giugno 6th, 2009 by Lorenzo Kihlgren | No Comments
I giovani iraniani hanno più volte dato prova al mondo intero del proprio coraggioso idealismo, del generoso amore per il proprio Paese, del sincero attaccamento a molti dei valori delle società democratiche per i quali in Occidente ormai ben pochi loro coetanei darebbero non dico la vita, ma forse neanche un po’ del proprio tempo libero.
Sono rimasto molto colpito da questo video, una “foto di gruppo” di giovani iraniani in 25 città nel mondo che incitano i propri connazionali a votare alle presidenziali del prossimo 12 giugno. La partecipazione elettorale sta molto a cuore ai riformisti iraniani: non è un mistero che fu proprio l’astensionismo dei giovani, delusi dagli insuccessi delle due presidenze Khatami, una delle principali cause della vittoria dell’attuale presidente, il conservatore Ahmadinejad, alle elezioni del 2005.
Avevo già deciso di andare a votare, ora lo farò con ancora maggiore convinzione. Non certo sperando di ribaltare con il mio voto i risultati, ma per la consapevolezza di esercitare il diritto, ma anche il dovere, di ogni cittadino che tenga alla natura rappresentativa degli organi elettivi – locali, nazionali od europei che possano essere.
marzo 11th, 2009 by Vincenzo Ruocco | No Comments
I movimenti fondamentalisti sono sempre caratterizzati da un fortissimo legame con lo spazio geografico. La difesa del territorio è infatti un elemento comune a quasi tutti i fondamentalismi. Difendere la terra ancestrale, la Terra Santa, la patria è ciò che unisce gli individui di una lotta all’ultimo sangue contro forze “sataniche”. Dietro a ciascuno di tali movimenti vi è l’idea di ripristinare l’ordine in una realtà caotica, erigendo barriere ai confini.
Questa è l’ultima reazione ad un mondo sempre più aperto, fatto di reti globali e di flussi di comunicazione. I fondamentalisti cercano la stabilità in una società in perpetuo cambiamento e tentano di arrestare ogni forma di evoluzione risacralizzando il territorio.
In un mondo sempre più legato alla dimensione del tempo, rimangono fieramente fedeli allo spazio, considerando ogni forma di accesso un’influenza contaminante.
Quando l’America invase l’Iraq nel 2003, gli abitanti dei Paesi confinanti, fra cui l’Iran, si chiesero cosa sarebbe potuto accadere se gli U.S.A. li avessero attaccati.
Alcune persone sostengono che la crescente minaccia nucleare che l’Iran proietta sul mondo possa essere la causa del tentativo di conquista da parte americana.
In risposta al programma di arricchimento dell’uranio, le Nazioni Unite hanno deciso di imporre diverse sanzioni economiche all’Iran.
Cosa può significare ciò per la popolazione iraniana? Una serie di interviste realizzate dai giornalisti di current_ TV ci permettono di conoscere le opinioni della gente comune.
Ci troviamo a Teheran. In diversi accettano di rispondere al quesito. La prima persona che sceglie di parlare alle telecamere è una ragazza. Non fuori, per strada, ma dentro casa, nella sua camera.
Non posso fare a meno di notare che alle sue spalle sta un bell’iMac bianco della Apple Computer Inc..
“Non ho mai dimenticato il momento immediatamente successivo all’inizio dell’invasione americana in Iraq e mai dimenticherò cosa provavo nel sapere che i soldati americani erano al confine con l’Iran. Chiunque si chiedeva cosa sarebbe successo se gli U.S.A. avessero deciso di attaccarci. Mi sarei alzata ogni mattina ringraziando Dio per aver fatto sì che il nostro Paese non fosse stato invaso la notte precedente.
Ora, sono passati diversi anni dall’invasione americana dell’Iraq, non esiste più, a mio avviso, la minaccia di un attacco americano all’Iran. Ormai non ho più incubi riguardo all’attacco da parte dei soldati americani. A Teheran la gente vive la propria vita giornalmente senza paure e insicurezze.”
Siamo all’aperto, in una giornata di sole. Non credo che i giornalisti temessero qualcosa, anzi, li percepisco liberi come coloro che si avvicinano per parlare.
“Perché credi che gli U.S.A. non abbiano ancora attaccato l’Iran?”
Un ragazzo risponde:
“Non penso che gli americani stiano pianificando un attacco perché non possono assumersi il rischio di una tale decisione, intendo il rischio economico.”
Una ragazza risponde alla stessa domanda:
“Per merito della nostra forza militare. Abbiamo dimostrato in passato quanto sia difficile sconfiggerci.”
Un secondo ragazzo ci dice:
“Queste minacce sono infondate. Penso la stessa cosa quando qualcuno qui da noi urla ‘Morte all’America’. Mi sembra uno spettacolo in cui due soggetti recitano due parti assegnate. Non dobbiamo credere alla libertà e alla democrazia nel modo in cui gli U.S.A. li definiscono. Preferisco la nostra dittatura rispetto ad una democrazia straniera.
Tu cammini per le strade, trovi i negozi di Benetton. La globalizzazione ci sta colpendo, una globalizzazione forzata. Le ragazze che fanno acquisti scelgono i vestiti in modo da imitare il look di Jennifer Lopez svilendo così i nostri valori.”
Siamo in un parco cittadino, una donna dallo sguardo sereno mostra la sicurezza delle proprie opinioni:
“Loro hanno pensato che le persone afgane e irachene non fossero felici delle proprie situazioni di governo. Ma non guardano all’Iran in questo modo. Si rendono conto come, sostanzialmente, il popolo iraniano sia contento.
La nostra inflazione e le crisi economiche sono causa delle sanzioni, questo sì.”
Nella medesima location una bella ragazza dal “viso pulito”, permettetemi questa massima popolare, espone in maniera pacata il proprio parere.
“La politica americana in Iran è stata priva di successo perché la gente supporta il proprio governo. Sebbene l’America non ci abbia attaccati, questo non significa che non ci stia facendo pressioni.
Mi chiedo se sia questo il significato del termine globalization. Per noi le sanzioni altro non sono che una forma di guerra in questo mondo globalizzato. Mi chiedo, questa globalizzazione è utile per noi come lo è per l’America e per l’Occidente? Oppure noi soli siamo le vittime di questo processo?”
gennaio 29th, 2009 by Rocco Polin | 3 Comments
Il 20 Gennaio i rappresentanti dei 22 paesi della Lega Araba si sono riuniti a Kuwait City per un summit che, nonostante dovesse occupasi essenzialmente di economia, ha finito inevitabilmente per vertere sulla guerra di Gaza e sui rapporti con Israele.
Il mondo arabo è diviso in due campi. Da una parte i “moderati” guidati da Arabia Saudita ed Egitto e dall’altra i “radicali” guidati dalla Siria con l’appoggio esterno dell’Iran (che non essendo un paese arabo non fa parte della Lega). Mentre Siria e Iran sostengono la linea dura contro Israele ed appoggiano Hamas in Palestina ed Hezbollah in Libano, i paesi del cosiddetto asse moderato sono maggiormente favorevoli al compromesso con Tel Aviv e profondamente ostili tanto ad Hamas quanto ad Hezbollah.
La divisione dei paesi arabi è stata drammaticamente evidente durante l’offensiva israeliana a Gaza. Il fronte radicale ha convocato un meeting d’urgenza a Doha (capitale del Qatar) che è però stato boicottato da Egitto ed Arabia Saudita e non ha raggiunto il quorum di 2/3 dei paesi partecipanti. Il meeting di Doha, nel quale i palestinesi erano rappresentati da Hamas, Jihad Islamica e Fronte Popolare ma non dall’ANP, si è chiuso con l’appello ai paesi arabi affinché ritirassero la cosiddetta Iniziativa Araba di Pace. La proposta araba, approvata dalla Lega nel 2002 su iniziativa saudita, prevedeva il completo riconoscimento di Israele da parte di tutti gli stati arabi in cambio del ritiro sui confini del 67, la nascita di uno stato palestinese con Gerlusalemme Est capitale e di una giusta soluzione al problema dei rifugiati palestinesi.
Il successivo summit in Kuwait (questa volta ufficiale) non è invece stato in grado di approvare nessuna risoluzione. Dopo la chiusura del meeting il segretario della Lega Araba, Amr Moussa, si è affrettato a precisare che, data l’irrilevanza legale delle risoluzioni di Doha, l’Iniziativa Araba è ancora sul tavolo.
Va però segnalato che ai margini del meeting c’è stato un tentativo saudita di riconciliazione tra i due campi che rimette la palla in campo siriano. Nonostante i siriani sperassero di uscire rafforzati dalla guerra di Gaza in seguito ad una vittoria di Hamas simile a quella di Hezbollah in Libano e alle difficoltà egiziane di fronte al disastro umanitario nella striscia di Gaza, i veri vincitori sono stati alla fine proprio gli Egiziani, di nuovo al centro della diplomazia medio orientale.
La grande scommessa saudita è convincere la Siria a cambiare campo. La visita di Sarkozy a Damasco dello scorso Settembre così come i tentativi turchi di mediare un accordo tra Siria ed Israele vanno nella stessa direzione. L’Iran, privato dell’appoggio siriano, sarebbe troppo lontano per sostenere efficacemente Hamas ed Hezbollah e i governanti arabi, così come i cittadini israeliani, potrebbero finalmente dormire sonni più tranquilli.
Ancora una volta la strada per la pace in medio oriente passa da Damasco. Speriamo che la nuova amministrazione Obama si ricordi della vecchia massima di Henry Kissinger secondo la quale nel Medio Oriente non si può fare la guerra senza l’Egitto né la pace senza la Siria.
gennaio 27th, 2009 by Arash Hejazi | 1 Comment
Coming from a nation which is proud to have produced one of the most ancient books in history (Avesta by the Persian prophet Zarathustra), and coming from a religious background where god swears By the pen and whatever they record, it is naturally hard to believe that our government is one of the few States left in the modern world and digital age, that officially censors books. While international publishers hurry from an appointment to another to raise the profits, we shiver when deciding to publish a book: “Will they let us publish this at all?”
Our constitution doesn’t clearly recognize the freedom of expression: “the press is free to express their opinion, unless it is against the foundation of Islam or rights of the people, and the law will explain the details”. (clause 24, The Constitution of Islamic Republic of Iran).
And the details have never been explained, except in an act issued by the Supreme Council of Cultural Revolution (which is not a law, as it is not legislated by the Parliament), which states the subjects that “do not deserve to be published”, for example: Renouncing the fundamentals of religion; promoting moral corruption; inviting the society to riot against the State of Islamic Republic of Iran; promoting the ideas of terrorist and illegal groups and corrupted sects and defending monarchy; stimulating conflicts between the various ethnic or religious groups or creating problems in the unity of the society and the country; mocking and weakening the national proud and nationalistic spirit, and creating an atmosphere of loosing national values to the culture and civilization of western or eastern colonizing systems.
Well, these are the guidelines that the “Ministry of Culture and Islamic Guidance” has been following in issuing permissions to publish books in the past 20 years. Unfortunately almost anything can be interpreted to be violating one of these red lines, especially when it comes to “moral corruption” and “loosing values”, for which no one can give a concrete definition.
Publishers have to submit their books to the ministry before they publish it, so there is no juridical way for objection to the decision of a censor, or let the common sense judge the health of the book published. There is a gigantic bureaucratic system – by the expense of Iranian national treasury — of prior restraint installed based on the act above: Publishers have to get the books translated, typeset, edited, laid out, even proofread, before they can submit the books to the ministry. Then the censors read the books. If they find no problems, they issue a permission to publish, if they find some problems, they write the problems to be cut out – on a piece of paper with neither a letterhead nor a signature – and the publisher has to make the changes and resubmit the book. If they decide that the book does not “deserve to be published” at all, they declare their decision to the publisher orally, no written document. And the worst problem is, it all depends on the taste and individual interpretation of the persons who read the copy in the ministry of culture, whose names no one knows.
With the official permission, the publisher can proceed producing the book. But after binding, the book must be submitted again to the ministry, so that they can check whether all the changes and omissions have been actually applied and only then, a Permission to Distribute – officially named Declaration of Receiving the Book – will be granted. But this doesn’t necessarily mean that the book can be reprinted. When the government of President Khatami finished its term and President Ahmadinezhad took office, they declared that thousands of corrupted books had been authorized by Khatami’s Minister of Culture, and so they cancelled the permissions to publish for hundreds of titles in only one year, which pushed many publishers to the verge of bankruptcy.
gennaio 4th, 2009 by Margherita Sacerdoti | 18 Comments
Il 19 Dicembre scorso è ufficialmente terminato Il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, durato sei mesi, durante i quali Hamas non ha mai smesso del tutto di lanciare Qassam su Israele. In quello stesso giorno Khaled Mashal, capo del ramo di Hamas in Siria, ha dichiarato che il cessate il fuoco non sarebbe stato rinnovato aprendo definitivamente la crisi.
Questa volta i razzi non sono stati lanciati soltanto su Sderot e Ashkelon, i cui abitanti ormai vivono tale condizione come la normalità, ma per la prima volta sono arrivati anche su Ashdod, che dista soltanto 30 Km dall’aereoporto Ben Gurion a sud di Tel Aviv, e su Beer Sheva. Per Israele ovviamente questa situazione è assolutamente inaccettabile poiché significa che da Tel-Aviv in giù, i cittadini sono in pericolo di vita. Non c’è dunque da sorprendersi tanto se l’aviazione israeliana ha risposto al fuoco bombardando le postazioni da cui son stati lanciati i missili. Nonostante l’intervento aereo, Hamas non ha ancora smesso di lanciare i Qassam sulle città israeliane, dimostrando che con il solo bombardamento aereo, Israele non riuscirà a smantellare le strutture paramilitari di Hamas, né riuscirà a ridurre la capacità di combattere di Hamas a tal punto da essere inoffensiva.
Questa guerra è gia stata confrontata più volte con quella del Libano di due anni fa, a ricordare che Israele farebbe meglio a non commettere gli stessi errori dell’ultima volta. Nel 2006 infatti, l’obbiettivo della campagna militare era distruggere completamente l’organizzazione terroristica Hezbollah. Tale obbiettivo non è stato raggiunto perché è impossibile smantellare un’organizzione che non ha una struttura e delle postazioni chiaramente individuabili, bensì conta basi operative e adepti in tutto il Paese nonché una forza politica che si annida nelle stesse strutture del governo. Inoltre, dopo il ritiro, Israele ha lasciato tempo e spazio a Hezbollah di riarmarsi e ha certamente auitato la stessa organizzazione terroristica ad apparire come i buoni che sono stati attaccati e che dopo la fine della guerra sono anche stati in grado di aiutare la popolazione civile, al posto dello Stato, a rimettersi in piedi.
Per non ripetere tale inaccettabile errore, Israele questa volta si è posta innanzitutto un obbiettivo più realistico: ridurre al massimo la capacità di Hamas di combattere, e non smantellare l’organizzazione in sé. Per raggiungere tale obbiettivo, Tzahal deve distruggere le basi di lancio dei missili, spesso localizzate in appartamenti private o vicino alle scuole, secondo la tradizionale politica di Hamas di utilizzare i civili palestinesi come scudi umani per difendersi dagli Israeliani. Con la sola forza aerea è impossibile operare chirurgicamente e colpire tali postazioni, ed per questo motivo che l’esercito israeliano è da poco intervenuto via terra.
Se Israele smettesse di rispondere al fuoco oggi, Hamas emergerebbe come la parte vittoriosa della guerra, avrebbe il tempo e le strutture ancora intatte per riarmarsi, e sarebbe forte abbastanza per imporsi anche sulla Cisgiordania nelle prossime elezioni che avranno luogo adopo la fine del mandato di Abu Mazen che scade a fine Gennaio.
Hamas governa secondo la legge islamica a Gaza, il che significa che a chi ruba, viene tagliata la mano, a chi passa col semaforo rosso, vengono date frustate. Hamas è la mano dell’ Iran, insieme a Hezbollah, nel Vicino Oriente, e dall’Iran riceve armi.
Noi Europei dobbiamo imparare ad essere lungimiranti e a chiederci come davvero proteggere i diritti umani degli uni e degli altri. Se Hamas vincesse le elezioni in Cisgiordania, anche naturalmente attraverso minacce alla popolazione che, in caso di mancato sostegno all’organizzazione, verrebbe punita severamente dopo la vittoria, la legge islamica verrebbe introdotta anche a Ramallah. A quel punto non ci sarebbero piu diritti umani per i palestinesi e il diritto alla vita e alla sicurezza degli iIsraeliani sarebbe decisamente messo in pericolo, ancor più che adesso. Cosa vogliamo fare allora noi Europei?
Vogliamo per una volta pensare al bene di tutti nel lungo termine e non soltanto a compensare i nostri sensi di colpa per la situazione tragica in Medio Oriente che trova le sue radici nella colonizzazione europea?
Vogliamo per una volta, con pazienza, comprendere la profondità del problema invece di cercare soluzioni rapide e inefficaci che ci assicurino sonni tranquilli?
luglio 16th, 2008 by Margherita Sacerdoti | 1 Comment
Si sente parlare di un possibile e imminente attacco israeliano all’Iran. Questa eventualità è altamente improbabile e costituirebbe un suicidio per Israele per almeno due ragioni Importanti: la difficoltà tattica di un attacco e la geopolitica del Medio Oriente.
Innanzitutto non è né ovvio né facile colpire le presunte centrali nucleari iraniane. A differenza dell’attacco israeliano alla centrale nucleare irachena nel 1981 in cui le forze militari israeliane avevano informazioni precise sull’obbiettivo e il luogo da colpire, nel caso iraniano l’obbiettivo non è altrettanto chiaro. Come prima cosa il governo iraniano si è preoccupato di nascondere in basi segrete nel sottosuolo quelle che si sospetta siano centrali per l’arricchimento di uranio. In secondo luogo queste basi sarebbero sparse per il territorio iraniano e non in un solo centro. Se anche l’aviazione israleliana fosse pronta dal punto di vista militare ad un attacco all’Iran, non avrebbero un piano strategico né tattico vincente, proprio perché non saprebbero quali luoghi colpire, e nemmeno quanti. Per agire in maniera afficace dovrebbe mandare l’intera aviazione e bombardare tutti i siti sospetti, ma questo non è certo un piano militare accorto.
In secondo luogo, prima di attaccare eventualmente l’Iran, Israele dovrebbe assicurarsi se non l’amicizia, per lo meno la certezza di non ritorsione da parte degli alleati dell’Iran: Siria, Hezbollah e Hamas. Se Israele attaccasse l’Iran senza conoscere le reazioni di questi tre attori, immediatamente verrebbe circondata da nemici e attaccata su tutti i fronti. L’allenaza tra Iran, Siria, Hezbollah e Hamas è innaturale se si considera la natura di questi attori. L’Iran infatti è uno stato teocratico, musulmano sciita e non arabo. La Siria è uno stato musulmano, arabo, sunnita con un regime laico-socialista e non fondamentalista religioso. Hezbollah è un attore non statale i cui militanti sono musulmani sciiti, alleati naturali dell’Iran, ma non della Siria che ciononstante sostiene le loro azioni in Libano. Infine il gruppo Hamas, che oggi ha il completo controllo della striscia di Gaza, è composto da Arabi Musulmani Sunniti ed è un ramo dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani. Ciononostante Hamas ha collaborato con Hezbollah sciita durante la seconda guerra del Libano e riceve armi e sostegno economico dal regime teocratico sciita dell’Iran. L’elemento che lega questi attori è l’Islam ed è infatti su questo elemento che Ahmadinejad ha sempre fondato la sua legittimità di leader di una giustizia panislamista contro chi vuole imporre dall’alto un equilibrio politico nel Medio Oriente. In questo discorso s’inserisce anche la volontà di aspirare all’arricchimento dell’uranio. Non sappiamo esattamente per quali scopi l’Iran desideri l’energia nucleare, ma possimo certamente notare come questa battaglia che richiama anche un’ingiustizia di fatto esistente nella distribuzione dell’arma atomica nel mondo, attragga attori nella regione del Medio Oriente a cui forse non dispiacerebbe aspirare alla stessa arma in un futuro.
Se Israele attaccasse l’Iran adesso, dunque, si troverebbe circondata dagli alleati “innaturali” dell’Iran. Hamas colpirebbe Israele da sud con Qassam o magari anche altre armi. Hezbollah colpirebbe Israele dal nord, dal confine col Libano. La Siria colpirebbe ininterrottamente, rifornendo questi due gruppi militanti terroristi di armi o addirittura potrebbe colpire direttamente Israele dalle alture del Golan. Inoltre l’Iran certamente risponderebbe all’attacco israeliano con dei missili, anche se non sappiamo di che natura siano quante quali armi l’Iran possegga nella realtà.
Se davvero Israele volesse colpire militarmente l’Iran, dovrebba prima di tutto indebolire l’alleanza “innaturale” e avvicinare a sé la Siria. Questo stato infatti, come abbiamo visto, è un alleato dell’Iran più per interessi contingenti che non per un legame profondo. Un accordo di pace con la Siria, non è impossibile per Israele e, io credo, neanche così lontano. Se davvero la Siria venisse portata lontano dall’Iran, quest’ultimo resterebbe più isolato che mai e probabilmente non costituirebbe più una tale minaccia e un attacco da parte di Israele o di qualsiasi altro attore non sarebbe più necessario.
L’azione israeliana di simulazione di un attacco iraninano condotta a Cipro e comunicata dall’esercito israeliano al New York Times, era una risposta all’Iran in termini di “Public Policy”. L’Iran di Ahmadinejad in questi ultimi anni ha utilizzato la paure più profonda di Israele, cioè di essere distrutto completamente, per rendere la minaccia militare più efficace. Ahmadinejad non soltanto ha tenuto conto della storia di guerre che ha caratterizzato di Israele e il timore di questo di essere colpito da più fronti, come accadde nel 1967 e 1973. Il presidente iraninano ha anche richiamato alla memoria di Israele, degli Ebrei in generale e dell’Occidente l’Olocausto e la paura del popolo ebraico che ciò possa essere negato, dimenticato e ripetuto. In risposta a questa politica, Israele ha individuato la paura più grande dell’Iran, ovvero quella di essere colpito in quando Stato canaglia con aspirazioni egemoniche in Medio Oriente, e ha simulato un attacco imminente. Evidentemente questa politica ha funzionato poichè la possibilità di un attacco israeliano all’Iran pare realistica e imminente secondo la stampa e perchè Ahmadinejad non ha più fatto dichiarazioni pubbliche sull’arricchimento di uranio dal giorno dell’esercitazione Israeliana.
luglio 9th, 2008 by Guicciardo Sassoli de Bianchi | No Comments
Intervista al prof. Ugo Bisteghi,
Storico dell’ Asia moderna e contemporanea,
Università di Bologna
Iran, Turchia: un Paese sempre più lontano, l’altro sempre più vicino all’Europa, ma entrambi legati da antiche relazioni con l’Italia.
Quali sono le relazioni culturali fra Italia e Iran oggi?
S’intravede un primo spiraglio di luce: nel 2009 professori dell’Università di Bologna insegneranno in Iran; che il mondo accademico riesca dopo tanti anni a riaprire le relazioni culturali fra i due Paesi?
La Turchia, il suo esercito e l’Italia. Un futuro assieme in Europa?