Lutto nazionale
Di Alessandro Berni • 9 apr 2009 • Categoria:Società • Nessun commentoQuasi trecento le vittime, tutte innocenti. Un numero impreciso, che impietosamente continua a crescere, che non ne vuole sapere di essere definitivo. Circa trentamila i terremotati.
Le cicatrici del terremoto avvenuto in Abruzzo lo scorso lunedì notte continuano a sanguinare morte, disagi e dolore. L’Aquila è una città fantasma. Interi paesi non ci sono più. Alcuni rimarranno abbandonati per sempre.
Una bulimia di notizie, commenti e pensieri descrive ed accompagna i giorni successivi alla tragedia.
L’Italia ha risposto con forza ed emozione. Sangue, braccia e denaro hanno subito cominciato e continuano ad arrivare. E, naturalmente, insieme ad essi, le polemiche.
Polemiche piene di rabbia contro quei pochi miserabili che si sono messi a frugare fra gli oggetti dei morti, dei vivi, ma disperati rimasti senza casa, senza tutto.
Polemiche fra i denti per la storia di Giampaolo Giuliani, il sismologo che da giorni gridava al lupo, al lupo fino a quando, il 30 Marzo, si è visto recapitare una denuncia dalla Protezione Civile per procurato allarme. Nessuna fonte ufficiale, a tale proposito ha fatto un passo indietro, compreso Guido Bertolaso, il capo della Protezione Civile, l’uomo che cammina sopra le crisi senza incertezze; l’esperto di disastri naturali che a braccia aperte, come una croce, ha continuato ad affermare che nessuno poteva sapere.
Polemiche sempre più forti per quegli edifici moderni, per le loro schede tecniche dove sta scritto: realizzato con criteri antisismici, che anche loro sono andati giù come i castelli di sabbia dei bambini al mare.
E intanto, in Abruzzo e nelle regioni limitrofe, la terra non la smette di tremare.
Guardare negli occhi una crepa che ha appena inghiottito la propria vita e non sapere cosa fare: se prendere a calci il cielo oppure fare appena un passo in avanti e per l’ultima volta lasciarsi andare.
Sproporzionata è la debolezza degli uomini davanti alla potenza sovrumana della Natura che da sempre, ciclicamente, trema e distrugge, ci ricorda: “Ragazzi, non cercatene una ragione, l’universo, senza neanche pensare, fa quello che vuole.”
Pioggia e grandine si sono abbattute sulle macerie, sui superstiti, sui soccorritori.
Grandine e pioggia hanno continuato a picchiare sul coraggio, sulla polvere, sulla dignità.
Può il sole spegnersi all’improvviso?
Può la speranza rotolare giù come un tuono lungo una scarpata e la notte crollarti addosso?
Può un gigante di pietra, insieme ad uno sbadiglio svogliato, come briciole sulla giacca, scrollarsi di dosso, in un solo istante la vita di centinaia di persone, devastare per sempre la storia di comunità intere?
E quelle madri inginocchiate proprio sopra quei pezzi di terra che spaccandosi hanno ucciso, quella Terra come il loro cuore a pezzi, potranno davvero un giorno lontano tornare a sorridere, a baciare?
Riuscite ad immaginare la ragazza che in una sola notte bastarda ha perso tutte le sue amiche, la mattina di una prossima stagione alzarsi dal letto, aprire le persiane al mondo e pensare: buongiorno cielo, oggi sono felice?
Arriverà anche per loro un giorno intero, normale senza il ricordo di quella scossa infame?
D’accordo. Il dolore passa perché il dolore passa. Perché è la vita stessa a passare. D’accordo. È capace di far soffrire l’amore, figuriamoci il dolore. Scriviamolo quanto serve: d’accordo. Ma quando tutto quello che ti rimane della vita che avevi è la camicia che hai addosso, a che serve essere d’accordo? Domani ci sputeremo nelle mani e riprenderemo a ricostruire. Oggi no. Oggi è il momento di abbracciarsi tutti insieme e tutti insieme abbracciati commemorare questa tragedia nazionale. Per tutti è il momento di piangere, di fermarsi a ricordare.
Oggi, venerdì 10 aprile 2009, il tricolore e la bandiere d’Europa di ogni ufficio pubblico d’Italia sono a mezz’asta. Un’intera nazione, la nostra, ha il capo chino.
Alessandro Berni Trentun’anni, quasi tutti in Europa. Ecrivain et révolutionnaire. Re musa: tutto ciò che lo tocca, si tramuta in poesia. Cintura nera di cose da niente, maestro zen d’utopie da inventare. Corteggiatore dell’ignoto. Innamorato, amato, dal nulla. Alla fine di un percorso accademico completo, decide di partire per Kibera, bidonville di Nairobi con un unico obiettivo: abiurare il suo io. Ripartire da zero. Dopo sei lunghi e strani anni torna a Parigi, arriva a zero. Oggi, finalmente oggi, spettatore convinto del cambiamento di un’era, vive infatuando l’Europa, per preparare la rivoluzione in America e, nel frattempo, mangia pasta ogni giorno, per non perdere il suo accento. Ammaliante nei bisogni, sedotto dal bisogno di raccontare, a proposito di tutti i suoi sbagli passati, ha due unici grandi rimpianti: avrebbe voluto commetterli prima, avrebbe voluto farne di più grandi. Segni particolari: una gabbia d’uragani al posto del cuore.
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