Questione di maiuscola: la differenza tra vivere e Vivere.

Di Carolina Saporiti • 17 gen 2009 • Categoria:Società • Nessun commento

prigioneChi c’è in carcere? Me lo sono chiesto molte volte, convinta che i carcerati fossero vittime piuttosto che carnefici o meglio che spesso la pena a cui sono condannati fosse sproporzionata al reato commesso. Non mi interessa in questo momento parlare delle assurdità commesse dalla magistratura italiana, mi riferisco a una serie di pregiudizi ancora esistenti e a un concetto di pena che continua a esistere nel mondo, non solo in Italia. Se lo scopo della condanna e del carcere deve essere educativo, viene spontaneo chiedersi quanto sia formativo il carcere di oggi in cui viene tolta ogni possibilità di Vivere.
Un Vivere che vuol dire altro rispetto al semplice respirare. Vivere nel senso più vero e, forse, anche più scontato per noi: significa andare al cinema, scegliere cosa mangiare, decidere a che ora andare a letto, di che colore vestirsi e molte altre cose più importanti.

Lo scorso giugno e poi di nuovo in autunno ho avuto la possibilità, anzi la fortuna, di entrare nella casa di reclusione di Bollate (Milano) come volontaria durante il cineforum, e ne sono uscita sconvolta. Mi sono trovata di fronte a ragazzi della mia età, che non si capacitavano del fatto che dei loro coetanei scegliessero di passare il sabato pomeriggio con loro invece che in giro con i propri amici. Sono ragazzi che faticano a parlare di loro stessi, ma che allo stesso tempo sono toccati dai film che vedono e che non rinunciano a commentare senza paura e senza imbarazzo, ma con la voglia di mostrare le loro emozioni, le loro conoscenze e le loro impressioni. Ragazzi che salutandoti alla fine ti guardano negli occhi e sinceramente ti dicono “grazie”. Un grazie diverso da quello a cui sono abituata: sincero, profondo, che ti obbliga a tornare da loro un’altra volta e a ripensare a quel pomeriggio nei giorni seguenti. Ecco questi sono i ragazzi a cui tocca scontare una pena che, staccandoli totalmente dal mondo, dovranno pagare a vita.

Proprio perché ho avuto a che fare con alcuni di loro direttamente (e ne sono stata positivamente colpita), mi ha stupito aver trovato un concorso d’arte aperto a tutti i residenti in Italia esclusi tutti coloro che fossero stati condannati per un reato a danno di persone. Precludere la possibilità di partecipare ad una competizione artistica è paradossale dal momento che l’arte non ha mai chiuso le porte in faccia a nessuno. Per essere artisti non è certo necessario essere fuorilegge, ma discriminazioni di questo genere sono da considerarsi reati. I crimini contro le persone sono deplorevoli, ma questo non significa che persone che hanno sbagliato non possano cambiare e imparare dai propri errori.

Il carcere di Bollate è un’isola felice in Italia e molti dei reclusi che hanno in precedenza provato altri carceri lo confermano. Tutto ciò è possibile grazie ad una gestione attenta alla persona e rispettosa di essa. Se questo precetto venisse messo sempre in pratica le carceri sarebbero diverse: il concetto dell’occhio per occhio, dente per dente non ha alcun senso e azzera la funzione centrale del carcere, ossia quella educativa. Cosa può imparare una persona che ha sbagliato se subisce maltrattamenti e se, una volta scontata la pena in carcere, si trova a doverne affrontare una altrettanto dura? Mi riferisco soprattutto al fatto che, recuperata la libertà, mancano i mezzi per ricominciare a Vivere. L’ex-carcerato difficilmente trova lavoro, spesso non ha i soldi non solo per l’affitto, ma nemmeno quelli per mangiare. La dignità viene a mancare.

Avere un contatto diretto con i carcerati è una fortuna, muove qualcosa dentro chi fa questa esperienza e mostra come spesso si ragioni vittima di pregiudizi o almeno di luoghi comuni. Durante le riflessioni dopo la visione dei film, gli interventi dei carcerati - soprattutto i più giovani - fanno tacere e pensare: pronunciano poche parole, semplici, ma appropriate ed intense; si accorgono di dettagli per noi banali, scavano a fondo i caratteri dei film e sono critici nei confronti di loro stessi senza paura né di dire quello che pensano né di riconoscersi in qualche personaggio ammettendone gli sbagli. In quei pomeriggi avviene uno scambio (non equo): il volontario dona un po’ del suo tempo e i carcerati in cambio gli donano le loro speranze, le loro delusioni, i loro sogni e soprattutto i loro insegnamenti.

Ecco questi sono i ragazzi che vivono in carcere, sono i miei, i nostri coetanei che hanno sbagliato e che stanno pagando per quello che hanno fatto. Auguriamoci che il futuro sia comprensivo con loro o meglio auguriamo a noi stessi di essere capaci di riaccoglierli nel mondo e renderli partecipi alla Vita.

carceredetenuti
Carolina Saporiti

Carolina Saporiti classe 1986, residente fisicamente a Varese e mentalmente in giro per il mondo. Neo-laureata in Lettere moderne con una tesi in Letteratura araba contemporanea, in cerca di un posto nel mondo adatto a lei. Appassionata d’arte contemporanea, collabora alla rivista Arte Mondadori da ottobre. Amante delle feste a tema, della musica country, folk ed elettronica, del vino bianco e del cioccolato. Riservata ma decisa, discreta ma curiosa, “incurante ma non indifferente”.
| Tutti gli articoli di Carolina Saporiti

Cosa ne pensi?

*
To prove you're a person (not a spam script), type the security word shown in the picture. Click on the picture to hear an audio file of the word.
Click to hear an audio file of the anti-spam word