Un paio di settimane fa è stato presentato un bel catalogo di una mostra altrettanto bella che si è tenuta a Terni poco più di un anno fa. “Arte³”, così si chiamava, era la prima edizione di un’iniziativa che prendeva le mosse dalla sfida di porre un limite alla spontanea creatività degli artisti imponendo loro la regola di un preciso spazio, al tempo stesso teorico e fisico: un cubo. Quindici artisti, cinque critici ed un unico curatore riunitisi a riflettere intorno alla necessità di “accostare, giustapporre, combinare, connettere testi diversi, con l’obiettivo di comporre – come in un ingigantito gioco di cubi – un unico disegno” (A. Cochetti). Ne è uscita una composizione mutevole, eternamente provvisoria, nella quale l’immagine complessiva è prodotto anzitutto della sensibilità dei molteplici punti di vista dello spettatore. Si passa dal divertentissimo cubo di plastica del gruppo Cracking art, che ci induce a ragionare sull’urgenza dei problemi e dei pericoli inerenti l’inquinamento planetario e il rischio di estinzione di molte specie, al cubo fotografico di Sergio Coppi, per il quale le sei facce corrispondono ad altrettanti passaggi di un viaggio a ritroso nel tempo, nella Terni asse industriale e politico-amministrativo. O ancora di notevole impatto visivo è il cubo di Fausto Segoni, che affronta il tema del viaggio attraverso una costellazione traforata che compone un firmamento automobilistico dal vago sapore vintage. Sulla luce e il gioco di perforazione agiscono anche Gilly Giacobbe e Xavier Vantaggi, l’uno proponendo una riflessione di somma eleganza tra il nero liscio del suo cubo e i fasci di luce e plexiglas che lo perforano e lo trapassano, l’altro perforando la superficie del cubo con la sagoma ripetuta di un familiare cucchiaio, che diventa un nuovo alfabeto segnino. “Equilibrio q.b.”, come suggerisce nel suo testo Leonardo Proietti. E così Alberto Bravini gioca sulla confusione tra sferico e cubico, tra ruvido e liscio, proponendoci un’arancia spigolosa e liscia, in un accattivante gioco tra il pop e il bulimico consumo di arte. Tutto ciò per citare solo alcuni degli artisti che l’anno passato diedero vita alla mostra. Come si diceva in apertura, è stato invece da poco presentato il catalogo a documentazione di tutta l’operazione. Un prodotto di notevole pregio editoriale, bello nella carta. nella qualità delle foto – molte e molto grandi – e nella varietà di testi a spiegazione ed interpretazione di una così apparentemente semplice impresa artistica. Benucci, Cochetti, Pesola, Proietti e Santaniello analizzano dunque le diverse morfologie dell’arte e del cubo, dall’aspetto matematico all’aspetto visivo, dal percorso sociale al percorso storico, fornendo allo spettatore chiavi di lettura supplementari rispetto all’impressione immediata provocata dalla mera fruizione dell’opera. La dilatazione dello spazio espositivo prodotta dall’autonomizzarsi dell’opera catalogo rispetto all’opera mostra ci induce a soffermarci sulla riflessione artistica in quanto tale, sulla evidente esigenza di non limitare all’immediatezza discorsi che avrebbero bisogno di una più organica comprensione ma anzi di soffermarcisi in occasioni anche diverse. Perché l’arte è l’opera ma è anche la storia dell’opera, storicizzazione che solo opere a sé stanti, come questo catalogo, sono in grado di realizzare.