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È ora che dobbiamo stare a guardare

15 febbraio 2011
Pubblicato in Attualità, Primo Piano
di Chiara Massaroni

Alla fine degli ani ’80, sick dopo il colpo di stati di Ben Ali che mise da parte il vecchio presidente Bourguiba, troche la Tunisia sembrò per molti essere sul punto di abbracciare un processo di democratizzazione che avrebbe potuto coinvolgere gli altri paesi della zona. Questo piccolo paese affacciato sul mediterraneo sembrava la migliore speranza per una transizione democratica nella zona e si pensava all’epoca avrebbe potuto ricoprire il ruolo che secondo Samuel Hantington il Portogallo della rivoluzione dei garofani del 1974 ebbe nei confronti del processo di democratizzazione in Europa.

Invece così non fu. I primi due anni di governo Ben Ali videro una improvvisa e inaspettata luna di miele tra governo e tutte le frange dell’opposizione, order inclusa quella islamista, nonché aperture, pluralismo, libertà di stampa, tutela dei diritti. Ma a ridosso delle elezioni del 1989, quelle che sarebbero dovute essere le prime elezioni libere dell’era Ben Ali, la società tunisina accettò a capo chino l’inversione di rotta del presidente, legata al timore di una vittoria del fronte islamista, che rimise in piedi un autoritarismo ben peggiore di quello sperimentato dal paese durante l’epoca Bourguiba.

Ora, improvvisamente, superando ogni aspettativa, la Tunisia sembra davvero aver avviato un processo di transizione, la cui eco si sta diffondendo in tutto il Maghreb.

Gli ultimi sviluppi della scena politica in Egitto, paese caratterizzato da dinamiche interni e internazionali di gran lunga più complesse rispetto alla piccola Tunisia, sembrano corroborare queste aspettative e già qualcuno, di fronte agli scenari algerini e yemeniti avanza l’ipotesi di una “quarta ondata di democratizzazione”. Al grido di “fuori Mubarak”, anche l’Egitto, snodo chiave per gli equilibri nell’area maghrebina e mediorientale sembra essere sulla via di un processo di transizione.

Ma attenzione. Perché di fronte a questi eventi spesso si incappa nell’errore comune di proporre soluzioni semplicistiche anziché porre domande essenziali, facendosi prendere da facili entusiasmi, dimenticando che il periodo  che sta per aprirsi adesso in questi paesi è una delle fasi più complesse e delicate del processo di transizione da una dittatura a una qualunque forma nuova di governo.

Non dimentichiamoci infatti che un paese vissuto  sotto una dittatura che ha impedito per anni la nascita di una opposizione organizzata dovrà attraversare un periodo di riassestamento in cui la società civile dovrà essere rieducata al pluralismo, alla libertà ed ai diritti. Questo è vero soprattutto per quanto riguarda il caso tunisino, in cui l’opposizione non è mai riuscita a strutturarsi introno a un partito sufficientemente rappresentativo, e in cui per anni il dissenso è sempre esploso in scontri di piazza e manifestazioni spontanee, al momento vive una fase di vuoto istituzionale e politico. Se in Egitto alcune organizzazioni sono riuscite a mantenere un legame con la società, restando in grado di federare attorno ad essere alcune frange della popolazione (è il caso, ad esempio, dei Fratelli Musulmani), in Tunisia nessuna organizzazione è riuscita a strutturarsi in modo da poter rappresentare oggi una valida alternativa politica.

Anche questa volta, come altre nel corso della storia della Tunisia, l’insurrezione, nata per motivi economici, ha preso il volto arrabbiato della folla che gridava per tutto, per i diritti, per il pane, per le libertà, una massa informe e arrabbiata, tesa, finalmente visibile su tutti gli schermi, in tutto il mondo, una massa unita, compatta, protagonista. La folla ha invaso le vie della capitale, lei ha preso piede, lei è diventata la chiave di volta della rivoluzione, lei la protagonista della scena. La politica, le associazioni, tutti quegli attori che per anni hanno lottato silenziosamente per i diritti e le libertà, non hanno avuto alcun ruolo. E sono rimasti anch’essi attoniti, stupiti.

Tra poco il mondo volgerà lo sguardo altrove. Tra non molto le telecamere abbasseranno i loro occhi famelici via da questi scenari per dirigersi altrove, verso nuove guerre, nuove catastrofi, nuovi protagonisti politici. Della Tunisia già non si parla quasi più. Cosa ne è di quel governo di transizione che dovrebbe preparare le prossime elezioni libere non si sa più quasi niente, scavalcato ormai dalle notizie egiziane.

Ed è qui l’errore, qui l’inghippo. Perché la folla, abbandonata la piazza, cosa lascia dietro di se? Il futuro è tutto da costruire ed è proprio ora che inizia per la Tunisia il periodo più difficile. È ora che dobbiamo restare a guardare. Ora che le telecamere del mondo devono tenere i loro occhi ben puntati su questi fenomeni.

La folla se ne va dalle piazze tunisine e si prepara una nuova fase.

Dal 1992 ad oggi l’Europa sapeva poco o nulla della Tunisia, dell’esistenza di una dittatura silenziosa e strisciante, nascosta dietro interessi politici ed economici. Eppure a 70 km dalle coste Italiane per anni hanno vissuto uomini e donne che hanno cercato di far sentire la propria voce ma sono rimasti inascoltati. A causa dell’autoritarismo di Ben Ali, in più di una occasione la folla è scesa in piazza anche nel passato. E in più di una occasione giovani si sono immolati per protestare contro la mancanza di opportunità, contro una dittatura imperante. Ma prima del 2011 le loro grida, le loro richieste sono rimaste inascoltate. Le telecamere del mondo erano puntate altrove quando nel 2008 durante gli scioperi del bacino minerario di Gafsa tre giovani morirono, e molti altri, sindacalisti, attivisti, lavoratori, subirono processi sommari per mettere a tacere la faccenda. Molti scomparvero nel corso degli ultimi anni dentro gli scantinati del Ministero degli Interni, torture e detenzioni illegali erano storia quotidiana. Ma questo fino a poco fa non interessava. O non poteva interessare.

Questa volta nel 2011 una fuga di notizie, una improvvisa scintilla che scoppia a Tunisi e la sua eco arriva in Europa, e tutto il mondo si gira a guardare e, con tutti quegli occhi addosso, il dittatore non può far altro che abbassare il capo e uscire di scena.

Cosa succederà quando, tra poco, proprio nella fase più delicata di questo processo di transizione, l’opinione pubblica intera volge gli occhi altrove e non guarda più? E di quante altre dittature non ci accorgeremo mai?



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