Il regno olandese è uno dei sei Stati fondatori dell’Europa, di cui si parla molto più spesso per fatti negativi che positivi: assassinii di importanti politici e registi, rifiuto della Costituzione e, dulcis in fundo, arresti di cellule terroristiche di livello internazionale, che proprio qui si sono plasmate e sviluppate.
Al contempo, negli uffici dell’Unione, ubicati non molto lontano, si discute di come “tutti i cittadini degli Stati membri debbano fregiarsi ed usufruire di una cittadinanza ulteriore a quella dello stato di provenienza: quella europea”.
Quanto si è parlato di cittadinanza europea e di come tutti debbano sentirsi parte di questa nuova Comunità? Tantissimo: trattati, costituzioni, carte fondamentali… Tutti, esperti del settore e no, ne hanno sentito parlare e ne sono stati coinvolti in una occasione almeno, magari senza rendersene conto.
Ma è effettivamente cosi? Si può esserne sicuri? Non si può pretendere che questo tipo di sentimento sia forte tra i nuovi 10 membri, i cui cittadini possono beneficiare di questa possibilità da pochissimo tempo, ma almeno tra gli stati fondatori il dubbio non si dovrebbe porre.
Questa possibilità dovrebbe rendere tutti i cittadini degli Stati aderenti liberi di viaggiare nell’Unione intera e dare loro la possibilità di sentirsi tutti uguali, perché facenti parte della stessa, che ha regole, diritti e doveri comuni. L’idea, nella teoria, sembra veramente meravigliosa. Metterla in pratica? Un po’ meno. Potrebbe sembrare troppo semplice fregiarsi di tale caratteristica rimanendo sempre nel Paese d’origine: per poter veramente sentirsi europei bisogna cambiare Stato membro e poi dare una effettiva valutazione del proprio sentirsi – o non sentirsi- cittadini della stessa unione di stati.
La Comunità vede da sempre Italia e Paesi Bassi al centro di ogni nuovo negoziato per introdurre regole e possibilità aggiuntive di cui tutti gli Stati, e relativi cittadini, possano usufruire. Non sempre, però, i risultati sono stati gli stessi, anzi: nella maggioranza delle occasioni questi due Stati hanno fronteggiato situazioni totalmente opposte, come nel caso recente del Trattato costituzionale europeo.
Nonostante ciò, chiunque decida di trascorrere alcuni giorni in Olanda non dovrebbe avere la sensazione di sentirsi straniero in terra europea, bensì parte integrante e libero di agire secondo le regole “di buona condotta del vecchio continente”.
Tale teoria viene pienamente vanificata dopo aver visitato due città di questo piccolo, ma allo stesso tempo problematico, Stato fondatore.
Il primo esempio pratico? Una passeggiata in una delle più chiacchierate città olandesi: Amsterdam.
Aspettando di scendere alla fermata “Amsterdam Centraal” si intravede già la cosmopolitismo che la invade: accanto ad un museo, Nemo, riservato ai bambini per conoscere meglio le meraviglie del mare, vi è un teatro dove stanno programmando il musical “The Lion King”, show non propriamente olandese. Quando si scende dal treno, le prime parole che si sentono sono in inglese. Olandese ben poco.
È una città che pullula di musei dedicati ad artisti del XX secolo, tulipani e compagnie di fast food americane. Paradossalmente, non ci si sente assolutamente coinvolti negli aspetti dello spirito europeo, bensì in uno che poco ha a che fare con la recente Unione. Forse il sentirsi suoi cittadini potrebbe essere paragonato al BloemenMarkt, dove tutti i giorni venditori di tulipani esibiscono questi fiori coloratissimi, che però non sorprendono più le persone che giornalmente ci lavorano. Questi fiori, come la cittadinanza, sono bellissimi ed effettivamente danno tantissimo colore a questa città. Il problema è che non vi è data abbastanza importanza e, al calar del sole, giorno dopo giorno, i tulipani si appassiscono e non rendono più come alle prime ore della giornata.
Il problema che deve affrontare Amsterdam è che principalmente gli autoctoni non si sentono veri Olandesi e, probabilmente, ancor meno Europei. Questa città, infatti, perennemente invasa da turisti americani ed asiatici, può essere connotata più come meta di cittadini “del mondo”, ma non di certo europei. Difficilissimo trovare una persona che parli correntemente la lingua olandese, raro provare ad instaurare una conversazione con una qualsiasi persona a proposito dei recenti avvenimenti che hanno toccato lo stato nord europeo. Il motivo? Praticamente impossibile trovare Olandesi veri, data l’immensa presenza di turisti provenienti da oltre oceano. Al contempo, però, nessuno può sentirsi “escluso”, diverso o “osservato” dalle persone che camminavano per la città, probabilmente perché anche tutti, Europei e no, si sono sentiti parte integrante di un sistema grande e capace di inglobare senza problemi cittadini provenienti da ogni parte del pianeta.
I Paesi Bassi, sebbene privi di una eccessiva estensione, hanno città che, nonostante le strette vicinanze, sono diverse tra loro in stile, colori e… cittadini. Per vedere una parte che si discosta dall’immagine dell’Olanda acquisita ad Amsterdam, provare nuove emozioni e cittadinanze, venire a contatto con una realtà contrapposta alla triade “musei-tulipani-canali- , è necessario spostarsi a Rotterdam. Città molto dinamica, coinvolta in un processo di modernizzazione che la sta cambiando a vista giorno dopo giorno, è il raccordo portuale più importante di tutta l’Europa: qui avvengono scambi commerciali che coinvolgono sia l’Unione sia molti altri stati extra europei.
È una città molto popolata, ma il 58% dei suoi cittadini non sono né turisti né Olandesi: sono persone di fede musulmana, che l’hanno “colonizzata” , rendendola di certo la città quadro degli eventi che hanno toccato i Paesi Basi negli ultimi tempi. La maggior parte di tale percentuale è costituita da Marocchini e Turchi, ai quali si aggiunge una piccola comunità di immigrati dalle isole Antille. Quando si cammina per le sue vie, anche accompagnati da persone di nazionalità olandese che sanno quali sono le parti da visitare, ci si sente “diversi”.
I colori con cui ci si scontra possono essere un discriminante? Forse, anche se uno dei maggiori scogli che si deve affrontare subito è la lingua. Cosa si sente parlare dalle persone, poche donne tra l’altro? Di certo la lingua madre dei Paesi di loro provenienza, che non è quella che dovrebbero usare per dialogare nel Paese in cui si trovano al momento.
Una ulteriore problematica da risolvere? Il pranzo. Ebbene sì: trovare un ristorante alle 13 aperto, durante il periodo del Ramadan, è stata una impresa alquanto ardua. Al contrario, dalle 18.30 in poi, quando ormai …