Alla scoperta dei (veri) ragazzi di Locri

Di Francesco Belcastro • 8 apr 2008 • Categoria:Società • Nessun commento

Il 15 Ottobre 2005, nel cortile di Palazzo Nieddu del Rio, un killer dal volto coperto uccideva in pieno giorno il vice-presidente del consiglio regionale calabrese Franco Fortugno. A due anni e mezzo di distanza si attende che la giustizia sappia porre una parola chiara e definitiva sulla ridda di voci diffusesi in questi anni. Nel frattempo, la nostra Italia distratta da mille veline e intercettazioni si è dimenticata di Locri e dei suoi “ragazzi”, protagonisti assoluti dei giorni che seguirono l’omicidio. Questi giovani, al tempo quasi tutti liceali, erano giunti alla ribalta delle cronache nazionali nell’immediato domani dell’efferato crimine, quando la cittadina ionica sembrava essere scossa da spontanei moti di protesta, al capo dei quali c’erano appunto questi giovanotti e signorine dalla favella sciolta e dai capelli sempre in ordine. I suddetti ragazzi avevano attirato l’attenzione di tutti, nella mia amata Locride come in tutto il Belpaese, proponendo un immagine nuova ed alternativa della bistrattata terra da cui provengo. Alcuni di loro avevano poi coniato il celeberrimo slogan “E adesso ammazzateci tutti..”, fondando poi l’omonima associazione. I ragazzi si erano quindi lanciati in una generosa e pressante battaglia per la totale occupazione di tutti i mezzi televisivi e radiofonici nazionali, regionali e locali. Nulla sembrava spaventarli, né la ‘ndrangheta né tantomeno i riflettori. Media, politici, semplici cittadini, tutta l’Italia sembrava seguire trepidante le imprese dei ragazzi.

Ma niente è per sempre e, pochi mesi dopo, questa crudele Italia si scordò improvvisamente di loro, dei piccoli eroi antimafia che aveva creato. Loro continuarono a battere a tappeto tutti gli eventi possibili e immaginabili, riuscendo qua e là a riguadagnare qualche minuto di visibilità. Ma….niente. Tranne alcune trascurabili eccezioni, questi giovani si dovettero rassegnare ad una vita normale, lontani da lustrini e telecamere. Sembra che alcuni di loro obblighino i genitori a travestirsi da giornalisti ogni domenica mattina, e che pretendano anche di essere intervistati sui fatti più importanti della settimana. Nel complesso però sembra che stiano tutti bene e che il bel periodo passato non abbia lasciato segni gravi su di loro.

Più complicato è invece stabilire che eredità abbia lasciato questo movimento a Locri ed ai Locresi. La posizione di chi scrive questo articolo non è semplice: non mi è facile, infatti, ignorare l’amicizia che ho con alcune delle persone coinvolte nella vicenda, né zittire la rabbia e la delusione di chi ha sperato molto e molto si è sentito tradito. A due anni e mezzo dall’omicidio Fortugno, vorrei poter dire che per la gente, per i ragazzi di Locri senza virgolette, sia cambiato tutto. Ma non è così. Ricordo come se fosse ieri quei giorni di autunno in cui noi fuori sede, di qualche anno più grandi, seguivamo da lontano le imprese di quei ragazzini che sembravano volere sfidare la ‘ndrangheta. Ricordo nettamente la sensazione di vicinanza e al contempo la tristezza per non poter essere protagonisti in prima persona. Non ho dimenticato la trepida attesa sul treno che mi avrebbe portato a Locri per l’importante manifestazione nazionale contro la prepotenza e l’arroganza della ‘ndrangheta , la preoccupazione per il ritardo che mi avrebbe fatto perdere minuti preziosi di quell’evento storico. Cosa è successo, davvero, in quei giorni?
Ho sempre pensato che della ‘ndrangheta, delle mafie in generale, andassero combattuti i diversi livelli. Uno dei più pericolosi, forse il più potente, è il livello simbolico. La ‘ndrangheta è oggi un’ organizzazione criminale potente, complessa, sofisticata, è radicata sul suo territorio d’origine ed ha diramazioni e contatti in Italia e nel mondo. Ma ha alla base una natura arcaica e feroce, uguale a quella dei grezzi pastori predecessori dei moderni ‘ndranghetisti. E questa dimensione, questa ‘ndrangheta “mitica”, è fatta in primis di simboli. Simboli di potere, simboli di controllo, simboli di rispetto. Simboli a volte impercettibili per chi è cresciuto al di fuori di certe logiche, ma chiari per chi di quel mondo fa parte. E quei ragazzi che andavano in TV e guardavano lo schermo senza paura, che non balbettavano ma dicevano a voce chiara “Basta alla Mafia” sembravano avere una forza simbolica incredibile. Li vedevo schiaffeggiare con la fermezza e la serenità delle loro parole l’arroganza e la prepotenza. Mi sbagliavo.

Una bolla. Una magnifica bolla, di quelle colorate che facevamo da bambini col sapone. Ecco quello che è successo. Ecco quello che sono, che siamo stati. Il cambiamento di un territorio, la sua rinascita, non ha niente a che fare con la TV. L’esposizione mediatica può essere una cassa di risonanza importante. Ma è un megafono che ripropone ciò che hai da dire. E se non hai niente da dire, il tuo niente si sente ancora più forte. I “ragazzi di Locri” a Locri non li ha mai visti nessuno. Non c’erano prima, non ci sono adesso. Sono arrivati e scomparsi con le telecamere. Niente hanno dato al nostro territorio. Quanto vale davvero farsi vedere in TV, dare di sé e della propria terra un’ immagine nuova, se si è distanti dalla realtà quotidiana di un territorio? Poco, temo. Non è mia intenzione accusare i ragazzi di ciò che è successo. Alcuni di loro avranno fatto degli errori, ma erano solo dei ragazzini investiti da un improvvisa ondata di popolarità, e non credo che si possa loro imputare cattiva fede, forse con una o due eccezioni di cui prima. La loro grande responsabilità è stata quella di non capire quanto potesse essere facile venire strumentalizzati.

A Locri ci sono tante, tantissime brave persone. Alcuni non più sono ragazzi. Sono donne e uomini che tirano avanti in una realtà complicata senza scendere a compromessi, giorno dopo giorno. Senza grida, senza schiamazzi. Erano a Locri “prima” che arrivassero le telecamere. Ci sono “dopo”, e pazienza se “durante” si sono nascosti, se non sono stati bravi con le interviste. Ma alla loro serietà, alla loro voglia di cambiare la nostra terra senza proclami, senza TV, ma cercando di segnare la strada da percorrere coi fatti, non con le parole, sono affidate le mie speranze per un domani migliore. In bocca al lupo, “ragazzi”.

giovanimafiaMezzogiorno

Francesco Belcastro
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