La fine del mondo e il Paese delle squadriglie
Pubblicato in Attualità
di Stefania Coco Scalisi
Secondo una minacciosa profezia maya, see la fine del mondo capiterebbe malauguratamente proprio il 21 dicembre del 2012.
A prescindere dalla veridicità o meno di tale teoria, see è certo che se da un po’ di tempo a questa parte si dà una rapida occhiata ai titoli dei quotidiani, forse i sostenitori dell’occulto e del mistero potrebbero esultare, affermando con voce sempre più decisa: “Avevamo ragione noi!”
Hanno ragione? Da convinta volteriana quale sono non posso darla vinta a queste credenze pagane/popolari che ricordano tanto il furore dei millenaristi del Medioevo. Eppure, mio malgrado, inizio ad avere un po’ di paura anche io.
Senza bisogno di ricordare la gravità di quanto successo in Giappone, trovo ancora più inquietante quanto sta avvenendo in Medio Oriente. Un Medio Oriente molto più vicino di quanto percepiamo dato che, di solito, quando si pensa a Paesi come la Libia, ed adesso anche la Siria e lo Yemen, li si colloca automaticamente in una non meglio definita zona del mappamondo di cui sappiamo solo che è distante da noi.
Purtroppo non è così. Non è necessario essere fini geografi per capirlo. Dai porti della Sicilia, in una giornata serena, si possono notare i contorni delle coste africane. Inoltre, poiché oggi la geopolitica del pianeta è molto cambiata, bisogna cambiare pure la prospettiva con cui si guarda a una carta geografica per rendersi conto che quella che fino a poco tempo fa chiamavamo periferia è adesso il centro del mondo. La globalizzazione ha dilatato i confini al punto tale che oggi hanno un ruolo da protagonista dell’arena internazionale, Paesi che prima ne erano assolutamente esclusi.
Il caso della Libia è sicuramente il più complesso. Siamo in guerra, non è sbagliato definire in questo modo l’operazione, sulla carta umanitaria, “Odissea all’Alba” (ma chi è poi a scegliere questi nomi?!?). Le voci critiche sono ovviamente tante, e quasi tutte puntano alla delegittimazione della guerra come strumento di pace. Per quanto sembrerebbe esserci un conflitto in nuce in questa definizione, in realtà è proprio la risoluzione 1973 dell’Onu, adottata dopo una strenua battaglia in Consiglio di Sicurezza tra i Paesi favorevoli, con capofila una Francia ostinatamente revanscista nei confronti del nemico libico, e i contrari, tra cui la Cina e la Russia che in Libia hanno investito davvero tanti soldi, a permettere l’intervento. Nel momento in cui la risoluzione invita ad adottare “tutte le misure necessarie per proteggere i civili[1]” dà di fatto mano libera ai Paesi della coalizione anti Libia. Che ciò sia corretto o meno, è difficile da dire. Certo appare alquanto irritante che si scopra solo oggi che Gheddafi è un dittatore della peggiore specie, quelli folli e paranoici, mentre prima gli si baciavano le mani (noi!), o lo si lasciava libero di sparare boutade (gli altri) perfino in seno alle Nazioni Unite solo per il suo petrolio e il suo gas di cui tutti sembrano avere un disperato bisogno. Detto ciò, la guerra è giusta? Non lo so. Certo non credo che semplici sanzioni possano fermare un uomo che bombarda il suo stesso popolo e che si è servito e si serve ancora di scudi umani per scampare alla morte.
Quello che mi lascia interdetta è però questa politica dei due pesi e due misure: quello che in Tunisia non si riteneva necessario fare lo si fa per la Libia e forse lo si farà per la Siria, così importante per gli equilibri dell’area, e non per lo Yemen. C’è insomma da sperare, se si è cittadini di Paesi stravolti dalla crisi e dalle rivolte, di possedere qualcosa di tanto attraente da spingere le potenze straniere a fare qualcosa.
Eppure c’è poco da meravigliarsi: la guerra è il più antico e immediato strumento di soluzione delle controversie e l’Onu, in sostanza, ne disciplina l’uso ma non lo vieta in modo assoluto. Se c’è qualcosa di cui stupirsi è semmai la totale ed eterna incapacità dei Paesi prima Nato e poi UE, di coordinarsi per una qualsiasi azione che non sia scegliere il ristorante dopo gli incontri al vertice. Che la Germania, Paese che l’Unione Europea ha praticamente messo alla guida della macchina comunitaria, si tiri fuori dal conflitto è alquanto serio. È l’ennesima testimonianza che di fronte ai veri problemi ognuno pensa per sé prima che come squadra.
Il proprio interesse prima di tutto, insomma, sempre e comunque. Forse è triste, sì, ma d’altronde si sa che questa è la politica, baby!
[1] http://www.un.org/News/Press/docs/2011/sc10200.doc.htm#Resolution