Stupore. Incredulità. Imbarazzo. Queste le sensazioni predominanti, diagnosis a qualche giorno dal mio arrivo in Eritrea.
Stupore nel trovarmi circondata da edifici, parole, abitudini tipici del nostro Belpaese. Quasi tutto, infatti, in questo piccolo angolo d’Africa, riporta all’Italia.
Incredulità nel realizzare di aver percorso migliaia di chilometri e ritrovarmi in un luogo, per molti aspetti, così familiare. “Che sia capitata sul set cinematografico di un film sull’ Italia del dopoguerra?” il mio primo pensiero. No no, sembra impossibile, ma qui è tutto reale.
L’imbarazzo è la naturale conseguenza di quanto descritto finora. Quel piccolo Paese faceva parte della nostra “grande” Nazione. E’ storia d’Italia, e dovremmo conoscerla.
Asmara è la capitale di uno Stato africano. Eppure, con i suoi viali alberati, il quartiere dei villini, i tavolini all’aperto dei suoi mille caffè, ricorda tanto la città eterna. Non a caso è stata soprannominata “la Roma d’Africa”.
Qui la cultura italiana è viva e vegeta, avendo resistito alla breve parentesi britannica. Gli Italiani andarono in Eritrea spinti dalla fame e dal desiderio di gloria. Là costruirono le proprie case, le chiese, le strade, con la cura e l’attitudine di chi ha l’intenzione di restare. Gli inglesi, viceversa, non nutrivano interesse per quell’arido pezzo di terra, presero ciò che c’era da prendere e salutarono.
Passeggio nel cimitero degli italiani, e mi scopro a provare nostalgia per un’epoca che non ho mai vissuto.
Gli asmarini amano stare fuori e al mattino si incontrano ai tavolini all’aperto di uno dei tanti caffè per fare colazione con cappuccino e brioche. Per svagarsi vanno al cinema Roma o al cinema Dante. Per tagliarsi i capelli vanno da Gina, per ripararsi gli occhiali all’ottica Bini. Andando al lavoro passano di fronte all’ex stabilimento Alfa Romeo o al palazzo della Fiat Tagliero. Si fermano a mangiare al ristorante Milano, o al bar L’Aquila.
Poco prima del tramonto, giovani e meno giovani si incontrano ai tavolini del cinema Impero o sui gradini della chiesa francescana di Nostra Signora del Rosario per guardare “lo struscio”, la passeggiata, lungo la Harnet Road, già Corso Italia. All’interno della cattedrale cattolica, una lapide rende omaggio ai suoi benefattori (Mussolini in primis).
Ormai la lingua italiana è parlata -e con gran diletto – solo dai signori più anziani, che mi raccontano quella storia di cui sono ignara. I ragazzi economicamente più fortunati (cioè coloro che hanno un parente in Italia che li mantiene) vanno alla scuola italiana, portata avanti da una manciata di insegnanti pagati profumatamente dal ministero degli Esteri. Ma di fatto l’italiano lo parlano, inconsapevolmente, tutti, quando pronunciano le parole entrate nel vocabolario tigrino: sacchetto, macchina, ferramenta, arrotino,…
Le poche auto in circolazione sono tutte della Fiat, gli scooter della Piaggio. Fiat sono anche gli enormi camion che si incontrano sulla strada per Massawa, così come la Littorina. L’eredità architettonica più grande è forse proprio la strada ferrata che attraverso 20 gallerie (la più lunga di 372 metri) collega Asmara (2412 metri slm) a Massawa (sul Mar Rosso). Costruita a fasi alterne fra il 1885 e il 1911, costò la vita a migliaia di uomini, italiani ed eritrei. L’antica littorina Ansaldo trainata dalla locomotiva a carbone, su cui un giorno viaggiò Vittorio Emanuele in persona, è stata rimessa in funzione per i turisti. Utilizzarla per scendere al mare nel fine settimana, come si faceva allora, significa fare un vero viaggio nel tempo.
A Dogali, un piccolo cimitero, custodito da un fiero eritreo, ricorda gli italiani caduti in battaglia. Uno più grande, presso Keren, conserva le spoglie di centinaia di ascari, gli eritrei fedeli ai generali italiani.
E poi ci sono la Banca d’Italia, la birra Melotti, lo stabilimento delle Saline…l’elenco è pressoché infinito. Potrei andare avanti, ma forse è inutile, perché l’interrogativo più grande rimane: come è possibile che non ne sapessi nulla?
Gli anziani conservano una memoria positiva dell’epoca in cui gli italiani governavano l’Eritrea; i giovani dimostrano interesse ed entusiasmo per tutto ciò che succede in Italia.
Più volte, durante il mio soggiorno, ho cercato di eludere una domanda, la domanda che sempre mi veniva posta quando si parlava di storia comune: “Che cosa dicono di noi i fratelli italiani?”
Che cosa potevo rispondere? Che la maggior parte degli italiani non sa neanche dov’è, l’Eritrea? Che la mia generazione è totalmente all’oscuro del fatto che in Africa esiste una piccola Italia? Che sentiamo nominare gli eritrei solo in questura e al telegiornale, quando si parla di rifugiati?
Un enorme imbarazzo mi invade. Sorrido, cercando di eludere la domanda.
E mi vergogno a nome di tutti gli Italiani.
E’ fantastico riscoprire la memoria italiana!
io mi sono laureato discutendo proprio una tesi sullo sviluppo storico, architettonico ed urbanistico di Asmara fra il 1889 e il 1941!
Bellissimo articolo, ancora complimenti!!
gio