Questa è pazzia di massa

Di Alessandro Berni • 10 feb 2009 • Categoria:Italia • 3 Commenti

Per me, Italiano che vive fuori dall’Italia, sono davvero noiose le prime battute quando incontro qualcuno di nuovo che non conosce bene il mio Belpaese.
Tra un come ti chiami e un cosa fai nella vita, puntuali, banali arrivano sempre le solite domande: Che fine ha fatto l’arte in Italia? Perché nel vostro parlamento ci sono uomini condannati dalla legge*? Perché l’Italia ha smesso di avere un ruolo da protagonista nel mondo?..

Per evitare di morire d’inedia e rimanere comunque sincero, finalmente ho trovato una risposta unica a questo genere di domande:

“Perché in Italia siamo tutti matti!”

In Italia, compriamo quello che ci dice di comprare la tv.
Parliamo con le parole che sentiamo alla tv.
Conosciamo il mondo per quello che ci fa conoscere la tv.
Desideriamo le vite che ci dice di desiderare la tv.

Insomma, viviamo in un regime. Un regime che non ti fa indossare un’unica divisa, ma che te ne vende decine e ad ogni Natale te ne fa indossare una diversa. Un regime dove più nessuno va in chiesa, ma ci va bene che il papa ogni giorno dica la sua al telegiornale.
Il mondo è pieno di guerre è vero, ma per farle finire basta cambiare canale.

Ho detto matti, mica scemi.

Siamo in un regime dentro il quale abbiamo sviluppato automatismi di difesa contro il dolore degli altri, l’amor proprio per se stessi.
In Italia, stiamo vivendo l’attuale era informatica interpretando il ruolo che la televisione ha scelto per noi: quello del consumatore.
E proprio non ce l’aspettavamo quando fallì quella fabbrica che vendeva il latte che tutti abbiamo bevuto almeno una volta quando eravamo bambini. Il proprietario sembrava tanto una brava persona. Internet lo diceva da anni che dentro quell’opificio c’era qualcosa che non andava, ma vatti a fidare. Quel coso lì mica è attendibile come le tv di stato, di regime.

In Italia siamo tutti matti, ma non aspettatevi di sentire questo anche in televisione. Ha appena trasmesso che matto è chi lo dice.

Certo che il sole deve essere proprio caldo e la pizza vicino casa davvero buona per sopportare tutta questa pazzia di massa.
Puntuali, come davanti ad una partita di calcio, ad ogni elezione rafforziamo questa dittatura dimostrando il nostro stato d’adesione, d’omologazione.

Ma la nostra non è solo follia collettiva. Di più, è un’avanguardia: saremo il primo paese occidentale a crollare, a rinascere.
Mi rivolgo a tutti,
perché l’Italia ritorni cosciente della sua identità e del suo valore prezioso per se stessa e per il mondo.
Alla fine di questo pensiero, una domanda: Qual è l’identità di cui l’Italia dovrebbe ritornare cosciente?
La risposta è forse nella coscienza di un’Italia modesta di fronte ad ogni grande rivoluzione; di una Nazione menefreghista che alza le spallucce quando i mass-media parlano di guerre e stragi; di un Paese senza stato che da due millenni benedice trattati nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo?
No.
C’è bisogno di un’Italia che cosciente della sua identità se ne allontani e ambisca a qualcosa di molto più alto.
Sono le grandi individualità artistiche e umane nate in mezzo a loro e cresciute nonostante loro, che questi coscienti italiani dovrebbero eleggere a illuminanti fari per lasciarsi guidare verso un popolo nuovo, fiero, impegnato e felice.

*sono 18 i condannati definitivi in parlamento (aggiornato a maggio 2008).

Alessandro Berni

Alessandro Berni Trentun’anni, quasi tutti in Europa. Ecrivain et révolutionnaire. Re musa: tutto ciò che lo tocca, si tramuta in poesia. Cintura nera di cose da niente, maestro zen d’utopie da inventare. Corteggiatore dell’ignoto. Innamorato, amato, dal nulla. Alla fine di un percorso accademico completo, decide di partire per Kibera, bidonville di Nairobi con un unico obiettivo: abiurare il suo io. Ripartire da zero. Dopo sei lunghi e strani anni torna a Parigi, arriva a zero. Oggi, finalmente oggi, spettatore convinto del cambiamento di un’era, vive infatuando l’Europa, per preparare la rivoluzione in America e, nel frattempo, mangia pasta ogni giorno, per non perdere il suo accento. Ammaliante nei bisogni, sedotto dal bisogno di raccontare, a proposito di tutti i suoi sbagli passati, ha due unici grandi rimpianti: avrebbe voluto commetterli prima, avrebbe voluto farne di più grandi. Segni particolari: una gabbia d’uragani al posto del cuore.
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Commenti: 3 »

  1. Hai ragione, Alssandro.
    E hanno ragione anche quelli che ti chiedono dov’è finita l’arte in Italia.
    Secondo me, l’elemento più spiccato del nostro carattere nazionale consiste proprio
    nell’originalità, nella genialità e nella creatività.
    Ovvero, nell’arte. In ogni sua forma.
    Certo, l’arte è inaffidabile, incostante e spesso dipende dall’ispirazione,
    proprio come tante altre cose nel nostro paese, ma a volte ci fa cadere in un
    irraggiungibile stato di grazia.
    Forse, bisognerebbe ripartire da lì, per tornare a conoscerci ed amarci davvero.
    Pur scannandoci appassionatamente, come sempre abbiamo fatto e sempre faremo,
    perchè siamo sanguigni artisti.
    Ma amando questi nostri immensi pregi e immensi difetti che ci rendono così unici e preziosi.
    Di certo, la prostituzione ad una sorta di serializzione capitalistica ci ha reso più ricchi e benestanti,
    ma ci ha fatto forse smarrire le radici di unicità e creatività che abbiamo sempre avuto.
    La follia è l’anima del mondo.
    Si, siamo pazzi, e ne andiamo orgogliosi!

  2. saremo il primo paese occidentale a crollare e a rinascere.
    che tu ci creda o no questa prospettiva del crollo definitivo (a cui, inshallah, seguirebbe rinascita) e’ la prima parola di speranza credibile che sento in diversi mesi.
    dobbiamo forse sperare nel peggio, nel crollo, nell’esclusione dall’europa, in un piduista legato alla mafia al Qurinale, nella secessione del Veneto….
    e’ la vecchia storia di Giavazzi e la Rana. Se butti una rana nell’acqua bollente questa salta fuori, se la metti in una pentola di acqua tiepida che porti lentamente ad ebollizione questa schiatta senza accorgersene.
    Dobbiamo sperare che l’acqua aumenti improvvisamente di 20 gradi, dobbiamo sperare in una crisi vera da cui finalmente ripartire, ritrovare l’orgoglio dell’essere italiani (e non il finto orgoglio del crogiolarsi nei nostri difetti che alla fine siamo simpatici e brava gente mica come i giapponesi che fanno la fila davanti alla metro…).
    Piangi, Italia mia, che ne hai ben d’onde

  3. è vero Alessandro, è un ritratto purtroppo molto preciso quello che hai delineato. Siamo il paese che sente sempre il bisogno di schierarsi da una parte o dall’altra, pur non sapendo di cosa si sta parlando; siamo persone che quando accade il “fattaccio” insorge mossa da passione, ma che poi se ne dimentica in fretta; siamo quelli che sono fieri di essere di essere italiani solo nelle notti di berlino e madrid; siamo pasta pizza e mandolino.
    E’ vero, spero che arrivi la scossa, quella forte, che ci svegli da questo torpore e indifferenza.

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