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I media e la guerra: la sfida delle narrative 2.0

24 marzo 2013
Pubblicato in Primo Piano, Segnalazioni
di Lorenzo Kihlgren Grandi

Dalla guerra di Crimea raccontate sulle pagine del Times da William Howard Russell al volto di Peter Arnett in diretta dalla terrazza del suo albergo a Baghdad durante la prima guerra del Golfo: i conflitti armati hanno sempre fatto notizia, case e il modo di raccontarli, fatto salvo lo sviluppo della tecnologia impiegata, non ha subito grandi evoluzioni fino a poco tempo fa.

A fianco delle cronache e dei reportage si è sviluppata col tempo una vasta pubblicistica dedicata all’analisi geopolitica della situazione, in grado di fornire utili strumenti per la comprensione delle ragioni del conflitto, la portata dello stesso, il ruolo degli attori in campo e i possibili sviluppi. Al contempo questi contributi non rappresentano che una lettura parziale della realtà, non potendo né volendo fornire una percezione profonda del fattore umano dietro all’evento bellico. Guardare ad un conflitto attraverso l’ausilio di cronache, analisi geopolitiche, mappe e tabelle, significa porsi al riparo di un velo di Maya ben intessuto ma assai limitante.

Chi volesse andare oltre e confrontarsi con ciò che che della guerra solitamente non viene raccontato, ha da qualche tempo a questa parte degli ottimi strumenti per farlo. La sfida di fornire narrative capaci di donare uno sguardo al tempo stesso diretto, autentico e vicino alla realtà umana degli avvenimenti, è stata colta da una serie di professionisti dell’informazione, principalmente giornalisti e blogger, armati degli strumenti del web 2.0.

Due tra gli esempi più interessanti di questa sensibilità narrativa sono stati presentati lo scorso 21 marzo al convegno “Digital media in zone di guerra“, tenutosi presso il Ministero degli Affari Esteri. Due approcci diversi per storie e professionalità alle loro spalle, ma che sono uniti dal focus sull’elemento umano, presentato con l’immediatezza e la partecipazione generata dall’utilizzo dei nuovi media.

Amedeo Ricucci, giornalista Rai, volto noto delle cronache di tanti conflitti armati, racconta con entusiasmo il progetto nel quale si è imbarcato un anno fa assieme alla redazione di La Storia Siamo Noi: documentare la quotidianità del conflitto civile siriano, calandosi nel suo interno con il proprio smartphone. Il video-diario che ne deriva è disponibile a questo indirizzo e ritrae un conflitto inaspettatamente crudele e generalizzato. Senza pietismo e con minuzia di particolari, Ricucci racconta una quotidianità simile a quella che si visse a Sarajevo, ma incapace di destare la stessa empatia nel grande pubblico. In Siria ad esempio si fa sentire la mancanza delle grandi ONG umanitarie presenti in tanti altri conflitti e impegnate ad alleviare il peso degli eventi sulla popolazione.

Ricucci, conquistato da questo nuovo approccio, tornerà settimana prossima in Siria, e a guidare il suo percorso (nei limiti del possibile, vista la drammaticità della situazione) sarà questa volta un gruppo di liceali di San Lazzaro di Savena, che dialogherà quotidianamente con il giornalista via Skype.

Il secondo approccio presentato è quello di Antonio Amendola, ex docente di Diritto della Comunicazione alla Sapienza, ora blogger affermato e capo del progetto Shoot4Change – www.shoot4change.net. Lo strumento di Amendola è quello dello storytelling, alimentato dai contributi di fotografi volontari, professionisti e no, richiamati dalla commistione di arte e impegno civico: “shoot local, think global”, per usare il motto dell’iniziativa.

Le storie raccontate dai tanti collaboratori, sottoposte ad un controllo editoriale, sono varie e permettono di cogliere con immediatezza la portata di eventi vicini e lontani: reportage sulle “dimore invisibili“, ovvero le soluzioni abitative più estreme; storie di immigrazione e integrazione africana in Svizzera; una scuola di circo creata all’interno di un campo profughi in Thailandia. Un linguaggio che ha voluto confrontarsi, per mano dello stesso Amendola, con un “Afghanistan sul percorso della normalità, zona di rottura umana, sociale, economica”. Fotografie e testi proiettano i visitatori del sito di Shoot4Change in un mondo di quotidianità inaspettata e di speranze coraggiose. L’obiettivo e le parole di Amendola raccontano storie dei militari afghani che stanno pian piano sostituendo le forze armate straniere, quelle dei talebani che hanno deposto le armi e beneficiano dei programmi di reinserimento del governo nazionale, le vicende delle ragazze vittime di abusi coniugali che hanno trovato riparo presso centri di accoglienza gestiti da coraggiose attiviste.

Le iniziative di Ricucci e Amendola hanno il pregio di fornire percorsi narrativi alternativi e reali, coi quali l’incontro avviene in modo semplice, diretto e duraturo. Un linguaggio che colpisce il pubblico in profondità, regalando attimi della quotidianità poetica e brutale di chi vive a contatto con la guerra.



One Response to “I media e la guerra: la sfida delle narrative 2.0”

  1. Giuseppina Zerbi scrive:

    sapere che la guerra venga raccontata
    mettendo al centro l’uomo e non solo tramite cifre e grafici,rende onore a questi bravi e coraggiosi giornalisti.