Breve apologia del monachesimo

Di Michelangelo Ranuzzi de' Bianchi • 30 ago 2008 • Categoria:Società • Nessun commento

Non c’è individuo che non abbia sentito dentro di sé, in un certo momento della vita, il segreto e potente impulso alla solitudine” (Montalembert)

Il monachesimo è un regime di vita comune a tutte le esperienze religiose: minoritario nell’Ebraismo (la comunità scismatica degli Esseni di Qumran) e nell’Islàm (le confraternite Sufi), ha conosciuto una grande espansione nella tradizione buddista e in quella cristiana. Di quest’ultima incarnazione dell’esperienza monastica voglio ricordare qualche caratteristica.
La dissoluzione dell’Impero romano d’Occidente, con il tramonto delle istituzioni civili vigenti e il decremento demografico nelle città, portarono alla luce e rafforzarono la tendenza all’isolamento, all’abbandono delle grandi aree abitate, per trovare rifugio in piccole comunità autosufficienti. Nella Chiesa, dopo la gloriosa stagione dei martiri si aprì quella degli anacoreti. Il lento passaggio dall’antichità al medioevo può essere ben esemplificato dalla scena cui assistette Gibbon quando, a Roma, vide un gruppo di monaci intento a cantare il Vespro tra le rovine del Foro romano, e così ebbe la prima ispirazione per la sua opera Decline and fall of the Roman empire. La “carriera” di un monaco del III - IV secolo è riassumibile in poche fasi: l’eremita (quasi sempre un laico, non un sacerdote) desideroso di preghiera, solitudine ed ascesi, si ritirava in un luogo sperduto, spesso presso le rovine di un tempio pagano, per dimorarvi in povertà. Dopo anni di completo isolamento, veniva raggiunto - suo malgrado - da aspiranti discepoli e li istruiva sulla sequela di Cristo. In tal modo, quel luogo cessava di essere un eremo (luogo di vita solitaria) e diventava un cenobio (luogo di vita comune), sede di una paradossale, ma feconda, “solitudine condivisa.” In realtà, le tappe intermedie di questo processo sono state molte, e complesse: dall’eremitismo “puro” di S. Antonio Abate, in Egitto, al cenobitismo di S. Benedetto, vero padre del monachesimo occidentale. Conosciamo anche regimi monastici intermedi, ad esempio quello camaldolese, nel quale al cenobio viene associato un eremo, dove i monaci più esperti dimorano stabilmente, unendosi al resto della comunità solo per la preghiera corale.
Da ricordare, infine, i certosini: fondati da San Bruno nel 1084, praticano un monachesimo eremitico in piccole unità abitative individuali, riunite attorno ad un grande chiostro (esemplare la certosa di Pavia, vero gioiello architettonico). Si riuniscono solo per pochi momenti vissuti in comune. Lo splendido lungometraggio di Philip Gröning, Il grande silenzio (2005) ha aperto anche al grande pubblico una finestra per rivolgere uno sguardo discreto sull’esperienza anacoretica di questi monaci, vera “élite” degli asceti occidentali.

L’Europa è stata costruita, prima che dagli Stati e dalle loro guerre, dai monaci. La nostra penisola è punteggiata di monasteri; visitarli è prima di tutto - per molti - un’esperienza di fede, ma significa anche riscoprire le radici della nostra cultura, prendendo atto del contributo che i monaci hanno fornito allo sviluppo di ogni branca del sapere, specialmente durante il Medioevo, quando per secoli le abbazie rimasero l’unico luogo di trasmissione delle scienze, mediante la produzione di codici miniati che riproducevano le opere dell’antichità classica, altrimenti destinate a cadere nell’oblio. È quasi superfluo, inoltre, ricordare il ruolo ricoperto dai monaci nello sviluppo dell’agronomia (le grange cistercensi, che svilupparono la rotazione triennale dei campi), della silvicoltura (si veda l’abetaia del monastero di Vallombrosa, presso Firenze), dell’enologia (Dom Pérignon era un monaco benedettino).
Dopo la Chiesa, l’Ordine benedettino è la più antica istituzione europea (ben quindici secoli di vita!). L’abbazia di Montecassino, nei secoli distrutta e ricostruita quattro volte, è un emblema della capacità del monachesimo di rigenerarsi costantemente, anche dopo lunghi periodi di crisi e decadenza. Oggi, giovani e vivaci congregazioni si inseriscono in questa tradizione millenaria, sottolineando nel contempo nuove priorità, come il dialogo ecumenico: a questo proposito, merita una visita la comunità di Bose, presso Biella.

Piccola bibliografia

Hans Conrad Zander, Quando la religione non era ancora noiosa. Eremiti, asceti, stiliti: le incredibili avventure e le divertenti imprese dei Padri del deserto. Milano, Garzanti, 2003
Léo Moulin, La vita quotidiana dei monaci nel Medio Evo. Milano, Mondadori, 1988
Aa. Vv., La Regola di San Benedetto e le regole dei Padri. A cura di Salvatore Pricoco. Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 1995

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Michelangelo Ranuzzi de' Bianchi (Bologna, 1980) Ha studiato lettere; ora si occupa di agricoltura e di teologia.
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