La fatica dell’indignazione permanente
Di Rocco Polin • 8 mag 2009 • Categoria:Italia, Società • 3 CommentiÈ folle. Non si fa a tempo a indignarsi per bene per il vergognoso circo che circonda il nostro presidente del consiglio che il suo fido secondo dichiara che l’unico difetto di Mussolini è stato quello di essere troppo buono. L’affermazione mi spiazza. Ero partito in quarta contro il degrado estetico e morale della nostra politica ed ecco che ne succede una ancora più grave. Poco male, lasciamo perdere Noemi (questione tutto sommato marginale) e concentriamoci sulle ben più gravi affermazioni di Dell’Utri. Non passano due giorni e l’onorevole Matteo Salvini propone di riservare alcuni vagoni della metropolitana ai milanesi. In due giorni siamo passati dalla rivalutazione del fascismo alla reintroduzione di proposte naziste. Non riesco nemmeno più ad indignarmi, sono esausto.
Non credo che ci sia una strategia precisa ma il risultato è chiaro. A un certo punto ci si stanca anche di indignarsi. È il fenomeno dell’abituazione di cui parlava Marco qualche tempo fa qui sul Tamarindo. Ogni volta è peggio. Ogni nuova sparata fa dimenticare quella precedente. La nostra soglia di sopportazione si alza continuamente. Le battute sulle finlandesi minorenni adesso, confrontate con le proposte di apartheid, appaiono simpatiche goliardate. Il decreto sicurezza ci sembrava razzista, adesso viene quasi da apprezzare il fatto che non contenga precise disposizioni per la segregazione razziale nei mezzi pubblici.
L’indignazione permanente è probabilmente impossibile. E allora viene da buttarla sul ridere. Ma Milano Milano? Non vorrei che quegli zoticoni di Pero mi invadessero il vagone. E poi, si potrebbero fare dei vagoni speciali per quelli di Milano uno entro la cerchia dei navigli? Inoltre bisognerebbe essere più precisi: chi è un milanese? Servono entrambi i genitori battezzati con rito ambrosiano o ne basta uno? Facciamo dei vagoni per i soli leghisti? È l’atteggiamento di Angelo Agrippa. L’intervistatore della bella Noemi di cui parlavamo nello scorso articolo. L’indignazione stanca e poi, diciamocelo, è davvero poco chic. Il cinismo, quello si che è trendy. Se accompagnato da un certo sarcasmo poi, è sicuro indice di intelligenza. Gli indignati annoiano. Preferireste andare a cena con Ferrara o con Oscar Luigi Scalfaro?
Questo giochino però comincia a diventare pericoloso. Un conto è un presidente del consiglio che si intrattiene con le minorenni. Altra cosa è il ritorno delle leggi razziali.
Quando sono arrivato a Berkeley sono rimasto molto sorpreso dalla nomea razzista del nostro paese. Anche perche, nei miei precedenti periodi all’estero, non avevo mai riscontrato nulla di simile. Qui invece in modo cordiale seppure un po’ condiscendente capita spesso che mi chiedano se è vero che l’Italia sia diventata un paese razzista. Confesso che nei primi tempi facevo come Nanni Moretti nella celebre scena di Aprile in cui spiega ad un amico francese l’evoluzione democratica di Alleanza Nazionale. “Ma no- dicevo -Ma che razzisti… Siamo un paese piccolo e sovrappopolato… Non siamo abituati all’immigrazione… E’ una reazione passeggera, di aggiustamento ad un fenomeno nuovo… La Lega solleva questioni reali, sia pure con un tono disdicevole….”
Bullshit! Stronzate. Siamo un paese razzista. Un paese privo di quegli anticorpi democratici che renderebbero inaccettabili in qualsiasi altro paese europeo le dichiarazioni di Salvini. Il richiamo al Fascismo dopo un po’ diventa stucchevole ma non per questo è meno appropriato. Il Fascismo non fu, come voleva Croce, l’invasione degli hyksos. Il Fascismo è stato l’autobiografia della nazione. La Chiesa, tranne lodevoli eccezioni, si guarda bene dal fare metà del polverone che fa quando si parla di cellule staminali. Il silenzio della comunità ebraica è imbarazzante. La borghesia milanese che prima votava Lega ma si vergognava ora comincia a non vergognarsene neppure.
La politica una volta aveva una funzione pedagogica. Nella prima repubblica c’era almeno un tentativo di guidare ed educare il popolo oltre che di rappresentarlo. Adesso la politica rincorre i peggiori istinti della massa in una gara verso il basso che è arrivata, faccio ancora fatica a crederlo, alla proposta di leggi razziali. E allora? E allora sta a noi, alle menti migliori della nostra generazione, al Tamarindo. Sta a noi rimettere pazientemente insieme i pezzi, difendere e diffondere i valori della democrazia e della civiltà, educare il popolo, noi stessi prima degli altri. Il progetto interrotto del Risorgimento, di Mazzini, Cattaneo e Cavour degenerato nel fascismo e poi ripreso negli anni eroici della Resistenza e della Costituzione e di nuovo fallito. Quello deve essere il nostro progetto, quella la nostra missione. Questa chiamata alle armi potrebbe sembrare retorica e pretenziosa, lo so, ma in giorni in cui si discute di apartheid credo sia urgente e necessaria.
Rocco Polin “Rocco Polin is probably the most influential commentator of international affairs of our time”, Foreign Affairs. “Brilliant, thought provoking, a true talent”, Newsweek. “Mr Polin is the leading expert in Italian politics of his generation. His analysis are not only accurate and original but also incredibly enjoyable”, the Economist. “Now we know why everybody is going crazy about him”, The New Yorker. “Irresistibly sexy”, Angelina Jolie.
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Tendenzialmente, l’Italia è un Paese razzista, chiuso in sé stesso, profondamente vecchio ed in una fase di rapida decadenza – culturale, morale e civica. Sarebbe però sbagliato attribuire la responsabilità di questa situazione solo ed esclusivamente alla classe dirigente. Io credo che il Parlamento della Repubblica sia lo specchio della società. Dunque, i nostri rappresentanti (nominati da noi, ma scelti dalle segreterie dei partiti) assomigliano in tutto e per tutto ai loro rappresentati – salvo poche eccezioni. A me non indignano solo le farneticanti proposte di qualche esponente leghista, né tantomeno il revisionismo di chi è stato condannato in via definitiva non solo per frode fiscale e false fatturazioni, ma anche in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Quello che per davvero mi ripugna è l’indice di gradimento che gode chi è al governo – in altre parole, il fatto che i nostri concittadini continuino implacabilmente a sostenere ed a votare simili persone. E non si pensi – per usare una formula cara a qualcuno – che il principale partito d’opposizione sia una valida alternativa: basta leggere i nomi dei capilista del PD alle prossime elezioni europee per capire quanta retorica ci sia nelle parole dei dirigenti di partito – Sergio Gaetano Cofferati (61 anni) è il capolista nel nord-ovest; Luigi Berlinguer (77 anni) guida la lista del nord-est (essendo sassarese, mi sembra una scelta più che coerente!). David Sassoli (53 anni) è capolista nell’Italia-centrale. De Castro (51 anni) è in cima alla lista dei candidati dell’Italia meridionale ed infine, Rita Borsellino (64 anni) è la capolista nelle isole.
Dario, dove sono i giovani? Dove è il ricambio generazionale? Dove sono le idee nuove? Dove sono i volti nuovi? L’età media dei capilista è di 61 anni: guarda un po’ – proprio l’età del sindaco della mia città – che peraltro aveva dichiarato che non si sarebbe ricandidato alla guida di Palazzo d’Accursio (grazie al cielo, aggiungerei io) dal momento che voleva occuparsi del suo bebè e della sua compagna in Liguria – per poi smentire tutto ed accettare la candidatura del PD a Strasburgo, dato che lui è “un vecchio uomo di partito” – come si è autodefinito. Non trovo scandalose solo le candidature di chi è in lista per la sua bellezza – e non per le sue competenze. Mi indigna anche tutto il sistema delle “porte scorrevoli”, ovvero sia il riciclo di ex deputati, senatori ed eurodeputati alla guida di fondazioni o enti pubblici, che consentono loro di continuare a guadagnare una valanga di soldi dei contribuenti, non facendo alcunché di utile per la comunità. L’Italia è maestra in questo. Ora, chi denuncia queste cose rischia di passare per un demagogo o per il Di Pietro della situazione. Io me ne guardo bene dal farlo. In realtà, mi chiedo come si possa uscire da questa fase. Denunciare lo status quo non basta, scrivere articoli a riguardo è solo l’inizio. Mobilitarsi per cambiare le cose – in questo contesto – non è verosimile, perché l’intero sistema è paralizzato da questa cultura e gli italiani – oltre ad essere tendenzialmente razzisti – sono in buona misura accondiscendenti, purché vengano tutelati i piccoli interessi di parte. Siamo campanilisti e sempre lo saremo. Da noi non ci sarà mai un Obama italiano, né a Firenze – come qualcuno si illude – né in qualsiasi altra città. Finché conterà il numero di conoscenze piuttosto che il merito di una persona, non solo per trovare lavoro, ma anche per prenotare una visita in ospedale, saremo condannati a questa classe politica ed a questo stato di cose. Non mi si dica che è così dappertutto perché altrimenti cambio registro. Stimo chi vuole mobilitarsi per cambiare la situazione, ma non nego che mi riesce davvero difficile pensare che questo sia possibile.
nemmeno io credo che sia possibile. pero continuo a pensare che sia necessario.
soyez realistes demandez l’impossible
bellissimo, rocco. sono perfettamente d’accordo con te. le masse di per sè non sanno che cosa vogliono, son volubili e capricciose. la politica deve guidarle, non seguirle, perchè purtoppo il fascismo in italia non fu una parentesi nefasta ma un carattere connaturato al capriccio del popolo. l’esclusione, tra l’altro, è la via più semplice per mantenere vivo l’equilibrio necrotizzato su cui si è basato lo “sviluppo” del modello euro-atlantico. bello, davvero. sono contenta che sul tamarindo escano articoli così lucidi invece che la pura indignazione antipolitica grilliano-guzzantiana-travagliana dominante.
Bravo Rocco, non bisogna arrenderci. La situazione è tanto spiazzante quanto è incomprensibile che la maggior parte degli italiani ci ridano su, non si rendano conto della realtà che li circonda. Trovo che ci sia una generale sottovalutazione del problema, accompagnata da un senso di indifferenza, questa è la cosa che soprattutto mi indigna, favorita in gran parte da un’attenta e capace manovra che si fonda su un qualunquismo dilagante. Siamo prossimi a un regime? Spaventa dirlo, ma temo che questa sia la direzione… E’ importante parlarne sulle pagine de Il Tamarindo, complimenti ancora!