L’amour est un oiseau rebelle
Di Miša Capnist • 16 mag 2008 • Categoria:Società • 11 CommentiNon posso, non posso non posso impedirmi.
Creatività, amore, affetto, tenerezza, sole, pic nic in riva al canal Saint Martin alla luce riflessa dalle acque increspate dallo sgocciolare lontano delle dighe. Sono incontri, evoluzioni, fiducia, gavetta. Ordine, luce, colori, profumi, ricordi, progetti, fatica, presa di coscienza, vetrine, negozi, persone, cieli sereni, giornate lunghissime. Entusiasmo, disposizione all’amore, puntualità, calma.
Non è facile prendere coscienza di quello che si è veramente. Non è facile. Si crede si crede, e poi eccola, la verità, luminosa ma nascosta. Una biblica fiamma che teniamo in vita, segretamente, inconsciamente. Che non sappiamo o non vogliamo sapere di avere. Come brucia, quella verità. Quella consapevolezza del richiamo. Quell’appuntamento con la propria intelligenza a cui spesso si cerca di arrivare tardi, per paura, per nostalgia, per lentezza, per idea che possa aspettare. Quel cambiamento di vita radicale, quello stacco netto ma delicato, e quella distanza con le idee infantili o primitive che si avevano sul futuro. Sul proprio. Immagini che cambiano, radicalmente ma serenamente. Capire cosa fa per noi, e correrci dietro. Perché stavolta è vero, stavolta siamo noi. Stavolta - cazzolina - , ci salgo in questo treno. E allora si prova un’emozione entusiasmante, una frenesia di vita, di cose, di fare, di dire, di imparare. E la testa gira, rimettere i piedi per terra, ma rendersi conto che, no: che hai capito. Che la tua vita non sarà come quella degli altri, perché quella è la tua. Anche perché, quella volta, hai deciso di andartene dall’Italia.
Lasci tutto. Tutto quello che, in un modo o nell’altro, avrebbe potuto essere il tuo futuro, in modo concreto. A volte si torna. A volte non abbiamo più voglia di “non essere nessuno”. E si torna a coccolarsi nel comodo caldo passato. A volte lo si ricopre d’oro, e lo si lascia lì, nell’angolo del mitomane, per cercare di capire cosa fare per il futuro, o quasi.
Ci si destreggia in condizioni disagiate, un lavoro “finché non ne trovo un altro”, un appartamento “finché non trovo di meglio”. Il rassicurante rientro a casa accolti da un buongiorno ci sembra un lusso inquantificabile, perché ci siamo ammazzati di lavoro tutta la giornata, in una lingua che non è la nostra, in un Paese che non ci appartiene, paragonandoci in ogni istante con una realtà che non conosciamo. Eppure restiamo. Una voce - forse quella dell’ambizione, anche se preferisco pensare che sia incoscienza - ci tiene saldi ancorati all’estero.
E i progetti? Molti dei ragazzi che ho incontrato a Parigi non ne hanno. Sono qui per vedere. Vengono a farsi un’esperienza, spesso rientrando poi in Patria, e ripetendo per tutta la vita che “io la conosco Parigi. Ci ho vissuto”.
Sei mesi.
Molti dei ragazzi che conosco non pensano di fermarsi a stare in città. Molti dei ragazzi che conosco vogliono tornare a Casa. E rituffarsi nel lussuoso buongiorno di cui prima.
Non lavorano per averlo qui, il buongiorno. Non conoscono il café nascosto dietro ai giardini del Palais Royal. Per andare al lavoro non hanno sostato al semaforo rosso, rallegrandosi per quella breve sosta all’ombra del Louvre.
Non conoscono i centri sociali - molto differenti da quelli italiani - in cui si passa a fare il brunch la domenica mattina, in compagnia di musicisti, attori, creatori, stilisti e qualche rasta-punk. Ed è un peccato.
Sono convinto che conoscere veramente una città - a parte i rari veri innamorati della propria - si debba essere forestieri. E comporre un inno alla vita, musicisti dell’intelligenza, tuffandoci in quel ciclone che è la quotidianità. Captando particolari, sguinzagliando istinti, notando dettagli, ascoltando parole e vento, parlando la città. Cogliere le differenze di costume, in risposta ad alcune delle quali restiamo a bocca aperta, sdegnosamente increspata, o stirata in un sorriso interessato o divertito.
Vivere appieno la possibilità di costruirsi di nuovo, approfittare di questa chance irripetibile per reinventarsi, per non essere il figlio di nessuno, perché le raccomandazioni che riceviamo sono state completamente meritate, e noi ne andiamo fieri.
Non vogliamo scoprire se abbiamo veramente talento? Se possiamo farcela senza nasconderci nell’armadio delle pellicce della mamma? Non abbiamo il diritto di spostarci, per trovarci? Per vedere che un’altra cultura ci si confà di più che, in effetti, me voilà, io sono così: a me piace stare delle ore sotto la doccia e al bar io preferisco il succo di frutta al caffè. Fermi tutti: è stato uno sbaglio culturale!
In Francese esiste il verbo “assumer”, la cui traduzione precisa in italiano mi sfugge. En gros è comparabile - come forma mentis ma non come significato lessicale - al presente storico latino odi: dopo aver ricevuto l’informazione, prendo conoscenza dell’oggetto di cui si tratta, e mi comporto di conseguenza. Bene: io trovo che questa esperienza all’estero (posso ancora chiamare Parigi “estero”?) mi abbia salvato la vita.
Non vogliamo vedere di cosa siamo capaci?
Ci vuole pazienza, e carattere, e coraggio di vivere in una chambre de bonne col cesso sul pianerottolo facendo mille lavori o uno solo ma mal pagato i primi periodi se puoi chiamarti ricco.
Ma se arrivi a vederti, se ti tocchi, vivere è un entusiasmante combattere e sfidare, progettare e ridimensionare, prendere coscienza, respirare in un infinito presente con il proprio futuro chiaro in mente, e i modi per arrivare alla meta.
Esplodendo di sole, in un delirio da baccante, la speranza che la lama rotatoria che gira all’altezza del diaframma ci apra in due come una mela.
Viviamo, per favore, viviamo.
Miša Capnist Rarissimo esemplare di mésaillance fra Paris Hilton e Buddha, fra la monaca di Monza e Bonifacio VIII, fra Nilla Pizzi e Rodolfo Valentino, ancora confondendo Joan Crawford e Dio, questo militante quasi ventenne del Tamarindo, spinto dalla peculiare leggiadra schizofrenia e dal suo florido intelletto, vive a Parigi dal 2005, dopo essere stato imprenditore, dopo essere passato dalle pubbliche relazioni di L’Oréal, bazzicato pizzerie italiane in qualità di valet de salle (cameriere), approda in ottobre in accademia teatrale, insegna le buone maniere e crea gioielli post-atomici piegando ferro e sbriciolando specchi al suono del sordiano “Lavoratori…PRRRRRR!”. Profondamente diviso fra l’ideale di una vita volgarmente appariscente e un sereno eremitismo, il Capnist studia l’umane genti con attenzione meticolosa, alla ricerca dell’art de vivre. Evidente la spiritosa mancanza d’altruismo. Lavora in questo momento all’embrione di una nuova lotta sociale, che chiama temporaneamente “la rivolta delle corone”, vera e legittima rivoluzione democratica svolta alla destituzione del popolo in favore dell’antica aristocrazia (facciamo un po’ per uno – si giustifica). Di formazione accademica, legato ad un passato immerso nelle comodità, questo periodo parigino lo ha confinato in un mondo di bohème da cui trova difficile staccarsi. Il suo studio “in un quartiere popolare situato in piena Parigi” – dice lui – “mi aiuta a ritrovare quell’ispirazione e quella sensibilità che avevo soffocato con velluti e pellicce” (velluti e pellicce di cui nonostante tutto non è ancora parsimonioso – ndr). Cita Modigliani nel suo atelier in rive gauche, infarcendo le sue parole di intarsi Yves Saint Laurent. Quando si dice fare di necessità virtù… Appassionato di moda, coraggioso e audace, insolente e lussuoso, pigramente febbrile, edonista all’eccesso, questo caotico cesellatore della mente ha un solo progetto: dare la sua voce al mondo.
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Complimenti, mi hai emozionato. Uno stile barocco, in equilibrio perfetto, di una lucidità e precisione esemplari. La cronaca di una Conquista, un inno alla Vita. Il miglior manifesto possibile per il Tamarindo, e non solo.
Grazie, Riccardo
Bello, bellissimo, complimenti
W la vita, W Nietzsche
Via les sentiers battus!! Via les idées reçues !!
Il veut savoir, apprendre et comprendre de lui-même. Il veut sentir dans son corps, son cœur et son esprit, ce que c’est que vivre. Il coure, il cherche la bonne direction. Il tente le hors piste! C’est un risque, car il a ainsi plus de chance de tomber, de se perdre, il n’y a pas de trace à suivre… mais c’est sa chance ! Il l’a saisi, ne regrettera jamais, tremblant parfois d’appréhension, maudissant son audace, tout en transpirant de fierté. C’est un ogre, il ne déguste pas, il dévore la vie !!
Le borsch au café littéraire « L’Idiot » au bord du canal de la Moika ; le parfum du jasmin corso Como, 10 ; le sourire de Jew, mon amie Hmong ; le raisonnement sourd de la contrebasse à Bourbon Street ; le mauvais caractère de la mer du Calvados ; le scintillement des bougies à Saint Nicolas-des-Marins ; il parmigiano alle melanzane della nonna di Sarzana ; le rire de Nanthapong dans le temple de Sisaket ; la caresse du soleil Villa Borghese ; les baisers volés dans les jardins de Notre-Dame… Le monde a tant de merveilles à nous offrir !
Ancora una volta bravissimo. Ormai i tuoi articoli sono appuntamento fisso.
Ti abbraccio
Non mi è chiaro se sei viaggiatore o pellegrino, è chiarissimo invece che, gambe in spalla,sei partito. Non dimenticarci, continua, ti prego, a relazionarci sul percorso.
Vero, lontano dalle pellicce della mamma, fuori del nido, è più difficile. Ci si può perdere, si torna dopo 6 mesi. Si resiste quando c’e una tensione grande, un vulcano piu o meno all’altezza del diaframma, forse un po’ più sopra, e un po’ a sinistra. Un pulsare invincibile che ci fa dire: “viviamo, per favore, viviamo”. Vero. Grazie Misha
Misha, complimenti! Un meraviglioso affresco per cogliere il problema manifesto dei giovani, in particolare italiani, di non osare, non rischiare, intestarditi nel continuare a vivere nel nido di mammà.
Ho avuto la possibilità di viaggiare molto, grazie anche ad una famiglia che me l’ha ‘permesso’,senza uccidere di crepacuore la nonna, senza paura che mancasse l affetto dei miei perchè al giorno d’oggi in un batter di ciglia si raggiunge in aereo,macchina, treno qualunque destinazione(o quasi). Parigi, Berlino per tre anni, ora in Italia (vedremo per quanto).
Spezzo comunque una piccola lancia in favore di chi ha deciso( con coraggio) di restare. A volte, si può trovare se stessi o dare prova delle proprie ambizioni anche restando in Italia. Responsabilità difficilmente derogabili,come quelle di famiglia fanno si che si decida di non partire. Emergere è complicato, può esserlo ancora di più quando l’invadente protezione’ della famiglia resta pronta in agguato a controllare i passi del rampollino di casa, ammonendo fin troppo il giovincello dei suoi errori prima ancora che li abbia commessi, quando a volte sbattere la testa può essere un utile e quasi volontario incidente di percorso sulla via della crescita. Riuscire a fare il proprio percorso nonostante queste ‘attenzioni’ è veramente difficile, (per non parlare del riuscire a far carriera in Italia ovviamente!)e chi riesce è degno di lode.
Salvo restando che prima o poi si dovrà uscire di casa !!
Misha,
sei unico…ogni volta che leggo i tuoi articoli mi vengono i brividi!!!!
grande!!! ciao mitico e sensibilissimo amico mio
Meravigliosamente vero… Bravissimo, come sempre… Continua così…
Potrei innamorarmi di te…
Cosa dire? Ho realmente vissuto all’estero (2 anni a Londra) e mi manca tantissimo, ha veramente una marcia in più! Mi sono sentita a casa, così come ogni volta che sono tornata e probabilmente che tornerò. Mi ha lasciato un enorme segno. Là ho gli amici, i miei posticini e tanti ricordi.
Sono quasi due anni che sono tornata in Italia, con rammarico inizialmente… Posso ora confermare e dare ragione a Guicciardo. Ci vuole coraggio a restare.
Ma soprattutto stare all’estero e conoscere i segreti di un altro paese mi ha insegnato ad apprezzare molto di più le piccole cose del mio paese d’origine. Cose che si danno per scontate, perchè sono sempre così o perchè non gli diamo importanza improvvisamente si aprono a noi. E… meraviglia!! E’ un paese fantastico, anche con i suoi difetti!
Una storia interessantissima, mille tradizioni che cambiano da città a città. Il provincialismo che è anche un pò folkloristico… Che bella l’Italia!
Molto bello! un po’ ti invidio Misha, mi piacerebbe rincominciare tutto da capo ogni anno in una città nuova.
Un abbraccio a presto,
Alberto Giarolo