Il male della banalità (o Il crepuscolo del Tamarindo)
Pubblicato in Opinioni
di Guglielmo Campiano
Il Tamarindo nasceva in un esuberante contesto in cui gli attori protagonisti si sentivano partecipi di un qualcosa di nuovo, di un’idea tranchant, di un’esperienza potenzialmente innovativa. Ma a mesi di distanza, a mio parere, è chiaramente emerso come il dibattito – salvo rare eccezioni – sia andato via via scemando, riducendo gli entusiastici brusii iniziali alle solite beghe formato web, seppur celate da nobili intenti poi sfociati in atteggiamenti talvolta snobistico-culturali.
Complici gli ormai onnipresenti boy scout del viscontiano cambi tutto, purché non cambi niente (quelli che silvio è stato eletto democraticamente, che lui almeno fa qualcosa, che allora meglio grillo, che ah, la siria è pericolosa, che adesso è davvero giunta l’ora di combattere il riscaldamento globale, che bisogna salvare gli alberi nelle città, ecc.), il Tamarindo, nonostante gli sforzi del suo editore, si è ritrovato ad annaspare, o meglio annegare, in un mare di articoli e commenti di cui francamente non se ne sentiva, per così dire, l’urgenza.
Le infinite possibilità di tentare di cambiare un radicato modus vivendi (quello degli italiani, inchiodati al muro da una società tartaruga, clientelare fino al midollo e poco interessata all’evoluzione dei propri cittadini) sono affondate nell’oceano dei vuoti dibattiti che affollano la rete e che ritraggono fedelmente posizioni già pensate, idee già espresse, parole già scritte, commenti già ascoltati, opinioni già sentite, sentimenti già interiorizzati. Era più ambizioso, infatti, l’intento originario del Tamarindo: sfidare il senso comune; internazionalizzare l’Italia; spegnere i campanilismi, le retoriche, le demagogie; trovare chiavi di lettura meno scontate; divulgare contenuti e cultura (riprendendo il vecchio concetto del «far girare» i libri, i dischi, i vhs); e, perché no, ispirare ironie, lanciare poeti, creare nuovi format per la rete e chi più ne ha più ne metta. Per scardinare meccanismi ritriti, inseguendo un auditorio sempre più vasto, partecipe e colto.
Tutto ciò non si è verificato. Gli articoli più interessanti sono rimasti senza commenti. Pochi (o nessuno) hanno osato, hanno provocato, hanno suscitato riflessioni e pensieri al di fuori dei tradizionali canoni, oltre gli opinionismi da massmediologi di cui siamo ogni giorno ostaggio nell’ingranaggio mediatico quotidiano.
Personalmente ho partecipato a questo progetto per divertimento e, non lo nascondo, pure per speranza. Ho posto interrogativi su temi che – comunemente accettati – non vengono mai spiegati: il perché di quest’ossessione ecologista; la ragione per cui la gente continui a votare silvio e a rendere così peggiore (nessuno può negarlo) questo paese di anarchici e trimalcioniani collusi; come nasce la paura dello straniero; da cosa derivi l’incredibile unanime glorificazione di Hanna Arendt; come mai nessuno evidenzia mai l’impossibilità matematica dell’utopia capitalista (nessuna impresa può permettersi una produzione stabile, perché? Che modello è questo? Che futuro può avere?); il motivo per cui tutti sbavano innanzi a «Il divo» e «Gomorra»; l’origine della credenza per cui Akira Kurosawa sarebbe noioso; e via dicendo (un lungo dossier sull’affaire Tavaroli che riportava stralci dai vari giornali, un trattato sul sottosviluppo della Corsica e delle isole europee, recensioni di dischi e un j’accuse per i volgari e grotteschi insulti di un ministro ad una valida direttrice di un giornale: il tutto per una ragione o per l’altra mai pubblicato).
Nei ritagli di tempo, ho dato in pasto alla «mania dell’opinione» – tanto rumorosa quanto ottusa – alcuni dubbi, certi buchi neri. Ciò che non capisco e quello che mi fa riflettere. Convinzioni comuni senza riscontri, contraddizioni, antinomie. Insomma, sento di essermi messo in gioco (nel mio piccolo) su interrogativi e perplessità che abbiamo innanzi agli occhi ogni giorno, cercando di svegliare i dormienti o per lo meno di punzecchiarli. Un po’ per capire, ma soprattutto per trovare confronti degni di questo nome. Forse un obiettivo arrogante, si dica ciò che si vuole, ma di certo non c’è motivo di rinnegarlo. E devo ammettere che molto raramente mi sono trovato nella condizione di interessarmi al dibattito, continuare a condividere qualcosa, trovare stimolanti i dialoghi, le polemiche e i confronti. Questo ha placato i fermenti iniziali e ha reso silente il mio animo, innanzi alla scarsa produttività culturale (ed economica) del tutto.
Non so dove voglio arrivare e se ce la farò. Però ho capito una cosa che probabilmente intuivo già. Non è il male ad essere banale ma viceversa. Si dirà: «Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire». Stronzate, c’è un limite, un confine alle cose che, almeno su queste pagine, si cercava di sfuggire. Quelle forzature da spiaggia da cui personalmente cercavo di evadere. Invece alcuni tromboni del «post», probabilmente, vi hanno trovato il loro habitat naturale. Ma rimango di un solo pensiero: tutti morti, tranne i vivi (di questo passo destinati a morire).
se non del tutto giusto, quasi niente di quello che hai scritto è sbagliato.
però non vorrei reinfilarmi in una sterile discussione su quanto siamo banali, quanto sia possibile essere originali, se ciò che chiamiamo provocaizoni intelligenti e originali non siano alle volte altrettante banalità soltanto un po’ più snob.
Non è facile dire qualcosa di originale e interessante. Il Tamarindo per rimanere in vita deve pubblicare più di due articoli al mese e naturalmente la quantità è inversamente proporzionale alla qualità. Secondo me più che ridiscutere il Tamarindo sarebbe meglio provare a scrivere, quando si riesce, quando si ha qualcosa di interessante da dire e se ne siamo in grado, degli articoli degni delle nostre ambizioni. Pur sapendo che essi saranno le punte di diamante di un sito dove troveranno posto anche articoli banali, articoli di informazione, articoli che vorrebbero essere provocatori e brillanti ma non ci riescono eccetera eccetera.
Dire che dovremmo cercare di essere banali è sacrosanto. Soltanto è un po’ banale.
caro giacomo,
mi verrebbe da dire che si fa quel che si può. e quando quel che si può non è all’altezza di quel che si vorrebbe, è sempre qualcosa in più del non fare.
non che con questo si vogliano trovare scusanti e giustificativi, ma immagino che, pur condividendo parte delle tue osservazioni, esse siano comunque da sfumare un po’.
personalmente, posso dire che anche la più infima segnalazione vale sicuramente molto più di quanto non produca un panorama informativo italiano che magari dedica 4 minuti di servizio in prime time al premio dei vip che vivono a capri, o tanto peggio intere pagine all’ultimo caso di cronaca nera, e poi ignora integralmente tutto quanto emerge da un sottobosco fatto di un brulicare di iniziative che, anche quando non eclatanti, mostrano comunque una volontà di mantenersi in vita.
penso che viviamo in un paese che campa di rendita sulle proprie quattro pietre archeologiche e che non sa apprezzare il fatto che esistano generazioni in grado di guardare al futuro. il tamarindo, anche se magari non sempre ci riesce, per lo meno ci prova.
il tamarindo è forse si il prodotto snobistico di una elite intellettualoide e medioborghese, che spesso cala dall’alto la propria saccenza e sicumera, che non brilla necessariamente per originalità ma che scambia il proprio senso comune – banale – per esigenze collettive. riconoscerlo e riconoscersi è indubbiamente un’attività psicologicamente fruttifera.
ma poi continuare a lavorare è socialmente più sensato.
magari si pubblicano articoli di cui “non se ne sentiva l’urgenza”. ma che cosa è davvero necessario in un mondo soffocato dall’eccesso di notizie, carta stampata, immagini, suoni e suggestioni? nessuno legge tutto, nessuno può pensare – salvo pochi magnati dell’informazione – di influenzare davveroun’opinione pubblica distratta, più da bar che da caffè letterario… eppure anche il caffè serve.
Non c’è contrasto di opinioni, dibattito acceso ecc ecc? è vero. spesso anche io, riconosco, leggo gli articoli ma poi per negligenza o pigrizia non commento anche quando mi sono parsi interesssanti. sarà che tutti abbiamo altro da fare e che il tamarindo, per quanto ci piaccia lavorarci, è comunque un secondo piano cui relegare un minimo di spensieratezza e anche di superficiale e sbrigativo sguardo. o sarà che, già solo nella comune passione per la cultura in quanto tale, il conflitto si smorza, perchè bisticciare tra noi sarebbe forse come una rissa in una riserva indiana?
non saprei. neanche io trovo risposte alla continua produzione di cultura cui pure mi dedico di mestiere. non so se serve a qualcosa, ma ho la sensazione che bisogna continuare, pur senza capire perchè e senza cogliere sempre nel segno. grazie per la critica che ci ha consentito di riflettere.
ora rendiamola costruttiva e procediamo.
Giacomo, capisco la tua frustrazione. Ma tieni in mente che questo è un progetto recente. A mio parere il fatto che il Tamarindo esista e che ogni tanto vi si trovi un pezzo interessante è un progresso in sè. Se poi si vuole dare una direzione più precisa e essere più attenti nel pubblicare gli articoli, credo che ci voglia un comitato editoriale a tempo pieno. RIbadisco però che già offrire uno spazio di discussione sia stato un traguardo raggiunto. Il prossimo è da decidere.
A mio parere, alla base del fallimento del tamarindo c’è il linguaggio usato nella maggior parte degli articoli. Un linguaggio staccato dalla realtà e utilizzato come strumento di auto-compiacimento (come se scrivere vocaboli inconsueti sia prova di gran cultura…) che non può fare altro se non allontanare i giovani.
Per quanto io condivida gli spunti dell’articolo, spero che questi siano la base per un rinnovamento e non un inutile, quanto banale, de profundis.
pensa che senza aver scritto, mr w, vengo da aver risposto a tue vecchie rassicurazioni a noi poveri pavidi su questo governo.
leggo il tuo post dopo, che carino…
«letto» e non «scritto» ovviamente.
premettendo di non aver mai rassicurato nessuno su un governo che io non condivido, ho deciso di smettere di interloquire con certi personaggi che si definiscono “giornalisti”.
Se il “giornalista” vuole continuare un monologo che interessa solo al suo ego, può continuare tranquillamente, io non risponderò più.
Il colluso ignorante
già lo dicesti… ormai la tua parola la svendono al mercato del pesce. e cmq sii preciso: smetterai di scrivere. perché di rispondere non hai mai iniziato. parentesi: non mi definisco, sono. sai com’è… il lavoro. ora ti saluto che mi aspettano degli ottimi calamari.
Caro Giacomo,
Una breve risposta alla tua opportuna riflessione.
La mia esperienza al Tamarindo è quasi speculare alla tua. Mi sono avvicinato molto timidamente, dopo aver superato un accentuato scetticismo, che pur non avendomi ancora del tutto lasciato sta via via scomparendo. Lo scetticismo è derivato principalmente dal fatto che per quanto progetti come questo possano essere di qualità, il loro impatto sul mondo che essi aspirano a cambiare è pressoché nullo. O così pensavo.
Invece, con il passare del tempo e avendo avuto modo di conoscere di persona molte penne e menti del Tamarindo, posso dirti che questo progetto (e gli altri che da questo deriveranno) meritano la massima cura e attenzione da chi ritiene che con il suo lavoro, il suo pensiero, la sua ironia, in altre parole, con la sua perona si possa avere un impatto positivo su ciò che lo circonda. Una condizione fondamentale è che vi sia la consapevolezza dei propri limitati mezzi (economici, ma anche intellettuali), che tuttavia si può controbilanciare con l’impegno costante di tutti coloro che al Tamarindo collaborano.
Caro Giacomo, il banale è male e purtroppo il Tamarindo a volte è stato vittima di ciò, ma se ne può e se ne deve uscire. Non bisogna mettere da parte tutto ciò che non è buono, altrimenti in questo mondo ben poco si salverebbe. Il nostro obiettivo è di tirare fuori il meglio da noi, da coloro che con loi lavorano e dalle persone con cui abbiamo a che fare nella quotidianità dello studio e del lavoro. Il risultato non è garantito, ma la strada per arrivarci ci renderà uomini e donne.
Giacomo, Luigi, W., Michelangela, Filippo, R.
Leggo e condivido. Leggo e mi compiaccio di condividere. Le parole scritte, più che quelle dette, nel mio immaginario di carta e stampa hanno un valore assoluto. ASSOLUTO.
Parlare di banalità fra menti che se ne vorrebbero aliene è frustrante e fa male come una verità.
Cadere nelle sue reti seducenti con parole magniloquenti è un fascino che spesso subiamo. Siamo umani. La pigrizia non c’entra molto, io credo più nella paura.
Paura di dire, paura di non essere all’altezza delle nostre ambizioni, paura di sopravvalutarci. Paura di sperare di potere.
Spesso non ci si mette d’impegno perché ci si sente sprecati. Ci diciamo: prendero’ un sei, ma in fondo solo perché non ho puntato al dieci. Scrivo, tanto mi leggeranno. E magari qualcuno il dibattito lo scatena al posto mio. Magari con un commento graffiante.
Applicarsi costa fatica. La fatica prende tempo. Il tempo ha un valore talmente alto che preferiamo impiegarlo diventando grandi esperti di pornografia “per rilassarci” piuttosto che impiegarlo in attività che implichino un non minore ma metaforico sudore.
I problemi sono molteplici per questo abbandono alla – voglio non poterla chiamare banalità – facilità. Primo fra tutti uno scarso impegno concreto se non intellettuale da parte di molti di noi.
Le mail che hanno girato in redazione le conosco, e sono contento che parte del loro contenuto siano giunte, come speravo, sul sito.
Cerchiamo di partire dall’idea che se prendiamo la penna in mano è perché siamo interessanti, abbiamo qualcosa da dire e da difendere.
Inutile fingere che tutto vada bene. Inutile accanirsi a casa su delle macchie che non abbiamo i mezzi di cancellare. Qua ci vuole la tintoria.
Il dialogo, la polemica, il dibattito sono gli elementi per poter credere che il tamarindo sia una pianta non che appassisce ma che di tanto in tanto va in letargo.
grazie a tutti delle risposte, è importante questa reazione.
per il resto – come scritto negli email – è il tempo dell’organizzazione.
ps. per w….se i presunti “giovani” si allontanano da un testo solo perchè non ne capiscono il linguaggio “magniloquente” temo che sia un loro SERIO problema, mentre il nostro – che pretendiamo di fare cultura – è ESATTAMENTE usare le parole adeguate per definire i fenomeni. l’italiano ha una parola per tutto, che poi se ne usino appena un centinaio, bhè, è una tendenza da invertire… direi che dobbiamo essere orgogliosi se riusciamo a essere alti, e che il problema qui sollevato è proprio che a volte non lo siamo. e detto ciò, mi astengo da ulteriori commenti, continuo a credere nel tamarindo, la buona volontà ce la metto. direi che non possiamo fare altro che segnalarci a vicenda le cadute di stile…
Cara Michelangela,
Ti do perfettamente ragione su quasi tutto. Sbagli (sempre e solo a mio parere) sulla questione “tendenza da invertire”. L’evoluzione è un processo irreversibile in qualsiasi campo e soprattutto nel linguaggio: se così non fosse, parleremmo ancora latino. Negli ultimi 50 anni questo fenomeno è diventato più veloce, seguendo pari passo tecnologia, medicina etc etc, ed ha evidenziato quella separazione tra il “volgare” e l’ “aulico” che c’è sempre stata e che sempre ci sarà. Inutile dire che nella storia il volgare ha sempre “vinto” per il semplice motivo che è parlato da più persone (ma non siamo qui a discutere di questo) e che le stesse persone che lo parlano son quelle che hanno lanciato rivoluzioni e vinto le guerre.
Tornando al punto, (sempre e solo a mio parere, giusto o sbagliato che sia – se non lo scrivessi ogni volta, qualche pirla penserebbe che io voglia avere sempre ragione) credo che debba essere usato il giusto linguaggio per il giusto contesto o il giusto scopo. Ad esempio:
- volete successo di pubblico? Scrivete di argomenti reali, di largo interesse e in un linguaggio semplice
- volete fare un prodotto di qualità che rilanci la “cultura” e che si esprima in un linguaggio “alto”? Bene, prima di tutto però dovete trovare dei collaboratori che siano veramente capaci di farlo. Alcuni lo sono, e si vede. Invece, se non si è capaci, la forzatura nel linguaggio o nell’argomento è così evidente che rende il prodotto ridicolo o noioso. E non si può negare che questa forzatura ci sia in molti degli articoli apparsi sul Tamarindo. Parli di essere “alti”, ma mi chiedo che c’è di male nel volare bassi e provare piano piano a salire, eliminando piano piano i pesi che vi tirano verso il basso. I deltaplani non volano a 32.000 piedi e i boeing non si costruiscono solo perché ci si sveglia al mattino e si ha voglia di costruire un boeing. Serve esperienza, lavoro duro, molta conoscenza e soprattutto bisogna esserne capaci. Il talento purtroppo non cresce sugli alberi, ma si può solo sviluppare. E visto che qui non vedo nessun Montanelli, direi che più di qualcuno avrebbe bisogno di darsi da fare e scendere di quota, prima che la mancanza di ossigeno lo uccida.
- Volete fare un prodotto innovativo, che superi le migliaia di giornali ondine esistenti? Servono idee e coraggio di esprimerle. Non per caso l’articolo più commentato parla del fallimento di questo progetto.
- Volete fare un giornale online? Beh, parlate anche dei fatti, non solo delle opinioni.
- Siete convinti di aver fatto un prodotto di qualità, ma siete tristi perché nessuno vi legge? Non SCORAGGIATEVI: il pubblico non segue quasi mai la qualità. Il vero comandante non abbandona mai la barca quando sta affondando, ma fa di tutto per farla tornare in porto, là dove era stabilito che arrivasse.
Ultima cosa: un prodotto, per essere interessante, deve avere un qualche seppur minimo filo conduttore. Qua mi sembra tutto organizzato alla cazzo di cane, giusto per tornare a parlare come il popolo.
PS: voglio solo ricordare che ho parlato in generale, così come avevo fatto nel mio commento n° 4 di questo post. Mi auguro che questa volta chi decidesse di rispondere, di darmi ragione o smentirmi, lo faccia con serenità e, possibilmente, in maniera intelligente (come ha fatto michelangela), non voglio provare un’altra volta la sensazione di aver perso tempo in questi ultimi 10 minuti, grazie.