Immigrazione: alcune proposte
Di Erik Burckhardt • 5 feb 2009 • Categoria:Società • 3 CommentiLa base sulla quale costruire la soluzione ad uno dei problemi più sentiti dagli italiani potrebbe essere una serena autocritica.
Per evitare di scadere nell’idealismo, occorre ragionare in termini realistici. Impossibile pensare all’Italia come al paese dalle porte e frontiere aperte: una società ha bisogno d’ordine ed uno Stato non può che garantirlo allineandosi e giocando con lo ius gentium e le realtà che gli sono contemporanee.
Sono d’accordo con chi sostiene che l’Unione europea debba incrementare gli aiuti economici e politici all’Italia (attualmente già notevoli) in quanto paese più esposto al fenomeno dell’immigrazione clandestina. È doveroso negli stessi interessi degli Stati dell’UE che, con il principio di libera circolazione e soprattutto con il Trattato di Schengen, rischiano di essere raggiunti in seconda battuta senza particolari ostacoli.
Tuttavia, mi preme sottolineare che la politica d’immigrazione concertata tra gli Stati UE deve essere soprattutto orientata a intervenire con convinzione sul sostentamento dei paesi di origine, nonché sulla collaborazione con quest’ultimi. Lungi dall’essere di facile applicazione, questo proposito implica anzitutto un ridimensionamento dello sfruttamento delle risorse dei detti paesi (soprattutto africani). Ovvio che ciò inciderebbe brutalmente sulle nostre economie, ma oltre ad essere un comportamento moralmente giudizioso, penso che esso inciderebbe assai anche sui flussi migratori.
Per quello che attiene la nostra politica interna, l’Italia deve continuare a regolare scrupolosamente l’immigrazione, ma soprattutto deve imparare a farlo più efficacemente. A questo proposito si deve anzitutto imparare a rinunciare a orrori legislativi utili solo a fini mediatici e demagogico-elettorali. A meno che non si confidi in un servizio d’ordine magicamente perfetto (quanto inumano), capace d’isolare completamente l’Italia (e gli Italiani!) ergendo un muro lungo 5000 km di costa e lungo tutti i confini, in grado inoltre di scovare ogni infiltrato per poi rispedirlo prontamente nel suo paese d’origine, abbandonandolo al suo disperato destino; a meno che non si confidi in questo, il lavoro svolto negli ultimi anni appare decisamente insoddisfacente. Nell’assurda idea di combattere l’immigrazione di cui l’Italia, tra l’altro, ha disperato bisogno, si è finito per promuovere l’immigrazione clandestina. Nella fallace risoluzione di “non permettere che si rubino i posti di lavoro agli Italiani”, si è finito con il promuovere il lavoro nero d’immigrati ed autoctoni. E tutto ciò, naturalmente, non fa bene né agli immigrati, né all’Italia.
Considero che quando una legge non è buona e non rispecchia la realtà sociale, finisce inevitabilmente per non essere rispettata. Una norma regola, organizza. E perché sia una buona legge deve organizzare efficacemente, altrimenti mette a repentaglio non soltanto la credibilità della norma stessa, bensì quella di tutto il sistema.
Mi sembra che sia esattamente quello che sta avvenendo nel nostro paese. Il risultato dell’inattuabilità delle confuse politiche migratorie attuali è che ad un immigrato l’Italia appare immediatamente come un paese incoerente, dove le leggi non si rispettano, dove le regole si possono raggirare, dove i vigili si voltano dall’altra parte. Ciò è drammatico perché si attiva un meccanismo a catena che svincola la realtà sociale dal sistema legale. È il trionfo delle clandestinità: commerci nei retrobottega, lavoro a nero, furtarelli, false identità, ma è anche la sconfitta dei diritti soggettivi. Giacché il soggetto non è riconosciuto, lo Stato non lo tutela (in definitiva neanche da un punto di vista sanitario!) e non ne riconosce quindi più neanche la dignità umana. E oltretutto se il soggetto non si vede applicare le leggi di tutela, figuriamoci quanto egli si senta oggetto di quelle che gli prescrivono dei comportamenti virtuosi e morali.
La strada da percorrere è, a mio avviso, tutt’altra. Occorre che si spieghi chiaramente alla società civile che gli immigrati ci servono, che anche se non ci servissero ce ne saranno inevitabilmente sempre di più, che ogni condominio sarà abitato da una grande percentuale di immigrati e che le classi dei nostri figli saranno multietniche. Occorre spiegare ai cittadini che su questo punto non hanno scelta, si devono adeguare.
Ciò che invece i cittadini possono scegliere è il riconoscere o meno l’esistenza, e quindi la dignità, degli immigrati in Italia. Possono scegliere se concedergli un permesso di soggiorno oppure no, possono scegliere se farli lavorare in nero o regolari, possono scegliere se garantirgli un’assistenza sanitaria oppure no, possono scegliere se permettere ai loro figli di andare a scuola oppure no. In un caso, i cittadini fanno i conti con la realtà e decidono di regolare responsabilmente il fenomeno, nell’altro chiudono gli occhi condannando gli immigrati all’emarginazione e se stessi ai risultati che ne conseguono.
Esistono tecniche per regolare i flussi, ma per garantirne l’efficacia bisogna riconoscere che saranno sempre più sostanziosi. Esistono anche tecniche per regolare gli arrivi ed il collocamento, basta imparare a prevederli realisticamente e ad organizzarli responsabilmente dal paese d’origine per mezzo dei consolati e delle ambasciate. Ed infine, come ho già avuto modo di dire, esiste anche un modo infallibile per limitare il fenomeno dell’emigrazione, bisogna però imperiosamente attivarsi per una politica internazionale responsabile ed equa. Su questo punto spero che gli Stati Uniti, il paese delle nostre emigrazioni di massa, tornino finalmente a dare il buon esempio.
Erik Burckhardt Erik Burckhardt, classe 1986, vive a Parigi dove segue un Master in “Filosofia del diritto e diritto politico” e si dedica ala stesura della tesi di Laurea franco-italiana in Diritto Comunitario e Internazionale. Di doppia nazionalità italo-svizzera - fusione di amabilità e rigore - ama sottrarsi al frastuono e ai ritmi frettolosi della vita parigina dedicandosi a lunghe passeggiate lungo la Senna, rimpiangendo di tanto in tanto il calore di un’Italia sempre presente nel cuore e nei pensieri. Ancora incerto sulla carriera professionale da intraprendere, sta lavorando a una crescita personale e culturale costante, reputata come base fondamentale su cui costruire il proprio futuro.
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“Ciò è drammatico perché si attiva un meccanismo a catena che svincola la realtà sociale dal sistema legale. È il trionfo delle clandestinità: commerci nei retrobottega, lavoro a nero, furtarelli, false identità, ma è anche la sconfitta dei diritti soggettivi. Giacché il soggetto non è riconosciuto, lo Stato non lo tutela (in definitiva neanche da un punto di vista sanitario!) e non ne riconosce quindi più neanche la dignità umana. E oltretutto se il soggetto non si vede applicare le leggi di tutela, figuriamoci quanto egli si senta oggetto di quelle che gli prescrivono dei comportamenti virtuosi e morali.”
Credo che questa sia l’essenza dell’Italia, immigrati o no. Complimenti per come hai descritto la situazione, veramente ineccepibile. Mi piace il tuo modo di scrivere
W.
Anche a me
Sono d’accordo con William nel momento in cui sostiene che lo spaccato da te descritto rappresenti l’ essenza della società italiana. La completa mancanza di fiducia nelle istituzioni da parte della popolazione e l’avversione a leggi e regole dello Stato - figlie, soprattutto, di una storia caratterizzata di una spezzettata e spezzettante dominazione straniera - sono i mali che impediscono al nostro paese di sviluppare una coscienza civile. E’ evidente, ad esempio, l’incoerenza spaventosa di chi urla ‘tornate-a-casa-vostra, togliete-posti-di-lavoro-agli-italiani’ e poi assume in nero i suoi stessi bersagli perchè si sa, chi paga le tasse qui è un cretino (avrei potuto essere molto più volgare..).
Credo che l’intervento da un punto di vista legislativo sia importante tanto quanto un’ azione continua - e ritengo che in questo il seppur piccolo spicchio d’ Italia ancora SANA possa davvero dare una mano - volta a ripristinare quel senso civico e quella legalità che ormai non ci appartengono più.
Leggendo l’articolo di Erik e i vari commenti, mi sono reso conto ancora una volta – qualora ve ne fosse bisogno – che in realtà il problema più grave dell’Italia è la sua classe dirigente. E’ fondamentale capire e spiegare a chiare lettere che l’immigrazione è una risorsa preziosa per il nostro paese. Ma al tempo stesso, non si può dimenticare che attualmente nel nostro paese la popolazione carceraria è composta da circa 58.000 detenuti, dei quali oltre 21.300 – vale a dire quasi il 40% del totale – sono stranieri, in prevalenza marocchini, albanesi, tunisini e romeni, secondo i dati pubblicati da ”Il Sole-24 Ore” dell’ottobre scorso. Se non si tenesse conto di quest’ultimo dato, si rischierebbe di pensare che gli italiani siano un popolo di ignoranti, faziosi e razzisti. L’allarme sociale è alto e particolarmente sentito – tuttavia, la risposta ai più eclatanti casi di cronaca non può essere dettata dalla xenofobia. In Inghilterra non ho mai sentito nessuno gridare: “Tornatevene a casa vostra!” – per la semplice ragione che lì gli immigrati sono già a casa loro; sono infatti immigrati di seconda o terza generazione che ormai hanno radici britanniche, sentendosi pienamente British. Ahimè non è questo il caso dell’Italia, che come quasi sempre accade, è in pesante ritardo sulla tabella di marcia rispetto agli altri paesi europei. Sottoscrivo quanto affermato da Martina in merito alla “spezzettata e spezzettante dominazione straniera” che ha riguardato il nostro paese. Mi permetto di aggiungere che la serietà ed il buon senso sembrano scarseggiare nelle forze politiche italiane, non solo per quanto riguarda l’immigrazione e l’integrazione: è una questione generale. E’ un problema di fondo del nostro paese: siamo sempre e comunque divisi su tutto; siamo un paese in cui le ideologie hanno sempre e comunque il sopravvento; riusciamo ad estremizzare i termini di qualsiasi questione, a prescindere dal tema in discussione; ma soprattutto, non perdiamo occasione per erigere muri o steccati, anziché cercar di costruire ponti.
A proposito, una breve parentesi. La settimana scorsa in uno splendido servizio sulla terza rete RAI, l’unica per cui forse ha ancora un senso pagare il canone, veniva spiegato come il sistema scolastico svedese funzioni, mentre in tante realtà del nostro paese non vi siano nemmeno gli insegnanti di ruolo, i quali per altro scappano dalla sede loro assegnata a causa dell’elevata violenza degli studenti. In Svezia si investe il 3% del PIL in ricerca, sviluppo ed istruzione. In Italia? Attorno all’1%. Lassù vince le elezioni chi promette di investire di più in ricerca ed istruzione. Quaggiù, invece, vince chi promette di detassare gli straordinari e di togliere l’imposta comunale sugli immobili. A Stoccolma si investono i migliori insegnanti e le più efficienti risorse in una scuola di un quartiere tra i meno “in”, dove la presenza di immigrati è molto forte. A Roma invece si tagliano i fondi destinati all’istruzione. A Stoccolma un insegnante percepisce tra i 2100 e i 3500 euro, al netto delle tasse, in base ai meriti ed all’anzianità di servizio. In Italia, invece, gli insegnanti devono sperare di poter essere un giorno assunti a tempo indeterminato, prima di sognare uno stipendio che superi non di molto i 1000 euro. E’ la cultura che è diversa, è la forma mentis che ci distingue. E purtroppo sento ancora chi dice che in Svezia le cose funzionano “solo perché loro sono solo 9 milioni di abitanti…” Mi viene in mente un comico napoletano, Simone Schettino, che diceva con sarcasmo: “Ci volete fare entrare in Europa? Bene… Ma glielo dite voi però agli europei?!”