Alcuni giornali progressisti europei hanno sottolineato, nei giorni passati, la sorpresa di un’ultra destra che incalza in una fase di crisi economica, quando invece certe politiche social-democratiche dovrebbero esercitare un forte potere di attrazione sugli elettori.
In realtà, i risultati delle recenti elezioni non smentiscono l’ipotesi che i cittadini abbiano bisogno di protezione. Tuttavia, mentre a priori i socialisti ritenevano che gli elettori europei volessero essere protetti dal liberismo economico senza se e senza ma, il vero spauracchio da cui molti vogliono essere salvaguardati sembrerebbe un altro: l’immigrato. L’ultra destra, con il suo linguaggio aggressivo, il suo programma politico intransigente, la sua promessa di “ripulire” le nostre città da pelli “abbronzate”, bene intercetta le paure di un certo elettorato disorientato dalla disoccupazione crescente, e che alla domanda “perché non ho un lavoro”? finisce per rispodere “è colpa degli immigrati”. Domanda ragionevole. Risposta meno condivisibile, almeno da un punto di vista della letteratura economica, che non trova evidenza empirica per molte paure che segnano in parte le decisioni di voto degli Europei.
È vero che l’immigrazione è un fenomeno in crescita nel Vecchio Continente. Ed è vero che l’immigrazione dall’estero, e quindi un aumento della diversità nella popolazione, provoca diversi cambiamenti al sistema economico. Tuttavia, questi cambiamenti non sono necessariamente negativi.
Nei Paesi più ricchi, ad esempio, la diversità può stimolare la crescita economica, il che è consistente con l’evidenza empirica in organizzazione aziendale, che documenta che teams eterogenei raggiungono, anche se in tempi spesso più lunghi, soluzioni migliori ad un dato problema.
Inoltre, un Paese più diverso potrebbe presentare una quantità minore di beni pubblici (istruzione, strade, ospedali, per citarne alcuni) soprattutto nel momento in cui i vari gruppi etnici hanno diritto di voto, e si scontrano su questioni sensibili a livello di etnia, quali l’insegnamento di due lingue presso le scuole pubbliche. Una delle previsioni più interessanti (quasi una profezia) che ne derivano è che al crescere dell’immigrazione in Europa, alcuni movimenti politici potrebbero sfruttare strumentalmente la leva etnica per ridurre il welfare-state in maniera rilevante. L’oppurtunità o meno di questa riduzione dipenderà dal particolare contesto socio-politico.
Più vicini alle paure che agitano i sonni dei cittadini europei sono gli effetti dell’immigrazione sul mercato del lavoro. La paura di Jan Kowalczyk (per gli amici Joe, l’idraulico polacco che ti ruba il lavoro) in Francia è stato il tema ricorrente della campagna francese contro la Costituzione Europea. La posizione della letteratura economica al proposito è quantomeno incerta. La teoria economica dominante suggerisce che, nel caso in cui l’immigrazione sia prevalentemente non qualificata e non istruita, i flussi migratori causano una contrazione dei salari per i lavoratori “unskilled”, e quindi un aumento delle disuguaglianze salariali tra lavoratori qualificati e non. Tuttavia, tale previsione teorica non è supportata da evidenza empirica credibile. I risultati di alcune ricerche che sfruttano flussi migratori eccezionali e concentrati nel tempo potrebbero aiutare molti europei a dormire sonni più tranquilli, anche se, addormentandosi, dovessero pensare che in quel momento un altro barcone è salpato dalla Libia con destinazione Europa. Si possono citare, tra gli altri, il caso dei flussi migratori dei primi anni ´60 legati alle vicende algerine, che hanno determinato un incremento consistente della forza lavoro in Francia (+1.6%), ma un effetto trascurabile sui livelli salariali. O ancora, si può guardare alle turbolenze nel mercato del lavoro di Miami nella primavera del 1980, quando Castro introdusse uno shock nella politica cubana di ostacolo all’emigrazione, dichiarando che, chi volesse lasciare Cuba, poteva inseguire il proprio sogno americano salpando dal porto di Mariel. Un confronto degli sviluppi nel mercato del lavoro dell’area di Miami, che accolse la maggior parte degli emigranti “in fuga” (tra cui Tony Montana), con un gruppo di città con caratteristiche socio-economiche simili, trova un impatto non significativo su occupazione e salari dei lavoratori afro-americani, ovvero quelli che, a giudicare dai dati sul mercato del lavoro di Miami, hanno livelli di educazione e abilità più bassi.
E del resto, anche supposto che, a dispetto di quanto suggerito dagli studi citati, ci sia un effetto dell’immigrazione sul mercato del lavoro, le 8 ore di sonno per notte del cittadino Europeo preoccupato dall’arrivo degli immigrati dovrebbero in ogni modo essere salve, perché l’immigrazione spesso fornisce forza lavoro ad occupazioni che, per livello di istruzione richiesto e mansioni svolte, non corrispondono al profilo della maggior parte dei cittadini Europei. Quanti giovani italiani sono disposti a lavorare nella raccolta dei pomodori sotto il sole cocente della Puglia d’estate? Quante ragazze francesi dividerebbero la casa con un’anziana donna malata che ha bisogno di assistenza 24 ore su 24, se pur ben pagate?
In definitiva, la risposta “è colpa dell’immigrato”, non sembra ragionevole in prospettiva economica. Né acquisisce uno status migliore se la si considera in prospettiva storica e anche etica. E’ banale, ma cruciale, ricordare che l’Italia è stato un Paese da cui sono salpate, nel dopoguerra, navi per le Americhe, e sono partiti treni per la Germania, la Svizzera, la Francia. Anche grazie alla valvola di sfogo costituita dall’emigrazione, l’Italia è diventata da Paese da cui si fugge Paese che riceve.
La speranza ora è che diventi, se pur a fatica, Paese che integra. Conoscere, constatare che gli effetti di lungo periodo dell’immigrazione non sono necessariamente negativi, e quindi auspicare che poco a poco i cittadini europei ne divengano consapevoli, rende la speranza di integrazione qualcosa di più che un’utopia.
PER SAPERNE DI PIÙ
Alesina, Alberto and Eliana La Ferrara. “Ethnic Diversity Economic Performance,” Journal of Economic Literature, 2005
Alesina, A. and E. Glaeser (2004), Fighting poverty in the US and Europe: a world of difference, Oxford University Press
Alesina, A., R. Baqir and W. Easterly (1999), “Public Goods and Ethnic Divisions”, Quarterly Journal of Economics, 114 (4), 1243-1284.
Borjas (1999) “The Economic Analysis of Immigration,” in Handbook of Labor Economics, Volume 3A, edited by Orley Ashenfelter and David Card, North-Holland, 1999, pp. 1697-1760.
Card (1990) The Impact of the Mariel Boatlift on the Miami Labor Market.. Industrial and Labor Relations Review, Vol. 43, No. 2. (Jan., 1990), pp. 245-257
Cahuc, André Zylberberg (2004) Labor Economics By MIT PRESS, Chapter 10
Hunt J. (1990) “The Impact of …