Just Do It
Di Thomas Villa • 20 dic 2008 • Categoria:Società • 8 CommentiCari lettori, buongiorno.
Oggi vi condurrò attraverso una noiosa riflessione su un Paese chiamato “Italia”. Astenersi pessimisti. Partiamo da una considerazione elementare: le nazioni sono una “idea collettiva”, basata su un comune sentire, su una comune idea. Ad esempio, la Repubblica degli antichi romani era la “res publica”, cioè in latino la “cosa di tutti”.
Ora vi prego di seguirmi e di compiere insieme a me un balzo di circa 2000 anni.
Ci troviamo ora negli Stati Uniti d’America, patria del celeberrimo “American dream”, che non esito definire ai limiti della religione civile. Ci troviamo in una affollata stazione della metropolitana di Washington, e vediamo un mendicante su sedia a rotelle piena di bandiere stars & stripes che, tra un “God bless America” e l’altro, invita gli indifferenti passanti a donargli qualche “buck” (dollaro).
Il suo “sogno americano”, c’è da scommettersi, è sopito, ma non dimenticato. E, osservando quell’uomo, ci si ricorda della scritta presente su quegli stessi “bucks”, ovvero: “in God we trust”. Il “sogno americano” è un caso esemplare di “idea collettiva”, ovvero una idea costitutiva di un Paese.
Proviamo ora a spostarci al di là dell’oceano, per comparare la realtà americana con quella italiana. Nello Stivale rinveniamo alcune forti idee collettive, senza dubbio.
Ma tali “idee condivise”, in realtà, si presentano sempre più spesso sotto forma di feroce e sterile autocritica. Quante volte abbiamo ad esempio sentito dire “…certe cose possono succedere solo in Italia…”?
Tralasciando la superficialità e provincialità di un giudizio che è spesso uno sfogo che emana dal profondo dell’anima, proviamo a soffermarci sul significato latente di questa affermazione, che sembra essere quasi una affermazione di dissociazione dalla realtà del Paese, ignorando di farne parte. In una realtà invece caratterizzata da “idee collettive” molto forti come quelle presenti in molti strati della società americana, ad una situazione di grande disagio, un Joe the plumber qualsiasi avrebbe commentato: “In un grande Paese come l’America è queste cose non dovrebbero accadere…”, dimostrando invece una grande affezione per il Paese e stigmatizzando il comportamento e le responsabilità del singolo individuo piuttosto che cercare di accampare generiche attenuanti di circostanza spazio-temporale.
Da cosa può dipendere tale diversità d’approccio? Da una atavica disaffezione dell’italico per la cosa pubblica? Da una profonda ingenuità de popolo americano? Da una eccessiva esperienza nell’essere governati dai Caligola di turno?
Non so voi, ma secondo me c’è dietro ben altro.
E, se non vi spiace, vi chiederei di seguirmi per andare nella Chicago degli anni Trenta, dove troviamo il professor Charles E. Merriam, che, nel suo studio degli elementi simbolici essenziali per la costituzione di un paese, ideò le credenda e le miranda. A noi interessa soprattutto la prima dimensione, le credenda, cioè le cose che è necessario che siano credute, affinché lo Stato sia legittimato. Come ad esempio la bontà dello Stato stesso ed un minimo sentimento di appartenenza. In Italia oggi esiste questa percezione diffusa? Esistono questi credenda positivi?
Provocazione:
Questo diffuso pessimismo che si respira, forse potrebbe essere in realtà più la causa che la conseguenza di questa triste situazione che stiamo ora vivendo. Come può avvenire questo? Attraverso alcune strutture che in sociologia vengono definite “profezie che si auto-avverano”.
Tali profezie si realizzano in questo modo: si crede ad esempio che A cosa possa andare male, si ha paura che A vada male, la paura ci impedisce di concentrarci e prepararci bene, e, alla fine, A va male. Magia? No, semplicemente la paura di un tale avvenimento ci ha influenzato così profondamente da alterare il nostro comportamento di fronte ad A.
Non so voi, ma io in questo Paese vedo esattamente questo stesso fenomeno. Mancando il filtro psicologico di forti credenda, si è potuto imporre un pessimismo (spesso immotivato) che ha a sua volta indebolito ulteriormente le già flebili credenda, creando così un circolo vizioso che ha mortificato l’impegno a migliorare la situazione esistente e generato una fuga delle migliori menti verso nuovi lidi, che hanno abbandonando l’Italia ad utopisti e spregiudicati.
Come potremmo cercare di uscire da questo circolo vizioso?
Cambiando prospettiva, e decidendo di credere nei credenda.
Oltre alle profezie nefaste, infatti, ve ne sono anche di ben altre, come abbiamo visto nel caso americano. In quel caso, le credenda diventano una forza ed una capacità di reazione incredibile. Dunque, perché non proviamo a sforzarci di credere che l’Italia abbia saputo dare all’umanità alcuni dei suoi tesori più preziosi? Perché non ci sforziamo di credere nella sua positività di fondo?
Se un Paese non si ama, su che basi può radicarsi il suo senso civico?
Vi prego, cari lettori, di ricordare di questa vana riflessione la prossima volta che sfogandovi urlerete: “certe cose in un Paese come l’Italia non dovrebbero accadere!”.
Perché non dovremmo decidere di crederci? Cosa abbiamo da perdere?
Chissà, forse ha ragione chi dice “just do it”.
Thomas Villa Thomas Villa, nato nel 1984 di orwelliana memoria, è laureando magistrale in relazioni internazionali, con una predilezione particolare per le tematiche della cooperazione allo sviluppo. La sua vita è divisa tra la provincia milanese, dov'è nato, e l'isola di Tenerife, alle Canarie, dov'è rinato. Coltiva l'ottimismo oltre ogni evidenza. La sua attività lavorativa si realizza nel settore della carta stampata, in ogni possibile modalità: da disegnatore a vignettista e da reporter a editorialista. Membro dell'associazione Capramagra, è ora anche direttore responsabile del Tamarindo.
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Thomas, GRAZIE!
Grazie per i tuoi credenda, grazie per il tuo amore, grazie per la tua fede, per il tuo nero che passa attraverso sfumature dorate a trasformarsi in un colore nuovo. Perché nuovo deve essere quel colore. Non lo identifichiamo perché non lo conosciamo. Che sia il dannunziano tané?
Mi fa piacere vedere che i sogni veritandi sono molti, condivisi, accesi, appassionati, vividi nelle nostre menti. Continuiamo, andiamo avanti, crediamo nella profezia che non si auto-avvererà. Io sono con te, io brindo con te a questa Italia meravigliosa, che “ha le capacità ma non si applica”, a cui “mancano le basi” - sciorinando i soliti discorsi dei prof ai genitori durante i colloqui. A quest’Italia ricca, intelligente, bella, sensuale e sensibile, a questo paese sensazionale, alla sua gente, a questo spirito unico che sguazza nel mediterraneo da milioni di anni. Io la amo.
E ci credo.
Posso dirmi contento di essere in lizza agli Oscar con “Gomorra”?
Thomas apprezzo lo sforzo, davvero. Le tue parole sono polvere da sparo.
Per credere nel modo americano di credere c’è bisogno di pazzi. Ora io spero che questo Obama possa instillare fiducia e risollevare l’economia. Il tuo dire “just do it” non è mica facile da mettere in atto. E’ un fatto di fede e come tale ci sono persone che hanno fede e persone che non hanno fede. E’ un discorso molto ampio che va ben oltre il puro dato economico-finanziario, che va ben oltre il PIL, che va ben oltre la busta paga del mese, che va ben oltre gli scandali italiani.
Gli onesti intellettualmente però faticano a “credere” nel modo americano di credere, perché è difficile trovare la fede in un’Italia priva di struttura morale, di etica, di giustizia, di diritto. Aggiungo, chi ha, oltre la forza di credere, il tempo di aspettarla questa Italia? Il “just do it” della Nike è della Nike, è di Air Jordan, è delle fabbriche nel Laos e in Cambogia dove fanno le scarpe, è un ritornello commerciale a tamburo battente.
Basta guardarsi intorno in questo Paese, parlare con la gente comune, analizzare le proprie vicende personali, guardare Report se capita, ahimé, i telegiornali, insomma se ne sentono di tutti i colori. Le persone si chiedono: “quando finirà?”. Quando inizieremo a “do it”?
Io non ho fiducia, non il tempo, no ho un cognome importante né il papà col portafoglio importante, fatico nell’adattarmi al Sistema e non riesco a utilizzarlo a mio vantaggio. Mi riesce molto più facile credere nella rinascita degli U.S.A. che dell’Italia e quindi mi è molto più facile ritrovarmi a dire “God bless America” piuttosto che altro.
V
Ciao Vincenzo!
Capisco il tuo sfogo, ma ti prego di non considerare il mio sforzo un utopia.
E’ piuttosto un pragmatico tentativo di trovare una soluzione ad una situazione che non mi piace,
anche a me come te. Qual è il principale problema di questo paese adesso? Secondo me è il disamore degli italiani
per quello che è la loro realtà, che è una situazione patologica che genera come conseguenze altri problemi.
Ci si può ad esempio lamentare dello scarso senso civico di questo paese, ma come può attecchire un senso civico se a
monte non c’è un amore o un sentimento di condivisione? Su che basi si può sconfioggere la criminalità organizzata se non c’è la più
larga condivisione possibile sul fatto che lo stato siamo noi (per usare un celebre slogan)?
Su che basi ci si può fidare di giornalisti mediocri che pertanto danno l’immagine di un paese mediocre?
In un paese che non crede in se stesso, chi -se non cinici mediocri egoisti furbetti da quartiere - potrebbe decidere di dedicarsi alla politica?
Il mio tentativo era ovviamente una provocazione intellettuale, che voleva contribuire a svegliare una realtà troppo spesso assonnata.
E’ chiaro che mi guardo bene dal prendere a modello il sogno americano (soprattutto in questi giorni non va molto di moda), ma mi ispiro
ad un paese che comunque ha amor proprio, che è la cosa che manca al nostro.
Capisco che l’onestà intellettuale sia importante, e se leggi i miei articoli precedenti vedi bene come non abbia lesinato critiche agli immensi problemi che abbiamo, ma c’è da tracciare una linea fondamentale.
Posso non avere stima per questi italiani, ma non posso negare di essere legato ad un paese che considero comunque straordinario.
C’è differenza tra stima, rispetto ed amore. L’amore è un sentimento che si prova indipendentemente dalle qualità o meno di un popolo.
Perchè noi non riusciamo a provarlo? E’ da qui, a mio avviso, che dobbiamo ripartire.
Sono d’accordo con te sul fatto che gli italiani siano un popolo che lascia molto a desiderare.
Ma uin conto sono gli italiani, ed un altro è l’Italia, che come tutte le utopie è un qualcosa che appartiene al futuro, un po’ come un ideale a cui ambire.
Critichiamo pure gli italiani quanto si vuole, che fa sempre bene ed anzi aiuta a correggersi attraverso l’autocritica.
Ma attenzione a non colpire e demolire a colpi di sfiducia gli ideali a cui il popolo deve pur ambire.
Altrimenti, il risultato del Sistema, come lo chiami tu Vincenzo,
è esattamente quello che abbiamo sotto gli occhi.
So benissimo che è un punto di vista incredibilmente controcorrente.
Ma se il pensiero “mainstream” che finora abbiamo perseguito conduce alla realtà che abbiamo sotto gli occhi, la
risposta deve per forza trovarsi da qualche altra parte no?
Thomas non ho avuto la possibilità di leggere i tuoi altri articoli ma ti credo. Ecco perché mi piace Il Tamarindo, perché un articolo non può dirsi mai terminato e, in un certo senso, non appartiene a nessuno ma a tutti. Nel momento stesso in cui viene pubblicato non appartiene più nemmeno a colui che l’ha scritto. Così, anche questa volta, l’articolo trova nuove accelerazioni, nuove spinte che provengono da altre persone, da altre teste. Il percorso perciò sembra non finire mai e per fortuna!
Come ti ho scritto sopra, apprezzo lo sforzo e posso capire il presupposto che ti ha portato a queste considerazioni.
Questo mio commento però non farà forse spostare di un millimetro in avanti il ragionamento, e me ne dispiace. Devo però prendermi il tempo di valutare meglio le tue parole, le condizioni generali per poi capire dove sia finita la mia convinzione, dove siano finite le mie certezze. In fondo che bello avere la forza di cambiare idea.
Posso, questo sì, ringraziarti per aver offerto uno spunto per ragionare insieme, rispettando l’opinione altrui. Ecco forse ciò che manca in questo Paese è la capacità di ascolto.
V
Caro Thomas,
il tuo articolo mi trova competamente concorde. Ogni giorno sogno che gli Italiani la smettano di occuparsi esclusivamente del proprio orticello per curare, tutti insieme, quello che lord Byron definì “the garden of the world”. E’ un sogno difficile da realizzare, e mi sembra del tutto legittimo il dubbio che si avveri a breve. Eppure alcuni strumenti facili facili per gettare il seme di queste credenda virtuose sono sotto gli occhi di tutti. Io comincerei con il ripensare quell’ora di educazione civica che i bambini si sorbiscono malvolentieri alle medie. Mi ricordo che all’epoca mi avevano insegnato che non si attraversa la strada col rosso. Magari aggiungerei che l’Italia è un bene comune, che va rispettato così come si rispettano le proprie cose, che chi decide di lavorare nella pubblica amministrazione e in politica lo fa per servire tutti, e che come tutti i lavori chi lo svolge bene e onestamente deve poter continuare a farlo, a differenza di chi lo fa male o con disonestà.
Chiunque conosca dei Francesi si renderà conto di come un sistema educativo nazionale riesca a formare la sensibilità civica: durante i moti nelle periferie calde di Parigi i giovani in rivolta chiedevano “liberté, egalité, fraternité”. Certo, lo facevano a volte in modo brutale, e per questo sono stati severamente puniti. Eppure come non provare simpatia e rispetto per chi, pacificamente, ha voluto manifestare ricordando allo Stato alcuni suoi principi basilari, insegnati nelle scuole di tutto l’Esagono, che il notabilato di Parigi sembrava aver dimenticato? Un altro esempio, sempre in Francia, sono state le manifestazioni contro il CPE, il contratto di primo impiego: credo che in questo caso, così come in tanti altri, ciò che ha portato la popolazione nelle strade dela Francia sia stata la consapevolezza della sovranità popolare. E il governo, resosi conto di aver agito contro gli interessi dela maggioranza, ha dovuto fare un passo indietro.
Begli esempi, no? Lavoriamo tutti insieme perché presto anche in Italia cose del genere possano accadere. O perché, per lo meno, si cominci a capire che chi fa un torto all’Italia lo fa ad ognuno di noi.
Stupefacente volo pindarico di un ottimista.
Funziona tutto, tranne la premessa.
In Italia i credenda ci sono, e sono il pane quotidiano di questo paese.
Semmai è opportuno analizzarne obiettivamente i contenuti, piuttosto che rifarsi a motti e claim di paesi e campagne ben lontani dall’esser associati a scienze sociologie e territori nostrani.
Ma si sa, gli ottimisti, come i pessimisti, tutto tramutano nell’ ambrosia di cui si nutrono.
Un collega.
Ciao Xanderoby!
Mi piacciono le risposte argomentate e dunque ti risponderò ragionando su quello che mi hai detto.
Ma certo che in Italia ci sono dei credenda! Ci mancherebbe altro, ogni discorso ha bisogno di assiomi dai
quali partire, è umano. Quello che mi preoccupa è che nel nostro paese sono purtroppo presenti delle dogmatiche
asserzioni paradossalmente anti-italiane, come se noi ci giudicassimo e ci guardassimo “dal di fuori”.
Xanderoby, dal tuo modo di ragionare ho ragione di credere che anche tu sia italiano. Potresti per favore fornirmi
un valido motivo per cui tu non potresti cambiare questo paese? Sei forse convinto di essere l’unico “italiano buono”?
Qualcuno in questo paese potrebbe fornirmi un valido argomento logicamente solido in base al quale l’italia
non potrebbe essere cambiata dagli italiani?
ma purtroppo siamo indottrinati a credere che questo “è un paese allo sfascio”, come lo è sempre stato.
Così ognuno può farsi i suoi interessi. No xanderoby, è il tuo paese, e se vedi qualche politico ad esempio che si comporta
da schifo, non è “il sistema italiano che è marcio”, è il politico che fa schifo e deve andarsene!
Affermare che “tanto è tutto inutile”, che “chi te lo fa fare di continuare a lottare”, che “il paese è fatto così” vuol dire
derespoinsabilizzare la persona colpevole, colpevolizzando una vaga idea astratta di italia che vuol dire tutto e non vuol dire niente.
Non è uno stupefgacente volo pindarico di un ottimista, purtroppo è quello che accade ogni giorno.
E io dico che dobbiamo riappropriarci di ciò che è nostro, di ciò che cio appartiene, cambiando idea poco a poco, e liberandoci
di pericolose idee preconcette che ci vengono inculcate da un sistema che - sarai d’accordo anche tu - purtroppo è malato.
Purtroppo ho già sentito molte volte obiezioni come le tue alle mie idee “troppo originali”, ma sai una cosa?
Mi ricordano le risposte che venivano date a chi, fuori dalla caverna del mito di Platone, cercava di annunciare agli incatenati
che c’era un intero mondo al di là.
Sarà anche ambrosia quella che bevo ma sai una cosa?
Io ci vivo bene, e forse dovresti assaggiarne un po’ anche tu.
Vedrai che ti fa bene!
Complimenti Thomas.
Ambrosia, nettare ed aria fresca per le orecchie di tutti. Le tue parole sono linfa vitale per tutti coloro che non si rassegnano ad una lenta, inutile e trista morte.
Proviamoci.