salotto buono della musica italiana.
La sera dell’uomo nudo in via del Pratello cantante “Jesahel” con un folto gruppo di seguaci e sovversivi dell’ultima ora reclutati da puro spirito rivoluzionario ha scosso i bigotti, quelli di altri salotti buoni che badano forse più all’estetica che allo spirito. Ecco, l’estetica! Questo va rimproverato all’uomo nudo. Quale mancanza di stile, quanto cattivo gusto, che fastidio per quelle forme antiestetiche per l’appunto. Forme che forse qualche secolo fa, sì, sarebbero state considerate ispiratrici per qualche pittore ma oggi, diciamolo pur chiaramente, rappresentano la minaccia. In questo secolo nuovo in cui la cura del corpo, la bellezza oggettiva, l’estetica di regime, le creme antietà, idratanti, rassodanti per la miseria!, quella pelle molliccia, quella pancia rotonda, quel viso coperto da baffi e da barba sono un vero pericolo. Non possiamo sopportarlo, Bologna non può accettare sì tanta maleducazione.
L’uomo nudo protestava, per la mancanza di libertà, per la libertà negata ai giovani, agli spiriti liberi, quella libertà che fa alzare le braccia al cielo alleggerendoci da tutti i dogmi e le buone maniere e ci fa cantare, e ce la fa celebrare questa vita, questa vita che toglie ogni giorno una pagina dal nostro calendario, una vita che ci obbliga a metterci alla prova ogni sera davanti ai quiz della tv verificando il nostro grado di erudizione e ignoranza, una prova continua che offre risultati opposti nel giro di ben pochi minuti. Cosa stiamo facendo?
Credo si debba cercare di “elevarsi sulle spalle dei giganti” per vedere le cose da altra prospettiva. L’uomo nudo altro non è se non la manifestazione di una malattia sociale, puro riflesso, i cui sintomi sono visibili da tempo ma ai quali nessuno sembra aver prestato la giusta attenzione.
Il Comune di Bologna con un’ordinanza specifica ha scelto una via aggressiva per combattere il degrado che colpisce via del Pratello: cinque osterie chiuse alle 22:00 e continui, pressanti controlli in tutti i locali della zona. Lavoratori che non sono messi in grado di lavorare, dipendenti che verranno licenziati, persone che forse, chiudendo i locali alle 22:00, si riverseranno al di fuori, proprio sulla via del Pratello.
[smooth=id: 24]
Esiste un Comitato Pratello formato da alcuni abitanti della via che rivendicano, giustamente, i propri diritti. Il diritto di dormire sonni tranquilli, di non vedere inflazionato il quartiere in cui possiedono i propri appartamenti, il diritto di rincasare la sera senza dover temere nulla, senza dover scavalcare qualche ubriaco sdraiato sotto al portico o accelerare il passo perché qualcuno si diverte a fare paura. Attraverso i dati si evince però che via del Pratello è abitata per lo più da studenti e da persone di maggiore età che frequentano loro stesse la via sotto casa. In fondo il bello di Bologna, anche di questa parte di Bologna, è il rapporto con la gente, i piccoli bar, le osterie, le chiacchiere del tempo perso, un bicchiere di vino rosso, un commento ad una passante. Si chiama socialità.
La scelta del Comune sembra priva di logica e di rispetto. Potremmo parlare di minoranza governante abile nell’ottenere ciò che desidera, la chiusura dei locali, la scomparsa del convivio. Certo mi chiedo l’effetto che può fare questa lingua lunga, questa via del Pratello nuovamente intonsa.
L’argomento sicurezza sta a cuore a chiunque, certo, ma utilizzando una visione dicotomica formata da vuoto e da pieno mi chiedo come si possa controllare il vuoto. Il pieno può essere controllato, per quanto possa essere caotico, confuso e chiassoso. Possibile è utilizzare una telecamera per monitorare la situazione, un cavallo di Troia può essere inserito nel pieno, poliziotti in borghese possono mischiarsi nel pieno.
Il pieno ha poi una particolare qualità. È capace di rassicurare le persone. La folla, il gruppo sociale meglio, attiva di per sé un processo di controllo e vigilanza, continuamente. Se si crea il vuoto dove finiranno queste persone, questi frequentatori allegri e loquaci? Dove passeranno le serate? Cosa faranno? Come li si potrà allora controllare?
In un momento di ansia, smarrimento e crisi sociale ciò che aiuta ad affrontare la dura realtà sono i contatti, sono le parole buone, gli stimoli, il calore delle persone, il non sentirsi soli. Questa comunità, mondiale, non vive già di per sé una situazione oltremodo atomizzata? Se si comincia a negare l’opportunità di lavorare, di impegnarsi in qualcosa, di stare insieme, di trovare nuovi slanci dove finirà ogni uomo? Via del Pratello respira, chiacchiera, magari beceresca urla ma è viva. Nel vuoto, presto o tardi, non sentiremo nemmeno più l’eco delle belle parole di “Jesahel” cantate in una notte di gomiti alzati, di aliti caldi e voci vibranti. Del vuoto, presto o tardi, si impadronirà il vento gelido di dicembre e forse, sentendosi troppo solo, sceglierà di intonare la “Jesahel” col suo lungo e acuto fischio, chiedendosi come mai non trova più nessuno ai cui levare il cappello e scompigliare i capelli.