“Welcome to the Jungle”
Di Vincenzo Ruocco • 21 mar 2009 • Categoria:Crisi economica, Società • Un commentoCentro, periferia, slums, Edge Cities, gentrificazione. Cos’è oggi la città? Quante realtà apparentemente distanti si trovano tanto vicino a noi, realtà capaci di mostrarsi quotidianamente ricevendo in cambio quella buffa e distaccata disattenzione? Per quanto tempo ancora continueremo a far finta di nulla?
La Contea di Los Angeles è la più popolosa contea statunitense. Situata nella parte meridionale della California conta un numero di abitanti superiore ai dieci milioni.
“According to the most recent census there are 90.000 homeless people in Los Angeles county. Many of them live near downtown in an area known as Skid Row”. Il termine skid significa andare in rovina, row significa fila di persone.
La popolazione di Skid Row, area quanto mai apocalittica, è formata da uomini, donne, ragazzi, bambini e anziani.
Cosa può aver portato ad una condizione del genere?
Mitchell Netburn, attuale Executive Director LA Homeless Service Authority, spiega come tutto, per lo meno a Skid Row, sia cominciato durante la fine degli anni ’80. Il crack, sostanza stupefacente ricavata dalla cocaina, fa il suo ingresso nel mercato della droga. Il nome deriva dal rumore fatto dalla sostanza quando viene fumata. Il processo che porta gli elementi del crack ad unirsi per essere consumati può essere effettuato sia dallo spacciatore, sia dal consumatore finale, aumentandone l’uso. Gli homeless di LA sono stati e ne sono tuttora un folto gruppo di fruitori. Non bisogna dimenticare però le cause di questi effetti. Possiamo dunque menzionare, com’è ovvio, la condizione economica che ha portato a ciò che oggi viene accettata come una realtà “normale”.
Quello che colpisce è il fatto di trovare questo “genere umano” proprio a Los Angeles. Continua Netburn: “molte persone sono arrivate col sogno di sfondare nell’industria cinematografica. Molti altri si trovano qui semplicemente perché il clima è buono, piove poco e c’è sempre il sole”. È vero, le precipitazioni sono piuttosto scarse (circa 350 mm), e concentrate esclusivamente in inverno.
Circa il 20-25% della popolazione adulta senzatetto soffre di una qualche forma di malattia mentale, generata dall’assuefazione alla droga.
Dagli anni ‘70 il processo di urbanizzazione del pianeta ha visto una sconvolgente accelerazione. Oggi in tutto il mondo ci sono quattrocento città che superano il milione di abitanti (contro le ottantasei del 1950), di cui ventisei superano gli otto milioni (nel 1950 solo New York), con casi estremi di cinque megalopoli che superano i venti milioni di abitanti (Tokyo, Città del Messico, New York, Seoul-Injon, San Paolo).
Nel 2002 l’ONU dava una definizione di slum come luogo caratterizzato da sovraffollamento, strutture abitative scadenti o informali, accesso inadeguato all’acqua sicura e ai sevizi igienici. Nel 2005 sempre l’Onu indicava la cifra scioccante di un miliardo di abitanti negli slum.
Dalle favelas di San Paolo alla Città dei Morti de Il Cairo in cui un milione di poveri utilizza le antiche tombe degli emiri come prefabbricati. Dagli homeless di Los Angeles ai campi profughi di Khartoum e Gaza, dai ghetti urbani di Kingston e Bombay ai megaslum, da due milioni di abitanti, di Città del Messico, Caracas e Bogotà. Fino ad arrivare alle realtà incredibili di Etiopia, Ciad e Afghanistan in cui il 99% della popolazione urbana vive negli slum, creando delle bombe ad orologeria per quanto riguarda emergenze sanitarie ed esposizione a calamità naturali (inondazioni, terremoti, frane).
L’esclusione dallo spazio urbano rappresenta l’esclusione dai circuiti economici ufficiali, la distanza tra la periferia e la città sembra incolmabile e nulla di ciò che viene prodotto nella City arriva negli slum, se non gli scarti, la spazzatura.
La divisione spaziale rappresenta solo il tratto più visibile delle diseguaglianze economiche e sociali. Basti pensare quanto siano frequenti le città in cui il settanta per cento della popolazione rimane confinato nel venti per cento del territorio urbano.
Il processo di sgomberi di interi quartieri coincide con la necessità di rammodernamento delle città in vista di Olimpiadi o di altri importanti eventi internazionali.
La città non esiste più e se esiste è un luogo abbandonato. Se da un lato, infatti, avviene l’esclusione dei poveri in quanto ostacolo al progresso, dall’altro anche i ceti alti abbandonano la città. La moderna architettura della paura ha dato vita alla Edge City, zona esclusiva a protezione totale costruita con l’ossessione della sicurezza e dell’isolamento sociale. Vero e proprio simulacro dei distretti esclusivi americani già nel nome: c’è una Beverly Hills a Il Cairo, una Orange County a Pechino e una Palm Spring a Hong Kong.
Diciamo la verità, non è più possibile leggere i rapporti di dominanza-dipendenza nei termini semplificati di un rapporto geografico tra regioni centrali e periferiche, perché certe caratteristiche della vecchia periferia del mondo, cioè la povertà, lo sfruttamento e l’emarginazione, sono sempre più presenti nel cuore delle grandi metropoli, mentre frammenti di “centro” si trovano ormai sparsi nelle più lontane periferie.
Se è vero che le connessioni ultrarapide consentite dalle nuove tecnologie possono avere un effetto di avvicinamento fra alcune aree fisicamente distanti, possono anche avere l’effetto opposto di “allontanare” tra loro località fisicamente vicine, in quanto una di esse, o tutte, risulta svantaggiata dalla struttura delle reti.
Non è più accettabile la dicotomia nord/sud, centro/periferia, primo/terzo mondo. Tutto avviene nella città madre, luogo in cui coabitano realtà più che mai antitetiche e, mi si permetta il neologismo, oltremodo antietiche.
Le grandi metropoli si sono organizzate in maniera che i punti di contatto tra gli slum e le Edge Cities si riducano allo zero dal punto di vista economico, culturale e politico. Ancora una volta scelgo la provocazione. E dal punto di vista etico?
L’esclusione dallo spazio fisico della città rappresenta l’impossibilità di accedere non solo ai beni, ai saperi, alle risorse, alle reti ma anche a tutti quei livelli della vita comunitaria che condizionano, influiscono, dividono e allontanano, uniscono e avvicinano, persone, non consumatori, non utenti, non target specifici.
Green cities certo, energie rinnovabili, me lo auguro. Assieme a ciò auspico l’avvento di nuovi utopisti, architetti, designers e scienziati che mettano al primo posto l’anima delle persone. Lo spirito ha bisogno di bellezza, ordine e pulizia.
Come pensarla, progettarla, sognarla dunque la città?
Vincenzo Ruocco "Tento di essere un elastico. In cerca, sempre, di un perno che mi permetta di allungarmi quanto basta per spingermi oltre"
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Ricordo quando, mentre le banlieues di Parigi bruciavano e Prodi avvertiva che sarebbe potuto succedere anche da noi, nelle periferie delle grandi citta del sud, il sindaco di Bari (mi pare si chiamasse Emiliani) rispose che da noi non c’era pericolo, la mafia non lo avrebbe permesso.
Noi sulla carta del mondo vediamo tutti quelli stati colorati e pensiamo che corrispondano ad un controllo del territorio, ad un esercizio del monopolio della forza da parte del governo. E invece da Bari a Los Angeles a Rio milioni di persone vivono al di fuori di quella sovranita’. Quella che tu chiami giustamente “esclusione dallo spazio fisico della citta” e’ anche esclusione dallo Stato. Si ritorna al Medioevo, la civilta’ nei centri cittadini protetti da mura e fuori la barbarie.
Allegria!