Ahi serva Italia, di dolore ostello!

Di Marie-Isabelle Corradi • 19 mar 2008 • Categoria:Società • Un commento

“Buongiorno Italia, buongiorno Maria, con gli occhi pieni di malinconia…”

È ormai un dato di fatto, malgrado il cliché della pizza, pasta e mandolino e del sole mio: noi Italiani contemporanei siamo malinconici. La bile nera ci viene quando pensiamo ai rifiuti di Napoli, alla burocrazia kafkiana delle nostre istituzioni, all’evasione fiscale, al governo Prodi e al governo Berlusconi a pari modo, alle veline raccomandate in cambio di favori in natura e via di seguito. Malinconici sì, per una lista di fatti troppo lunghi da elencare. Eppure non disillusi. Un’iniziativa come il Tamarindo traduce un tentativo sincero di continuare a far vivere le proprie illusioni e i propri valori, da parte di un gruppo - ma sì, definiamoci pure così - di intellettuali, che tentano di realizzare e di realizzarsi emigrando all’estero. Attenzione: la mia, come la vostra, non è la materializzazione del detto “l’erba del vicino è sempre più verde”, al contrario! È la voglia di dimostrare che, come quella del vicino, anche la nostra può rinverdire.

E forse in realtà sarebbe solo questione di concimare in modo diverso.

Lo ammetto apertamente, la mia è l’esperienza di una globetrotter molto viziata. Ho avuto la mia dose di avventure surreali, ma senza zaini in spalla e notti sui pontili di transatlantici. Quello che mi ha spinto a partir di casa a 19 anni è più la voglia di conoscere l’Altro, un Altro all’infuori del circuito Sant’Ambrogio, San Babila, Santa Margherita e San Moritz (alla Milano bene piace celarsi sotto un velo di costosa santità), dentro al quale ero stata finora piacevolmente confinata. Ammetto anche di avere avuto una madre francese molto convenzionale, che non ha mai smesso di ripetermi l’inammissibilità del fatto che gli Italiani rimangano fino a 35 anni a casa dei genitori, con tanto di camicie stirate e di pommarola pronta. All’epoca la cosa sembrava scioccare me quanto lei; oggi comprendo e posso moderare il fatto, anche se il principio di base rimane in effetti stuzzicante.

Da sola, quindi, alla scoperta di Parigi. Nel gennaio del 2001, con me in Francia in Europa arrivava l’euro e già questo era un primo passo per farmi sentire meno lontana da casa e soprattutto più sensibile a un senso di appartenenza al “villaggio globale”, esito inesorabile della globalizzazione.

Alcuni potranno pensare che faccio qui emergere tutto lo chauvinismo francese che c’è in me, e forse non avrebbe torto. In sei anni di permanenza nella Ville Lumière, con qualche intermezzo esotico, il mio amore per questa città non ha fatto che crescere, mentre la mia disillusione nel futuro dell’Italia e soprattuto nel mio futuro in Italia è aumentata sempre di più.

La mobilità per prima cosa. Il senso di movimento, di cambiamento sono stati i primi sentimenti diversi a colpirmi fuori dai confini italiani. Baudelaire scrisse osservando la Parigi della Rivoluzione Industriale: “la modernité c’est le transitoire, le fugitif, le contigent”. Nel concetto di modernità quindi è intrinseco quello di dinamismo, di riporre in discussione per progredire. D’altronde è dal dubbio che nasce il progresso. Per questo, nel disperato tentativo di continuare a sentirci “moderni”, noi giovani italiani intellettuali ci rifugiamo in una mobilità fugace, rapida e brillante come tutto cio che è nuovo, e che purtroppo non riusciamo a trovare nella nostra penisola. In una lezione di relazioni internazionali a Parigi un mio professore ha espresso il concetto di “flussi” come una delle caratteristiche principali della globalizzazione. Flussi economici prima di tutto, con l’internazionalizzazione delle transazioni finanziarie istantanee nel pianeta, che danno il via a una serie di scambi commerciali e di guadagni mille volte superiori a quelli di solo qualche decennio fa. Flussi comunicativi ovviamente, con l’inesorabile sviluppo dei mezzi di comunicazione: informazioni e contatti, tutto in tempo reale (il discorso della quantità a scapito della qualità è poi un altro). Flussi socio-politici, con migrazioni, diaspore, guerre religiose e raggruppamenti etnici. E infine flussi culturali, che sono quelli che ci riguardano forse di più. Perché quello che mi ha così tanto affascinato in Francia, in America, in Inghilterra e perfino in Cina non è solo il rispetto dell’idea di diversità culturale, ma addirittura la sua identificazione e valorizzazione anche in ciò che appare più omogeneo. Ecco cosa rimprovero forse di più all’Italia: la mancanza di diversità, di cambiamento. Come disse così giustamente Don Fabrizio Corbera, principe di Casa Salina nel Gattopardo, l’Italia è da sempre schiava della logica “bisogna cambiare tutto, perché tutto rimanga uguale”.

Prendiamo ora i clamorosi casi delle campagne elettorali. Se, come dovrebbe essere in teoria, sono le istituzioni convenzionali a fare da modello, allora mi sembra che i primi a mancare di dinamismo siano i politici e i religiosi italiani. Senza essere troppo esigenti e andare a cercare l’eccitazione patriottica risorgimentale o la fede di San Paolo (anche se sarebbe bello), si sente inesorabilmente la mancanza totale del sentimento di militanza nei discorsi di quasi tutte le personalità politiche italiane di destra come di sinistra. Per quanto riguarda il nostro clero poi ci si domanda se anche al parroco non piacerebbe di più dormire fino a tardi la domenica invece di dire messa. E mi sto soffermando ora solo sulla forma, per il fondo sarebbe troppo lungo e sopratutto già detto in altri contesti. Questa staticità irriga dunque una società intera, addormentandola profondamente in un piacevole letargo, di cui apparentemente sono esentati solo i calciatori durante le partite.

Che si provi a concepire un discorso come quello di Sarkozy in Italia: la politica della “rupture”, rottura, ossia arresto, cambiamento, mutazione. Una società meritocratica, dove chi vuole guadagnare di più deve lavorare di più. Nel nostro Paese ci sarebbe stata la rivoluzione. Al massimo si sarebbe sostituito al guadagnare di più il “fare i furbi” di più, e tutto va avanti come prima, come nel Gattopardo.

Dopo questo ritratto nostalgico dell’Italia mi sembra di contemplare un remake del quadro di Thomas Couture al Musée d’Orsay, Les Romains de la Décadence, in cui è rappresentato in un gruppo di giovani Romani in toga, il decadimento dei costumi della Roma del Tardo Impero di fronte alle imminenti invasioni barbariche.

Ma non avviliamoci oltremodo. Ci restano le belle donne, il sole, il cibo, il calcio e…noi. Noi che in fondo usciamo, viviamo, a Londra, a Parigi, a New York, a Shanghai, a New Delhi e a Buenos Aires. Per incontrare persone diverse, per vivere cose diverse, per guadagnare di più, per avere un lavoro che ci piace di più e per continuare a coltivare delle favolose illusioni che sono lo stimolo e la risorsa prima della sana gioventù che siamo e che vogliamo dimostrare di essere.

Ma in fondo l’Italia ci piace, la amiamo e vogliamo che sia amata e non solo per i suoi turistici stereotipi, ma perché sappiamo di avere un potenziale vero che vogliamo incarnare, portare avanti e far fruttare. Meglio se non rinchiuso fra le Alpi e il Mediterraneo, ma aperto verso una diversità culturale immensa, come quella che animava Leonardo, Enrico Fermi e De Gasperi.

Quindi “Buongiorno Italia, buongiorno Maria, con gli occhi pieni di malinconia, buongiorno Dio, lo sai che ci sono anch’io!”

Marie-Isabelle Corradi

Marie-Isabelle Corradi Ho doppia nazionalità italiana e francese, ho sempre vissuto fra Milano e Parigi, luoghi ai quali sono più legata. Dopo una Maîtrise in Storia dell'arte alla Sorbonne, un Master a Sciences-po Paris in Management de la Culture et des Médias mi ha insegnato ad amare la diplomazia culturale e tutte le questioni inerenti alle relazioni socio-politiche internazionali. Di carattere rigoroso ma estremamente socievole, vivo e lavoro a Parigi nel mondo dell'arte e della cultura. La curiosità e il desiderio di nuove conoscenze mi portano a coltivare una vera passione per i viaggi e per gli scambi interculturali. Passione incrementabile in un ufficio, come in un museo, come sulle piste da ballo delle discoteche parigine!
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Commenti: 1 »

  1. Complimenti. Bell’articolo.

    Secondo me certi paesi sono destinati ad andare avanti cosi’ in eternita’ quindi c’e’ poco da fare. Io faccio un paragone anche con il mio paese (Albania), dove la situazione e’ molto simile a quella italiana. Corruzzione, i soliti partiti con i soliti ladri che governano e tantissime cose che non ne vale la pena scrivere.
    Io condivido la tua idea di cambiare paese.
    A me dispiace perche’ ho fatto la scelta sbagliata (10 anni in Italia) ed era meglio secondo me un paese come la Francia o la Germania. Certe cose poi si fanno ad una certa eta’.
    L’essere umano prima o poi si arrende e’ accetta le cose come stanno.

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