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Not voting sucks!

16 ottobre 2008
Pubblicato in Attualità, Dossier
di Valentina Clemente

A Times Square un mega schermo della CNN ricorda a tutti i passanti che mancano ventotto giorni, otto ore, trentasette minuti e trentuno secondi a 4 Novembre, giorno delle elezioni probabilmente più controverse della storia americana. Quando lo vedo rimango quasi paralizzata e immediatamente penso: caspita, che meraviglia! Chissà quanti ragazzi come me si accorgeranno di questo reminder in puro stile newyorkese, luccicante e, a dir la verità, posizionato talmente bene  da non poter essere ignorato. Un fugace sguardo alle persone che camminano a fianco a me e noto che effettivamente nessuno presta attenzione. Provo a pensare che, molto probabilmente, l’avranno visto talmente tante volte tali da avere una sorta di nausea alla sola idea di alzare lo sguardo dal cemento di Manhattan. Ma non ne sono del tutto convinta. Inutile provare a bloccare qualche ragazzo: dovrei essere in grado di correre come Usain Bolt e la cosa non mi appartiene proprio… Mi avvicino ad un poliziotto che avrà avuto più o meno trent’anni, immobile davanti alla sede di reclutamento dei marines e gli chiedo se ha mai alzato gli occhi verso quel cartello elettorale. Lui, stupito, sgrana le pupille e mi replica: I’m sorry Miss, I don’t pay attention to politics!

Quando sono partita dall’Italia avevo in mente uno schema abbastanza preciso del mio soggiorno americano: visita di tre università americane, domande prontissime da fare ai giovani americani e interviste ad esperti del settore per vedere come i ragazzi potessero essere pronti a votare in modo coscienzioso. In particolare, a me è sempre incuriosito scoprire se e come le università stimolano e preparano i giovani o se, al contrario, sono proprio quest’ultimi a creare il culto e a stimolarsi a vicenda per informarsi ed andare a votare. Eh si, your vote counts!

Il poliziotto che ho incontrato a Times Square di certo non mi ha lasciata indifferente, anzi: porto con me la sua frase tutta la settimana e continua imperterrita a rimbalzarmi in mente.
Il mattino seguente prendo la numero 1 e arrivo alla New York University, ateneo fresco e assai più simile a quelli europei, dato che non c’è un vero e proprio campus, bensì numerose sedi distribuite in tutta l’area del Village. Mi siedo davanti alla Stern School of Business e provo a fermare alcuni ragazzi appena usciti da lezione: “Are you ready to vote?” Una giovane di origini asiatiche mi guarda e con il tipico accento yankee mi risponde: “Well, I’m registered but I haven’t decided yet…It’s too hard” Appena sento l’accento “hard” mi incuriosisco e provo ad indagare, ottenendo anche parecchi risultati, che a dir la verità non mi sarei mai aspettata. Jenna mi dice che sta seguendo i dibattiti ma non le è ancora molto chiaro come effettivamente il vincitore potrà mai essere in grado di affrontare la crisi economica, il ritiro dall’Iraq ma soprattutto se riuscirà a dare la sicurezza nello stato e nella politica per se, fattore mancante nei ragazzi e in tutta la nazione americana.  L’amico che le è a fianco annuisce ad ogni parola e aggiunge che molti di loro non ci credono più e sono assai demotivati all’idea di dover votare, di nuovo, per qualcuno che promette politiche innovative che mai potranno essere implementate. La frase del poliziotto mi ritorna in mente ed, in effetti, sotto certi aspetti vedo che anche loro non “prestano attenzione alla politica”, ma a quella politica che non rispetta gli obiettivi e non protegge chi, come loro, vorrebbe crederci ancora ma non ce la fa. Dopo averli ringraziati e salutati vengo incuriosita da un ragazzo, bianco, con un mac interamente coperto di adesivi pro Obama. Non ricordo come si chiama ma rammento una sua risposta assai fugace visto che doveva studiare per un esame in itinere e mi dice di non essere particolarmente preparato. “Voterò Obama: è giovane, profuma di vitalità e sembra essere più vicino ai giovani…Mi piace la sua dialettica”. Prima di salutarlo gli chiedo se lui, nella politica di Washington, ci crede ancora e lui mi risponde: “Si certo..purché sia di buona qualità!”.

Sono sempre più colpita da questi giovani e trovo sempre di più similitudine con noi Italiani: quante volte siamo stati criticati perché non abbastanza partecipativi e del tutto insensibili alla politica del nostro Paese! Oramai credo che questa insensibilità non sia dovuta a mancanza di attivismo bensì proprio al fatto che non c’è chi ha idee nuove oppure le ha e non riesce a portarle avanti.
I docenti del dipartimento di scienze politiche con cui parlo mi dicono che loro, a dir la verità, non fanno molto attivismo: ogni tanto, prima delle lezioni, chiedono agli studenti se si sono registrati ma nulla più.
Circa trentasei ore dopo queste conversazioni mi trovo in un altro ateneo americano: Georgetown University. La “Freedom Square”, piazza che accoglie tutte le persone all’entrata del campus gesuita, è un luogo di ritrovo per tutti gli studenti: proprio qui la comunità studentesca ha a disposizione un ampio spazio dove poter fare incontri, mettere dei banchetti, fare vendite di dolci oppure fare volantinaggio per l’associazione di appartenenza. Tra i vari gruppi ne vedo uno particolarmente “interessante”: è quello dei college democrats, attenti sostenitori di Obama. Due ragazze sedute iniziano a descrivermi le loro attività e mi parlano di veri e propri incontri per vedere i dibattiti, eventi ai quali gli studenti di Georgetown non sono affatto disinteressati. Una di loro, inoltre, mi dice che il loro gruppo sta facendo moltissimo per registrare tutti i ragazzi che ancora non l’hanno fatto: in tal modo spera che non si possa verificare un altro caso Florida. Facendomi vedere il loro merchandising chiedo loro se credono in Obama, come inizio del cambiamento e perché Hillary Clinton non ce l’ha fatta. Laconiche mi rispondono che di Bush non ne vogliono più sapere e sperano che il candidato democratico possa dare un nuovo slancio all’America. Ci credono o meglio: ci vogliono credere. Rimango assai sorpresa quando le ragazze mi dicono che, secondo loro, l’ex First Lady non ha le caratteristiche per guidare un Paese come gli Stati Uniti. Immediatamente chiedo di dirmi quali sono le qualità di un presidente ideale, quello che loro vorrebbero avere: mi dicono che deve avere carisma, valori ed essere un uomo che vuole bene al suo Paese e vuole il meglio per tutti i sui cittadini. Obama, secondo queste due giovani college democrats, raggruppa tutti questi punti. Mi guardo intorno e di studenti pro McCain non ne vedo nemmeno uno, anche se mi assicurano che ci sono e sono molto attivi.

Nell’aereo che, ebbene sì, proprio trentasei ore dopo mi porta a Los Angeles, continuo a pensare che tutti i ragazzi hanno qualcosa in comune con quel poliziotto: non sono interessati alla politica, quella plastificata e senza valori, ma sono pronti per il cambiamento, quello di cui Barack Obama sembra essere il rappresentante. Mentre penso a tutto ciò, sullo schermo davanti a me vedo un servizio della CNN dedicato alle “hockey moms”…e noto, senza troppo stupore, che l’età dei sostenitori del partito repubblicano sembra essere molto più elevata rispetto a quella dei democratici.
Arrivata all’University of California a Los Angeles mi inizio un po’ a ricredere sul mio ultimo pensiero: incontro numerosi giovani, amici miei, che non credono nelle profezie di “change” di Obama ma auspicano la vittoria dei valori solidi di McCain, che conosce il suo Paese e sarà in grado di affrontare ogni tipo di crisi. Altri, al contrario, mi dicono che il repubblicano è troppo anziano e sarà sicuramente una copia di George W. Bush: Barack Obama farà un ottimo lavoro e ridarà splendore agli Stati Uniti. Una ragazza non vuole dirmi la sua scelta ma mi accenna al fatto che sono gli stessi studenti a volersi informare,  a ritrovarsi per discutere di politica e a fare quasi gruppi di studio a tale proposito. Salutandomi e sorridendo mi dice: Well, not voting sucks!
Strane coincidenze…ma io a New York avevo visto un manifesto che diceva proprio così: Non votare, beh, fa schifo.
Da New York a Los Angeles c’è, quindi, un lunghissimo fil rouge che unisce tutti i giovani americani: il desiderio e la voglia di esserci, di fare qualcosa ma soprattutto di volerci credere ancora. Good luck guys: l’America ha bisogno di voi.



3 Responses to “Not voting sucks!”

  1. Vincenzo Ruocco scrive:

    ho letto con attenzione il tuo articolo. devo ammettere di averlo fatto nel tentativo di raccogliere ogni minimo indizio riguardo new york.
    leggendolo ho pensato quanto sia bello muoversi, spostarsi, viaggiare, parlare, conoscere.
    il problema della politica è che fa esattamente il contrario. sembra ferma, statica, incapace di dare nuovo slancio e dinamismo. l’immobilismo quindi e anzi, nei tentativi di “darsi una mossa!!”, più che mai in preda alla retorica e alla demagogia. questo è ciò che penso.

    V

  2. Andrea D. scrive:

    Cara Valentina,
    alla fine (quasi) tutto il mondo é paese, a quanto sembra!
    Alla tua domanda sulle qualità di un presidente ideale, ti rispondono “che deve avere carisma, valori ed essere un uomo che vuole bene al suo Paese e vuole il meglio per tutti i suoi cittadini”. Senza dubbio, dico anch’io. Un po’ generico, aggiungo. Non dovrebbero essere le doti di QUALSIASI presidente? A parte questo, mi chiedo ‘in che modo può vincere e governare? come deve questo presidente ideale comunicare se stesso/a per convincere i giovani?’. Basta semplicemente essere giovani come Obama, alla fine, visto che ha ’solo’ 47 anni? Il ’solo’ tra virgolette é d’obbligo: definitivamente giovane se paragonato al resto della classe politica… ma mi piacerebbe tanto che questa diventasse l’età media come qui in Svezia: Fredrik Reinfeldt – primo ministro- ha 43 anni, Mona Salin – a capo dell’opposizione- ne ha 51 (E non mi si venga a dire che Veltroni ne ha solo 53, guardiamo al resto della nostra classe politica).
    Ad ogni modo, mi sto dilungando. Il mio dubbio é: basta una classe politica più giovane e vicina alla nostra generazione per spingerci a votare? Ma é solo colpa della classe politica? E noi? Avremo pur noi le nostre colpe… ma da dove viene l’apatia della nostra generazione nei confronti della politica e decisioni sociali? E dopo aver capito da dove vengono questo menefreghismo e questo disinteresse… come combatterli e riattivarci?

  3. Valentina scrive:

    Eh si, caro Andrea:tutto il mondo è proprio paese! Ho parlato con numerosi ragazzi e tutti, veramente quasi un coro unanime da New York allo stato della California, incredibile a dire ma assolutamente veritiero!, hanno ripetuto il concetto del carisma e dei valori, siano essi “personali” e/o rivolti al paese. Ti dirò: a me è sembrato tornare a leggere un libro già scritto, dove il “cult of personality” (che tutti i grandi della storia hanno fatto vedere al mondo) è l’elemento base nonché l’essenza di un leader di successo.
    Durante i miei brevi colloqui con questi studenti ho anche cercato di provocarli, chiedendo se, nel caso in cui Obama non venisse eletto, gli Stati Uniti potrebbero risultare un paese razzista, bigotto e non aperto al “change” di cui il candidato democratico è paladino da moltissimi mesi oramai. Le varie risposte variavano da minuti di silenzio, sguardi sbalorditi o adirittura un : no no, questo non succederà.
    Io, da italiana innamoratissima degli Stati Uniti, posso dirti che ho trovato tanta banalità…e il fatto che, come dici tu, avere “solo” 47 possa rendere un candidato migliore..bah..ne ho seri dubbi. In Italia ci sono ragazzi della nostra età che sono a dir poco bravissimi ma, sfortunatamente, non vengono valorizzati. L’attivismo e l’entusiasmo ci sono, ma non sono eternal flames…Io, nel mio piccolo, posso dirti che vedo nei giovani che si uniscono (e il Tamarindo ne è un esempio) e credono in qualcosa un ottimo punto di partenza. Il segreto? Non scoraggiarsi..altrimenti la diamo vinta agli altri!

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