The world - from a different point of view

Di Andrea Rossi • 5 ott 2008 • Categoria:Crisi economica, Società • Nessun commento

Quest’immagine satellitare del mondo visto di notte mostra in un colpo d’occhio la situazione di squilibrio che si è venuta a creare sul nostro pianeta negli ultimi decenni. Se avessimo a disposizione una tale fotografia per ogni decennio dall’inizio del 1900 fino ad oggi potremmo notare come le zone “illuminate” si sono “estese” (in senso biologico) sulla superficie terrestre. Da una tale analisi potremmo intuire che prima o poi il mondo intero verrà “illuminato”. Il motore di tutto questo? Il commercio, il progresso e l’esportazione del cosiddetto “benessere”.

Oggi, nell’ottobre del 2008, mi chiedo, però, di quale “benessere” si stia parlando. Quello del nostro pianeta, delle nazioni povere o svantaggiate, di quelle che colonizzano o forse solo di una piccolissima fetta dell’élite che governa le nazioni che “esportano” questo “benessere”? Una carenza fondamentale dell’industrializzazione e degli affari è che non si riconosce la forte correlazione tra il “benessere” del nostro pianeta e quello delle civilizzazioni che vi abitano. È quasi ironico, ma in verità è una correlazione inversa quella che lega lo pseudo “benessere” degli uomini ed il “benessere” terrestre. Difatti le misurazioni sulla qualità dell’aria durante i tre giorni in cui nessuno aereo poteva sorvolare gli Stati Uniti d’America dopo l’11 settembre 2001 dimostrarono come il pianeta tornerebbe al suo equilibrio sostenibili se gli si desse il tempo. Invece il lavoro (l’avidità e il desiderio di successo), il bisogno del lusso, di paesaggi esotici ed il “benessere” ci portano a compensare carenze di strutturali (salute, famiglia e veri affetti) con mille viaggi (che non abbiamo il tempo di godere), cure, medicine e sostanze estranee di cui forse non avremmo bisogno se vivessimo in modo più equilibrato, sano e senza stress.

Sappiamo che le risorse, non solo energetiche, ma anche alimentari e naturali non sono illimitate e potrebbero diventare motivo di conflitto se non troviamo un modo per accontentare i paesi in via di sviluppo e quelli già industrializzati. Certamente un mondo in cui la natura non ha più posto non premetterà all’uomo di (soprav-)vivere come lo hanno fatto i nostri antenati durante gli ultimi 5000 anni. È inquietante notare come non vi sia una volontà chiara ed unanime da parte dei governi che ne sono toccati (tutti).

Forse dovremmo fermarci a riflettere come nell’arco di 30-40 anni, o meglio dal dopoguerra sino ad oggi si sia arrivati ad un tale squilibrio.

Parte della spiegazione risiede nella creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 1994 e nella ”deregulation” (nel corso degli anni ‘90) di molti settori commerciali. Notevole è poi stato l’impatto della privatizzazione di enti che un tempo garantivano in modo continuativo l’offerta di prodotti e servizi a prezzi prestabiliti: dalle linee aeree alle industrie energetiche, dallo sfruttamento di risorse minerarie alla concorrenza tra banche. La giustificazione etica di questa politica risiedeva nello spronare le società ad innovarsi, a creare nuovi prodotti, a migliorare il servizio per i clienti e ad abbassare i costi.

Non vi sembra strano che il superfluo (ad esempio un biglietto della Ryanair) vi costi la metà se non meno di quanto non spendiate per fare la spesa al supermercato (in media 40-50 euro)? Per mangiare cibi che non hanno certo più il sapore e le nutrizioni sane di solo 20 anni fa? Com’è possibile che la società odierna non si renda conto che vive peggio (stress, ansia, malattie croniche e disturbi psichici come l’anoressia siano aumentati in modo neanche immaginabile qualche decennio fa). Ciò nonostante corriamo dietro ad ideali e bisogni non essenziali creati dal costante bombardamento del marketing: l’ultimo cellulare, vedere la partita su sky, essere sempre reperibili via internet e/o email. Facciamo fatica a vivere la vita per noi stessi.

Sembrerebbe, però, che ora che una della più grosse banche d’affari americane è andata in bancarotta e il più grande assicuratore americano ha rischiato di causare una crisi sistemica globale sorgano dubbi sugli effetti generati dalla competizione globale portata agli estremi.

Vi prego di non fraintendere le mie parole: non ritengo che un modello di economia chiusa, autarchica e protezionista sia la soluzione, ma vorrei far notare l’assurdità di un sistema che rende più “conveniente” spedire grano, banane, polli e banane da Paesi lontani, perché (1) non si conoscono le norme igieniche e sanitarie di quei Paesi, (2) si devono sostenere costi per il trasporto (solitamente in nave), aumentano il traffico di merci mondiale già notevole ed infine, (3) si aumenta l’inquinamento ambientale con ricadute problematiche per le generazioni future.

Per quanto possa sembrare un controsenso, l’attuale società “evoluta” si sta dirigendo verso l’autodistruzione e nessuno sembrerebbe deciso a fare il primo passo per timore di essere “fregato” dal vicino.

Coloro che guidano le sorti del nostro pianeta dovrebbe cercare di ritrovare quell’armonia, quel buon senso e quel famoso “balance of powers” che è stato per secoli il Leitmotiv della politica estera britannica. All’epoca questa strategia si riferiva al mantenimento di un equilibrio di forze tra la Francia, la Prussia, la Spagna e la Russia affinché nessuno potesse dominare in Europa (come poi lo fece Napoleone).

Per concludere, anche se vi possono essere opinioni a favore di questa politica economica liberista di impronta anglosassone, mi ritengo fortunato che vi siano ancora alcune nazioni che si impegnano ad offrire al proprio cittadino pane prodotto con grano nazionale di cui si conosce l’origine e la composizione. Forse un giorno scapperemo tutti verso quei Paesi che, con una politica lungimirante, stanno bloccando la lenta e silenziosa colonizzazione asiatica in Europa.

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Andrea Rossi

Andrea Rossi ha studiato letteratura presso la Statale di Milano. Dopo un prolungato periodo di scambio in Germania, in cui ha studiato i testi di Kant e Hegel, si è dedicato alla ricerca nelle scienze sociali per cercare punti comuni tra la società analizzata all'epoca (fine 1800) a quelli della società odierna. Andrea ha iniziato grazie ad una borsa di studio della DAAD un progetto collaborativo tra l'università di Heidelberg e Milano per ottenere un dottorato di ricerca.
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